sabato 14 ottobre 2017

Repubblica 14.10.17
Turchia, decifrato il codice che nasconde il segreto dei Popoli del mare
di Marco Ansaldo

ISTANBUL È un antico simbolo della mitica Età del Bronzo. Un’iscrizione in pietra, lunga ben 29 metri, risalente a 3200 anni fa, contenente secondo alcuni ricercatori «uno dei più grandi puzzle dell’archeologia del Mediterraneo». Fu ritrovata in Anatolia nel 1878, e ora studiosi olandesi e svizzeri sostengono di avere finalmente concluso il lavoro sul significato del geroglifico, la cui interpretazione completa verrà svelata a dicembre in una rivista archeologica specializzata e in un libro.
Il segreto della pietra misteriosa, rimasto tale per 140 anni, risalta dalle figure dell’iscrizione più lunga esistente dell’Età del Bronzo. Solo pochi studiosi al mondo sono in grado di comprendere l’antica lingua luvia in cui il geroglifico è stato scritto. E la sua traduzione si pensa che possa offrire una spiegazione su come collassò quella civiltà, ritenuta allora potente e avanzata. I ricercatori ritengono che l’iscrizione fu commissionata nel 1190 avanti Cristo da Kupanta-Kurunta, re dello stato di Mira. Il testo suggerirebbe che il Regno e gli Stati dell’Anatolia invasero l’antico Egitto e altre regioni del Mediterraneo già prima e durante la caduta di quella antica civiltà dominante. A lungo gli studiosi hanno attribuito il suo collasso improvviso e incontrollabile all’impatto sofferto per le incursioni navali. Ma è sulla loro identità e le origini degli invasori che si sono appuntati i dubbi, facendo scervellare per secoli gli specialisti, senza ottenere una risposta convincente sull’esatta provenienza di quei popoli guerrieri. A quel che è trapelato finora, secondo il quotidiano londinese Independent prontamente ripreso dai media turchi, il geroglifico racconta di come una flotta di sovrani provenienti dalla parte più occidentale dell’Asia Minore raggiunse in mare le coste orientali del Mediterraneo. Questa confederazione marinara dedita alle scorrerie e al saccheggio è considerata dagli storici come una delle cause che portarono al crollo della civiltà bronzea. Adesso la svolta sembra però vicina. E potrebbe arrivare dagli studi compiuti da una squadra interdisciplinare di archeologi, composta da olandesi e svizzeri. Fra loro il dottor Fred Woudhuizen, ritenuto una delle venti persone al mondo in grado di leggere la lingua luvia. È lui ad avere tradotto l’iscrizione.
Il luvio è una lingua indoeuropea appartenente al sottogruppo del ramo anatolico, usata a sudovest di Hattusa, la capitale dell’impero ittita. Le attestazioni più antiche risalgono al Secondo millennio avanti Cristo, ma la lingua era usata fino al Primo millennio a.C.. Compare sotto forma di scrittura cuneiforme e anche di geroglifici (nel Primo millennio esclusivamente in questa seconda forma). Da un punto di vista genealogico il luvio è imparentato ad altre lingue anatoliche, soprattutto al licio, al cario e al lidio. Alcuni studiosi hanno avanzato ipotesi di un suo legame con l’etrusco, benché con numerosi dubbi. La pietra misteriosa, l’originale, venne trovata nel villaggio di Beykoy, 34 chilometri a nord di Afyon, nella moderna Turchia, nel 1878. E fu l’archeologo francese George Perrot a copiare l’iscrizione prima che la pietra venisse usata dagli abitanti del villaggio come materiale di costruzione per edificare una moschea. La copia è stata ritrovata pochi anni fa, nel 2012, nella tenuta dello studioso inglese James Mellaart, dopo la sua morte, e affidata da suo figlio a Eberhard Zangger, presidente della Fondazione di Studi Luviani. Quest’ultimo, geologo e archeologo svizzero noto a livello internazionale per la sua tesi sulla presenza di un’area culturale luvia nell’Asia Minore occidentale nel Secondo millennio a.C., ha affermato che il geroglifico suggerisce che «I Luvi dall’Asia Minore occidentale contribuirono decisamente alle invasioni dei cosiddetti Popoli del Mare – e quindi alla fine dell’Età del Bronzo nel Mediterraneo occidentale».
La Fondazione sostiene così che ora «uno dei più grandi puzzle sull’archeologia del Mediterraneo può essere risolto». La soluzione integrale, compresa di traduzione, ricerche e analisi del lavoro svolto in questi anni sulla copia della pietra anatolica sarà pubblicata a dicembre sul giornale “Procedimenti della società archeologica e storica olandese” e in un volume del dottor Zangger. Un moderno Indiana Jones sul quale oggi si concentrano gli occhi degli archeologi di tutto il mondo.