il manifesto 13.10.17
Il molestatore seriale e il coraggio delle prede
di Bia Sarasini
Era
un luogo comune, il divano del produttore, il sottofondo di tante
storie di cinema, il non detto di tanti scandali. A Hollywwod Baylonia,
il titolo ormai proverbiale dei due volumi di Kenneth Anger dedicati
all’epoca d’oro delle Major, come nel resto del mondo, Cinecittà
compresa.
Ora le denunce di attrici famose, come Gwyneth Paltrow,
Angelina Jolie e Ashley Judd, contro Harvey Weinstein, potentissimo
produttore Miramax, che ha ripreso lo stile della Hollywood vecchia
maniera, irrompono nella cronaca. E dicono che è vero, che le storie
raccontano sempre la verità. Il re è nudo. Del resto così Weinstein si
proponeva, in accappatoio, o vestaglia, alle sue prede. Uso
consapevolmente questa parola, preda, perché questo è il punto di vista
di un molestatore seriale.
Di un uomo che neanche prova la strada
del corteggiamento, ma usa direttamente il potere. E la uso, questa
parola, perché così ci si sente, se hai circa vent’anni, hai un
progetto, un sogno e ti trovi ad affrontare un uomo potente. Che può
essere la tua risorsa o il muro contro cui sbattere. Perché parliamo del
mondo del cinema, ma dovremmo dire luoghi di lavoro. Di qualunque
genere. Del resto a quanto si legge non rivolgeva le sue attenzioni solo
contro le “sue” attrici”, ma anche a chi lavorava negli uffici.
Vorrei
essere chiara: parlare di “prede” non ha nulla a che fare con il
vittimismo. Piuttosto è la descrizione di rapporti di forza. Le denunce,
in aumento giorno per giorno, mostrano chiaramente cosa succede.
Comportamenti diversi – chi ha subito, chi è riuscita a sottrarsi – in
comune l’umiliazione, il silenzio, un ricordo che non sparisce mai. E
vengo al punto più spinoso. Quello che suscita più polemica.
Perché
non hanno denunciato prima? Perché ci sono voluti vent’anni?
Bisognerebbe ricordarsi che è la stessa accusa che è stata rivolta alle
vittime di abusi pedofili. Che insomma le vittime vengono sempre
incolpate delle violenze che subiscono.
Perché ci vuole forza. Non
solo quella individuale, che permette di opporsi al predatore, ci vuole
anche quella simbolica, collettiva, che permetta di non sentirsi una
paria, una che dice cose a cui nessuno crede. Una che non si sente
sporcata da questo. Insomma, il tempo è cambiato. Ora si può denunciare,
per fortuna. E se lo fa chi ha più anni, libera le più giovani, le più
esposte.
Del resto si scopre che già negli anni scorsi erano state
proposte inchieste contro Weinstein e i giornali, come per esempio il
New York Times, avevano insabbiato.
C’è un penoso risvolto
italiano. Anche Asia Argento è tra chi denuncia. Lo fa con la
temerarietà che è le è propria. Descrive vividamente l’aggressione e la
sua successiva subalternità al molestatore, indotta dalla vergogna e
dalla sua debolezza, come lei stessa dice. Prima di riuscire a
liberarsene. E questo le vale ogni sorta di accusa infamante. Eppure ci
dice con chiarezza che la violenza, effetto del dominio maschile, ha
molteplici aspetti. Non è solo sul corpo, ma anche sui sentimenti, il
senso di sé, la dignità. L’abuso di potere non è solo il ricatto e il
ceffone. Realtà difficile da comprendere, e che appunto avviluppa le
donne. Umilia, ferisce. Poi certo, ce la si può cavare, perfino
ribaltare il tavolo. A volte.
Il ricatto sessuale è una realtà a
cui la maggior parte delle donne giovani, in qualunque contesto, è stata
ed è tuttora sottoposta. Si può accettarlo, usarlo, da parte delle
donne, ma di questo si tratta: dell’esercizio di un potere.
Le
ragazze accusano le femministe della mia generazione: ci avete
imbrogliato, ero convinta che nei luoghi di lavoro non fosse più
richiesto di essere disponibili, per fare carriera. Per questo Gwyneth e
le altre vanno ringraziate. Aprono una strada.
Sarebbe
divertente, se ciascuna si decidesse a elencare il catalogo delle
molestie subite. Altro che la lista di Don Giovanni. Che tra l’altro non
sarebbe mai andato in una clinica a farsi curare dalla dipendenza dal
sesso. Segno di tempi che cambiano?