Repubblica 14.10.17
Il colore della pelle? Ci fa diversi solo in superficie
di Si. Be.
ROMA.
Salta agli occhi, ma il colore della pelle dal punto di vista biologico
è praticamente un niente: una caratteristica superficiale che dipende
da lievi differenze su tanti geni. Lo dimostra uno studio uscito
sull’ultimo numero della rivista
Science, che spiega perché noi
esseri umani andiamo dal rosa chiarissimo di un islandese al nero scuro
di certi africani, in un continuum di tonalità sfumate. E perché non si
possano tracciare linee sul mappamondo al di là delle quali il colore
della pelle cambi d’un tratto (“qui rosa, qui giallo”), come due tinte
che si trovino casualmente accanto su una tavolozza in cui nessuno ha
poggiato pennello.
«Abbiamo identificato le varianti genetiche e
mostrato che certe forme determinanti il colore della pelle esistono da
sempre nella storia dell’uomo», ha spiegato Sarah Tishkoff della
università della Pennsylvania. Semplicemente, in certe zone del mondo
alcune sono diventate prevalenti probabilmente perché favorevoli alla
sopravvivenza di chi ne era portatore. Per esempio: siccome
l’esposizione a troppa luce solare predispone a certe malattie (in primo
luogo i tumori), ecco che nelle zone più assolate si sono selezionate
le forme genetiche che fanno produrre più melanina, e così proteggono la
pelle. Mentre siccome l’esposizione a troppa poca luce solare impedisce
di produrre la vitamina D (fondamentale per la salute delle ossa), ecco
che nelle regioni più fredde si sono selezionate le varianti chiare.
Va
sottolineato che, in origine, tutti gli esseri umani avevano la pelle
nera, perché più o meno due milioni di anni fa abbiamo cominciato a
perdere i peli, che sono un’ottima protezione dai raggi del sole, e
abbiamo dovuto difenderci in altro modo. Prova ne sia che “se depilate
uno scimpanzé trovate che la sua pelle sotto è chiara”, ha sottolineato
Tishkoff. Invece le varianti chiare sono emerse dopo, quando i nostri
antenati sono usciti dall’Africa e hanno cominciato a spostarsi verso
est e verso nord.
La ricerca si è concentrata dunque
sull’evoluzione di queste forme genetiche e su come si siano spostate
lungo le nostre rotte migratorie. In generale ha osservato che le
varianti chiare hanno avuto percorsi molto diversi, e che se alcune di
quelle asiatiche sono uscite dall’Africa e mai più rientrate, quelle che
si ritrovano oggi in Europa in realtà ce le siamo scambiate più volte
con le popolazioni africane. Infatti una delle varianti di noi europei,
emersa trentamila anni fa e associata al colore chiaro, si ritrova anche
in metà della popolazione etiope. Il punto è che nel determinare la
produzione di melanina più geni collaborano tra loro, e singole varianti
di per sé possono non essere determinanti.
Non solo: altre due
associate alla carnagione chiara (occhi e capelli compresi) sembrano
essere emerse in Africa un milione di anni fa, per restarci fino a poco
tempo fa. Mentre una specifica variante scura sembra essere apparsa
“solo” mezzo milione di anni fa e poi aver viaggiato direttamente verso
India, Melanesia e Australia, lungo una rotta migratoria ancora
sconosciuta agli antropologi. Quanto all’Africa, concludono i
ricercatori, lo studio spiega perché gli africani non siano tutti “neri”
allo stesso modo, ma vadano dallo scurissimo della popolazione Dinka
del Sud Sudan al beige chiaro dei San del Sudafrica.