venerdì 13 ottobre 2017

Repubblica 13.10.17
Rimpatri triplicati e motovedette italiane davanti alla Tunisia
L’obiettivo è “prosciugare” la nuova rotta nordafricana
di Fabio Tonacci

ROMA. Motovedette della Guardia di Finanza nelle acque davanti alla Tunisia, rimpatri settimanali triplicati e collaborazione ancor più stretta tra i due Paesi. Così il Viminale punta a “prosciugare” la rotta tunisina, che sta preoccupando i nostri apparati di intelligence e che negli ultimi mesi è tornata ad essere assai trafficata. Solcata, nella maggior parte dei casi, da imbarcazioni “fantasma”: piccoli scafi con motori potenti che scaricano migranti sulle spiagge della Sicilia, tra Mazara del Vallo e Agrigento, prima di tornare indietro a tutta velocità.
Al ministero dell’Interno si è tenuto ieri pomeriggio un tavolo tecnico tra una delegazione tunisina e le forze italiane di polizia, durante il quale sono state discusse alcune misure per bloccare il flusso. La prima, e più sostanziosa, riguarda il pattugliamento delle acque internazionali davanti a Sfax e Monastir, dove incrociano più di frequente i motoscafi dei trafficanti. L’Italia intende spostare in quel quadrante del Mediterraneo centrale alcune motovedette della Finanza, ed è stato chiesto ai partner tunisini di rafforzare contemporaneamente il dispositivo della loro guardia costiera. Nel caso in cui i finanzieri intercettassero in acque internazionali un’imbarcazione coi migranti avranno due opzioni: segnalarla ai guardiacoste tunisini, oppure scortarla fino a un porto italiano per l’identificazione dei passeggeri. «Non si tratta di respingimenti — spiegano dal Viminale — ma di pattugliamenti a tutela dei confini ».
La seconda proposta, che pare abbia avuto l’approvazione di tutti, prevede l’aumento del numero dei rimpatri settimanali. Adesso, in base agli accordi in vigore tra i due Stati, sono ammessi al massimo 30 rimpatri alla settimana dall’Italia: la quota dovrebbe salire ad 80, da effettuare quaranta alla volta con due voli charter. Si sta discutendo di un terzo charter, ma su questo non ci sono conferme ufficiali della disponibilità del governo di Tunisi. Quel che pare assodato, però, è la consapevolezza della pericolosità di tale rotta, per le sue due caratteristiche che ne fanno potenzialmente una via privilegiata per i terroristi: la durata breve (per un viaggio possono bastare 5-6 ore) e la solidità delle barche utilizzate dagli scafisti. La tratta, dunque, è ragionevolmente sicura, soprattutto se confrontata alla rotta libica.
La svolta è arrivata dopo una telefonata nei giorni scorsi tra il ministro Marco Minniti e il suo omologo tunisino. I numeri di questa rotta mediterranea, una direttrice “storica” usata per anni dai contrabbandieri di sigarette e dai latitanti, sono ancora relativamente bassi, si parla di circa 2.500 arrivi nel 2017, ma a preoccupare è stata l’improvvisa escalation durante l’estate, coincisa forse non a caso con l’uscita dalle carceri tunisine di 1.600 pregiudicati grazie a due indulti concessi dal loro governo. I tunisini sbarcati — 1.400 solo nel mese di settembre — non hanno diritto all’asilo politico né alla protezione internazionale perché non stanno fuggendo da una guerra e infatti nessuno di loro fa richiesta per rimanere in Italia. Arrivano, scappano a piedi verso la più vicina stazione ferroviaria e cercano di raggiungere il Nord Europa.
Quello che ne fa però una questione di sicurezza nazionale è l’oggettivo problema che ha la Tunisia con il radicalismo islamico: è il Paese che ha esportato il maggior numero di foreign fighter in Siria e in Iraq, e nelle statistiche delle espulsioni del Viminale per sospetto jihadismo i tunisini sono, insieme ai marocchini, i più presenti.