Repubblica 17.10.17
La maschera fascista dell’europa
di Nadia Urbinati
DOPO
le elezioni tedesche, anche quelle austriache confermano le
trasformazioni politiche in corso nel vecchio continente, la cui faccia
sta decisamente prendendo una fisionomia di destra, e perfino
nazi-fascista. Il populismo è lo stile e la strategia che le vecchie
idee di destra (il razzismo, l’intolleranza, l’ideologia identitaria
nazionalista, il mito maggioritarista e anti-egualitario) adottano per
conquistare gli elettori moderati. I partiti di destra sono quelli che
meglio usano questa strategia; ne hanno anzi bisogno per uscire
dall’isolamento nel quale l’ideologia socialdemocratica li aveva
condannati per decenni.
Sebastian Kurz, alla guida del partito dei
popolari, ha trasformato il suo partito in un movimento elastico,
aggressivo sui social, attento all’immagine e capace di usare gli
argomenti giusti: la paura dell’immigrazione, la preoccupazione per la
precarietà occupazionale, l’erosione del benessere. L’Austria è tra i
Paesi più ricchi d’Europa e con una popolazione residente straniera che
sfiora il 15%. La campagna elettorale di Kurz è stata radicalmente
personalistica (il suo nome ha dato il nome alla lista) e ossessivamente
imbastita sulla paura, tanto da fare apparire l’Austria come un Paese
straniero agli austriaci, sul baratro economico e con il rischio di
avere una maggioranza religiosa islamica. La personalizzazione e la
radicalizzazione del messaggio hanno fatto volare il suo partito.
Altrettanto vicente la strategia del partito di estrema destra
neo-nazista, detto della libertà, guidato da Heinz-Christian Strache che
potrebbe essere alleato del partito di Kurz.
La ricetta per il
governo del Paese di questa ipotetica coalizione è un misto di
protezionismo e liberismo: chiusura delle frontiere agli immigrati,
difesa dell’identità culturale cattolica, sicurezza e taglio delle
tasse. Liberisti e nazionalisti alleati. Il restyling dei due partiti di
destra ha pagato, smussando il messaggio nazista e islamofobico e
insistendo su una strategia che da qualche anno sta facendo proseliti a
destra. La critica alla tecnocrazia di Bruxelles non porta più alla
proposta di uscire dall’Unione. L’Europa va conquistata, non lasciata.
Il populismo transnazionale di destra non propone il ritorno agli stati
nazionali indipendenti, non ha nostalgie per un’Europa pre-Trattato di
Roma. Comprende l’utilità dell’Unione e vuole però guidarla in
conformità a quella che il leader ungherese Viktor Orbán (il primo ad
aver lanciato la proposta di una destra populista transnazionale) ha
definito come l’identità spirituale del continente: la cristianità. La
secolarizzazione, soprattutto nella parte occidentale del continente, è
un fatto difficilmente negabile. E quindi l’apppello alla cristianità ha
poco a che fare con la spiritualità religiosa e molto con l’identità
nazionale. Il populismo di destra è oggi un progetto identitario
transnazionale.
La storia del populismo è innestata nella storia
della democrazia; una competizione con la democrazia costituzionale
sulla rappresentanza e la rappresentazione del popolo, che nei Paesi
europei è in effetti la nazione. La tendenza a identificare il popolo
con un’entità organica omogenea è il motore che muove questa potente
interpretazione della sovranità come sovranità di una parte,
maggioritaria, contro un’altra, per umiliare l’opposizione e soprattutto
le minoranze culturali. Le democrazie del dopoguerra hanno
neutralizzato questa tendenza olistica articolando la cittadinanza nei
partiti politici. E il dualismo destra/sinistra è stato un baluardo di
protezione della battaglia politica dalle pulsioni identitarie,
nazionaliste e fasciste. La fine di questa distinzione è oggi il
problema; essa è stata favorita dalla sinistra stessa che, nel solco del
blarismo ha sostenuto la desiderabilità di andare oltre la divisione
destra/sinistra. Una iattura che ha preparato il terreno alla destra.
L’uso
di strategie comunicative populiste si dimostra vincente anche perché
l’audience è informe e con deboli distinzioni idelogiche; facile da
conquistare con messaggi generici, gentisti diremmo, ovvero basati sul
buon senso e capaci di arrivare a tutti indistintamente. La caduta di
partecipazione elettorale, che l’erosione della distinzione destra/
sinistra ha portato con sé, è un segnale preoccupante di cui purtroppo
quel che resta della sinistra non si avvede. L’esercito elettorale di
riserva è pronto, depoliticizzato abbastanza da essere catturato da
messaggi populisti di destra, generici, e molto semplici. Il caso
austriaco, come quello tedesco di poche settimane fa, è quasi da manuale
nel dimostrare quanto danno abbia fatto alla democrazia la convinzione
che destra e sinistra appartengano al passato. Di questa insana idea si
approfitta la destra, che da parte sua non ha mai messo quella
distinzione in soffitta.