mercoledì 18 ottobre 2017

Repubblica 18.7.17
Le sassate populiste in campagna elettorale
di Massimo Giannini

LA POLITICA non compie nessun atto di “lesa maestà”, nel criticare l’operato di un banchiere centrale. O persino nell’auspicare che un governatore venga rimosso e sostituito. Ma la mossa del Pd contro Ignazio Visco non ha precedenti nella storia repubblicana. In una settimana la principale forza della maggioranza impone al Parlamento prima un voto di fiducia sulla legge elettorale, ora una “mozione di sfiducia” contro il governatore della Banca d’Italia. Due “atti di forza” che rasentano quasi l’abuso di potere.
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ECHE sollevano seri dubbi sulla natura di un partito che si propone agli italiani come architrave del sistema politico-istituzionale.
Nessuno si meraviglierebbe se il testo approvato alla Camera portasse la firma di Brunetta o Di Battista. Per toni e argomenti, quel documento è in linea con le posizioni oltranziste di Forza Italia o con quelle giustizialiste dei Cinque Stelle. Ma c’è una coerenza oggettiva nella linea di Matteo Renzi, che adesso rivendica il suo dissenso rispetto alla riconferma di Visco e prende Via Nazionale a colpi di piccone. Il leader del Pd ha sempre sostenuto che, dopo i dissesti bancari di questi ultimi anni, sarebbe stata utile una forte “discontinuità”. Un mese fa, a Radio Capital, aveva detto testualmente: «Il governo e le forze parlamentari facciano una scelta all’altezza del compito della Banca d’Italia». Più chiaro di così non poteva essere. Ora la mozione dei democratici ricalca esattamente lo schema del segretario, che dunque lancia il sasso contro Palazzo Koch e non nasconde la mano. Ma restano due problemi, insormontabili.
C’è innanzitutto un problema di “forma”. Mettere in relazione l’esigenza di promuovere “un maggior clima di fiducia dei cittadini” con l’esigenza di individuare “a tal fine” un degno sostituto di Visco è un argomento da talk show per moderni tribuni della plebe, non un tema da confronto in un’assemblea legislativa. Tanto più se proprio per discutere la questione cruciale dell’efficacia della vigilanza nelle crisi bancarie di questi ultimi anni è stata appena costituita una Commissione d’inchiesta. Un partito di governo non può muoversi con le logiche di un movimento di piazza. Se lo fa, destabilizza il capo del governo stesso, Gentiloni, costretto a una delicata mediazione. E al tempo stesso crea una frattura profonda con il Capo dello Stato, che non a caso richiama “tutti gli organi della Repubblica” al rispetto del proprio ruolo, dell’indipendenza dell’Istituto, e dell’interesse del Paese.
C’è poi un problema di sostanza. Dal disastro del Montepaschi al collasso delle quattro banche “in risoluzione”, dal crac delle due popolari venete a quello di Carige: è evidente che qualcosa non ha funzionato, nei controlli di Bankitalia e Consob. È altrettanto evidente che spesso è passato troppo tempo tra le prime ispezioni negli istituti in stato pre-agonico (che nonostante questo hanno continuato a dare credito ad aziende amiche ma fallite e a piazzare bond-spazzatura all’ignara clientela) e i decreti di commissariamento degli amministratori. Ma nessuno è ancora in grado di stabilire se ci siano state responsabilità dirette della Vigilanza, se invece il problema sia di natura giuridica (i poteri che la legge gli conferisce) o se infine ci siano stati ritardi inspiegabili anche da parte della magistratura.
È chiara l’intenzione del leader Pd, che prende a sassate Palazzo Koch perché in questo momento nel Paese non c’è nulla di più impopolare che difendere le banche. Ma anche nella macelleria creditizia di questi anni, che ci è costata oltre 20 miliardi di denaro pubblico, la politica non può scagliare la prima pietra. C’è da chiedersi quanto sia credibile questo Pd renziano “di lotta e di governo”, che finisce per recitare troppe parti in commedia. Come fai a a chiedere la testa del governatore “che non ha vigilato”, quando hai nell’armadio lo scheletro di Banca Etruria e di papà Pierluigi Boschi? Come fai a contestare il rigore morale e amministrativo di Via Nazionale, quando hai tenuto per mesi e mesi come consulente a Palazzo Chigi il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, che stava indagando proprio sui misfatti di Banca Etruria?
Può anche darsi che Ignazio Visco non meriti la riconferma. Ma se non la meritasse lui, dovrebbe essere rimosso l’intero direttorio. E comunque, in piena campagna elettorale, tutto questo non lo può stabilire una mozione parlamentare voluta e votata da un partito che pretende di essere “l’unico argine al populismo”, e che invece finisce per cavalcarne l’onda insieme a Berlusconi e Grillo. Se fosse ancora vivo, un grande governatore del passato come Guido Carli non avrebbe avuto dubbi: li avrebbe chiamati “atti sediziosi”.