Il Fatto 18.10.17
Il Rosatellum crea astensionismo
di Salvatore Settis
Sulla
nuova legge elettorale e il patto scellerato che ne ha assicurato
l’approvazione alla Camera si è ormai detto tutto. O quasi. Un punto mi
pare sia rimasto ancora al margine nei commenti di questi giorni: il
reale rapporto fra la legge e il crescente astensionismo. La legge
Rosato istiga alla sfiducia nelle istituzioni perché disprezza la
Costituzione e le sentenze della Consulta, insiste sulle liste bloccate,
è pensata come una conventio ad excludendum di alcuni partiti ai danni
di altri; inoltre, ha costretto il governo a un improprio voto di
fiducia che lo delegittima, e, se sarà firmata da Mattarella, ne
appannerà la figura.
La sfiducia nelle istituzioni genera
astensionismo, questo lo dicono tutti; ma il prevedibile calo di
affluenza alle urne viene di solito presentato come un by-product della
legge elettorale, un effetto previsto ma collaterale. E se allontanare i
cittadini dalle urne fosse invece, in una strategia perversa ma
tutt’altro che fantapolitica, scopo primario di una legge come questa?
Gli indizi abbondano, a cominciare dai grandi festeggiamenti dopo le
Europee del 25 maggio 2014 per il 40,81 % del Pd, definito da Renzi
“risultato storico”. Nei commenti di allora (verificare per credere) ben
pochi notarono che la coalizione di ferro fra non votanti e schede
bianche o nulle superava di molto, col suo 49,63%, il risultato del Pd. E
che la percentuale Pd, se calcolata sul totale dell’elettorato, valeva
in realtà solo il 20,64%. Ma i trionfalismi di Renzi travolsero la scena
politica italiana, innescando l’arrogante marcia di una riforma
costituzionale scritta coi piedi e approvata a occhi chiusi da un
Parlamento di nominati. La sicumera con cui si dava per scontata la
vittoria nel referendum era dovuta al calcolo che alle urne si
presentassero da una parte solo i fedelissimi (per convenienza o per
inerzia) e dall’altra un manipolo di “gufi” ormai condannati a vani
piagnistei. Il referendum del 4 dicembre, grazie a una mobilitazione di
imprevista ampiezza, portò invece alle urne milioni di persone
(specialmente giovani) che affossarono la stolta riforma e chi vi si era
prestato. Ma questa inversione di tendenza, anche per la natura assai
composita degli elettori del No, non incide minimamente sulla tendenza a
un astensionismo crescente, dimostrato anche dai voti alle elezioni
regionali (47,4% di votanti in Basilicata, un drammatico 37,67% in
Emilia; in Sicilia vedremo). Intanto, nulla fanno i nostri governi per
recuperare alla democrazia i 22 milioni di cittadini che non votarono
alle Europee. Perso il referendum, non è cambiato il piano di chi vuole
impadronirsi di un’Italia in cui la fiducia nelle istituzioni cala ogni
giorno: avere sempre più voti (in percentuale) su sempre meno votanti.
E, tramontato il sogno di una maggioranza solitaria del Pd, raggiungere
comunque questo risultato mediante una qualche larga intesa, riesumando
Verdini e Berlusconi e rastrellando voti a qualsiasi costo. Per poi
ritentare, con sprezzo del referendum, lo stravolgimento della
Costituzione già fallito una volta.
Perciò, un anno dopo aver
contestato l’appoggio alla riforma costituzionale del presidente emerito
Napolitano con una lettera aperta pubblicata da Repubblica il 4 ottobre
2016 (con risposta di Napolitano), stavolta mi trovo in pieno accordo
con le sue pesanti osservazioni sul cosiddetto Rosatellum. Ma non
sarebbe forse l’ora, alla vigilia di nuove elezioni, di fare il bilancio
degli errori compiuti all’indomani delle elezioni del febbraio 2013 ?
Allora il Pd, anziché tentare altre coalizioni anche di limitato scopo e
durata, scelse l’abbraccio mortale con Berlusconi. Allora il capo dello
Stato pretese irritualmente dal presidente incaricato Bersani di
garantire una maggioranza parlamentare prima di presentarsi alle Camere,
e Bersani piegò la testa rinunciando al mandato. Allora Beppe Grillo
derise apertamente chi invitava M5S e Pd a negoziare una coalizione
d’obiettivo, con il programma di risolvere annose questioni come una
sana legge elettorale e una legge sul conflitto d’interessi, e i due
appelli in merito (9 marzo: Un patto per cambiare, se non ora, quando? e
poi 10 marzo: Facciamolo!), pur raccogliendo 200 mila firme in pochi
giorni, restarono lettera morta.
Molto è cambiato da allora, ma
qualcosa di uguale è rimasto: la scarsa democrazia interna dei partiti,
dal Pd al M5S, che favorisce l’astensionismo creando condizioni
favorevoli a una politica che sull’astensionismo fa leva; mentre i
fuoriusciti dal Pd non trovano nemmeno la strada per far blocco tra
loro. La legge elettorale contribuisce a tener fissa la bussola del
discorso politico sul “come” e non sul “che cosa”, sulle coalizioni e
non sulle necessità del Paese, sui giochi di potere e non sui programmi
di governo. Proprio nessuno vuol provare a porvi rimedio? Nessuno vuol
provare a capovolgere le regole del gioco, facendo leva sulla democrazia
interna di partito e su un chiaro progetto di attuazione dei diritti
costituzionali per riportare alle urne quegli stessi giovani elettori
che il 4 dicembre mostrarono fiducia nella Costituzione?