Repubblica 17.10.17
Atrofia vulvovaginale
Menopausa. Over 50 il sesso è possibile
Si
chiama atrofia vulvovaginale Provoca dolori e sanguinamenti dovuti a
carenza di estrogeni Le terapie ci sono. Ma non se ne parla. E le donne
rinunciano
di Anna Lisa Bonfranceschi
È
CONSIDERATA la cenerentola degli studi sulla menopausa. Perché l’atrofia
vulvovaginale viene spesso dimenticata, lasciata a casa, nascosta sotto
le lenzuola. Un disturbo di cui non si parla, a volte nemmeno con la
ginecologa. Perché crea imbarazzo. Molte donne, poi, pensano che sia una
condizione inevitabile: si invecchia, arriva la menopausa, quindi i
rapporti sessuali diventano più difficili. E invece no. La secchezza
vaginale, la perdita di elasticità, il prurito e la dispareunia (il
dolore durante un rapporto sessuale) che caratterizzano l’atrofia
vulvovaginale sono, certamente, sintomi di qualcosa di naturale, ma
contro cui molto si può fare. «Quando si parla di menopausa si citano le
vampate, i disturbi dell’umore, l’aumento di peso, ma raramente si
parla di quello che accade a livello genitale, con la conseguenza che
l’atrofia vulvovaginale rimane una delle conseguenze più marcate del
calo degli estrogeni, sottodiagnosticata, e ancor meno trattata »,
ricorda Rossella Nappi ginecologa dell’università di Pavia e
all’ospedale San Matteo. La comunità scientifica sa invece da tempo che
il calo degli estrogeni che accompagna la menopausa comporta dei
cambiamenti visibili e tangibili a livello del tratto urogenitale: le
mucose diventano più sottili, meno idratate, più pallide, insorge
bruciore, la vagina si accorcia e si restringe. Una condizione
progressiva. «Possono esserci anche cambiamenti nel pH e nel microbioma
locale correlati a cisti ricorrenti e disturbi urinari, con corse
ripetute al bagno con la sensazione di avere la vescica piena anche se
non lo è», riprende Nappi. Tanto che il famigerato calo della libido,
ora legato al calo degli estrogeni e del testosterone, in molti casi in
realtà nasconde un problema fisico. Lo ha ribadito, proprio nei giorni
scorsi, uno studio presentato al meeting annuale della North American
Menopause Society, secondo cui il dolore e i problemi alla vescica
pesano per circa un terzo complessivamente nei motivi per cui ci si
tiene lontani dal sesso.
Negli ultimi anni non si parla solo di
atrofia vulvovaginale, ma più propriamente di sindrome genitourinaria
della menopausa, a indicare tutta la rosa di sintomi che interessano la
zona. Sintomi che possono anche non manifestarsi o comparire solo più in
là con gli anni, ma che mediamente interessano circa la metà delle
donne in menopausa, e non solo. «Anche le giovani donne con menopausa
indotta dai trattamenti oncologici possono ritrovarsi a fare i conti con
l’atrofia vaginale – continua la ginecologa – mentre nei casi in cui
gli stessi disturbi compaiono in donne nella fase post-partum, magari
per calo degli estrogeni associati ad allattamento prolungato, o in
donne con pillole anticoncezionali a bassissimo dosaggio ormonale,
parliamo più propriamente di pseudo atrofie vaginali». Ma se da un lato
le donne spontaneamente ne parlano poco, quando sono interpellate
ammettono facilmente che il problema esiste. Dall’altra parte, nemmeno
tutti i medici sono ancora pronti a farlo: lo studio europeo Revive,
condotto su oltre 3700 donne in Italia, Germania, Spagna e Regno Unito
mostra che appena il 10% ha introdotto l’argomento dell’atrofia vaginale
con le proprie pazienti. Ma se i sintomi ci sono, incoraggiano gli
esperti, è necessario parlarne perché le soluzioni esistono.
«Solo
negli ultimi tempi le donne hanno imparato timidamente a parlarne.
Prima erano bloccate dal pudore, e davano per scontato che certi aspetti
della sessualità non dovessero più interessarle dopo una certa età»,
ricorda Elsa Viora, presidente dell’Associazione ostetrici ginecologi
ospedalieri italiani. Ma la sessualità è un aspetto importante della
qualità di vita, anche dopo i 50 anni. «Abbiamo diverse soluzioni per
alleviare i sintomi dell’atrofia vulvo-vaginale, così ampie che se ne
possono trovare praticamente per ogni donna – continua Viora - con
terapie locali, a base o meno di estrogeni oppure sistemiche,
quest’ultime da preferirsi quando sono presenti anche altri sintomi
della menopausa ». Tra le soluzioni locali ci sono creme e gel
idratanti, a base di acqua, acido ialuronico, vitamina E e colostro,
ovuli, anelli e creme a base di estrogeni, per il rilascio localizzato
di ormoni. O ancora, terapie orali che agiscono come regolatori dei
recettori per gli estrogeni, ma che non sono ormoni e agiscono in modo
selettivo solo sui tessuti genitali. Infine le terapie fisiche quali
radiofrequenza o laser, che riscaldando il tessuto promuovono la
produzione di nuovo collagene, sebbene l’American College of
Obstetricians and Gynecologist consigli cautela, in attesa di nuove
prove di efficacia. Senza dimenticare la ‘palestra’, allenando i muscoli
del pavimento pelvico con gli esercizi di Kegel, e soprattutto
l’attività sessuale: avere rapporti ricorrenti aiuta a mantenere più
elastici i tessuti.