lunedì 16 ottobre 2017

Repubblica 16.10.17
Le preoccupazioni della Ue e di Merkel: così il gruppo euroscettico di Visegrad acquista un membro
Lo scossone di Vienna e quel “blocco nero” a Est che fa tremare Bruxelles
di Andrea Bonanni

BRUXELLES L’AUSTRIA, uno dei Paesi più ricchi e più felici d’Europa (secondo il World Happiness Report), volta a destra inseguendo i fantasmi delle proprie immaginarie paure. Ed ora potrebbe allontanarsi da Bruxelles e avvicinarsi a Varsavia e Budapest, iscrivendosi in quel circolo di euro-egotisti che, sotto il nome di “gruppo di Visegrad”, riunisce alcuni staterelli mitteleuropei accomunati da una sprezzante chiusura mentale e politica di fronte al mondo che cambia.
Il risultato delle elezioni, anche se non definitivo, parla chiaro. La destra democristiana dell’Övp è il primo partito: una vittoria strappata dallo spregiudicato e giovanissimo leader Sebastian Kurz che ha scippato all’estrema destra la bandiera della crociata xenofoba. I socialdemocratici, che erano maggioranza nella precedente legislatura, si contendono il secondo posto con i populisti ultrareazionari di Heinz-Christian Strache, che conquistano più di un quarto dell’elettorato.
Anche se non è un tracollo, come in Francia o in Germania, la crisi delle socialdemocrazie europee si conferma anche qui una tendenza di lungo periodo, apparentemente inarrestabile. E questo nonostante la coalizione di centro-sinistra avesse garantito all’Austria sviluppo economico, bassa disoccupazione e una invidiabile stabilità sociale.
Il Paese che esce dalle urne appare invece ossessionato dallo spettro dei migranti, dalla voglia illusoria di chiudere le proprie frontiere e di arroccarsi in un dorato isolamento. Una fobia non dissimile da quella che ha spinto i britannici a votare per lasciare la Ue e che accomuna i Paesi del gruppo di Visegrad nel rifiutare di accogliere i rifugiati in fuga dal massacro siriano. L’Austria ospita, è vero, un dieci per cento di stranieri. Ma questo non le ha impedito, come non aveva impedito alla Gran Bretagna, di avere una florida crescita economica e livelli di disoccupazione tra i più bassi d’Europa.
Sebastian Kurz, arrivato alla guida dei popolari austriaci nel maggio scorso, ha saputo cogliere e dare forma alle ombre che attraversano l’anima del suo popolo. Ha rotto l’alleanza di governo con i socialdemocratici, ha spostato nettamente a destra un partito che in passato occupava il centro democratico, e ha impostato una campagna elettorale all’insegna della paura. In questo modo ha potuto arginare l’avanzata dei populisti del Partito della Libertà impedendo loro di conquistare la maggioranza relativa. Ma ora rischia di trovarsi prigioniero delle proprie manovre politiche e costretto a formare una coalizione con l’ultra-destra, visto il fossato apparentemente incolmabile che la sua campagna elettorale ha scavato rispetto agli ex alleati socialdemocratici. Del resto, già da ministro degli Esteri nel precedente governo di coalizione, il giovane leader rampante non aveva fatto mistero delle affinità che lo legano al gruppo di Visegrad.
Ma una scelta di coalizione che spostasse l’Austria nell’orbita populista di Budapest e di Varsavia non è una decisione che Kurz possa prendere a cuor leggero. Il Partito popolare europeo, per bocca del suo presidente Joseph Daul e del presidente del Parlamento di Strasburgo, Antonio Tajani, ha già cominciato a fare pressioni sul cancelliere in pectore perchè mantenga Vienna nell’alveo dei Paesi europeisti. E si sa che, quando il Ppe parla in modo così esplicito, dà voce al pensiero di Angela Merkel. Nei progetti franco-tedeschi, l’Austria è sempre stata considerata parte integrante di quel “nocciolo duro” destinato a rafforzare la propria integrazione sulla base di una comune visione e di interessi condivisi, lasciando indietro i governi più retrogradi, nazionalisti o euroscettici.
Uscire da quel progetto potrebbe avere per Vienna un costo non solo politico ma, alla lunga, anche economico e di immagine che rischia di essere molto salato. Può darsi che il giovane leader austriaco, dopo aver sottratto le tematiche populiste ai populisti, conti di imbarcarli in un governo filo-europeo riuscendo a neutralizzare le loro pulsioni anti-democratiche e anti-Ue. Ma non è una scommessa facile. Tra il 2000 e il 2002, quando il padre dell’ultradestra austriaca Jörg Haider andò al governo con i democristiani, l’Austria venne pubblicamente sanzionata dalla Ue. Oggi Bruxelles non lancerebbe anatemi ufficiali. Ma l’isolamento di Vienna non sarebbe per questo meno severo.