giovedì 12 ottobre 2017

Repubblica 12.10.17
Legge elettorale, prime fiducie ok ma torna l’incubo franchi tiratori
L’incognita del voto segreto finale. Napolitano attacca il governo
TOMMASO CIRIACO

ROMA.
Come una fastidiosa zanzara, così lo spettro dei 101 si posa sulla spalla di Ettore Rosato in un giorno che dovrebbe essere di festa. «Io sono tranquillo e non temo il voto segreto finale. Lo dico davvero. Poi, oh, se davvero tutti insieme decidono di martellarsi sui piedi, io questo non posso prevederlo...». Eccoli, sempre loro, i franchi tiratori. L’incubo della legislatura, fino all’ultimo respiro. Per cappottare la riforma elettorale ne servirebbero così tanti – pare 127 – che nessuno vuol crederci davvero. «Approveremo la legge – prevede Lorenzo Guerini – Poi, certo, uno si affida sempre alla divina Provvidenza…».
L’appuntamento con la conta è per stasera, al massimo venerdì mattina. A Montecitorio sono in pochi a credere al ribaltone. Anche tra i nemici del renzismo: «Lo vedo difficile - vaticina Arturo Scotto – questi metteranno le microspie sotto i banchi e le telecamere sopra per evitare sorprese… ». Scherza, ma in effetti al Nazareno fanno e rifanno di conto, controllano ossessivamente le tabelle, marcano stretto i capicorrente. «Ce la facciamo, ce la facciamo», assicura la vicecapogruppo Alessia Morani. E comunque non c’è voglia di valutare lo scenario del cataclisma parlamentare: «Avrei capito su un emendamento - si fa forza Emanuele Fiano - ma penso che tutti si rendano conto che affossare la riforma nel voto finale sarebbe gravissimo. Riuscite a immaginare cosa potrebbe succedere? ». Un pasticcio infinito, anche se forse non la crisi di governo. «Anche se non dovessimo farcela - sintetizza Matteo Orfini - Gentiloni non avrebbe alcun obbligo di dimettersi».
Ieri, intanto, è stato il giorno del primo passo. Anzi, dei primi due, come le fiducie votate dalla Camera. Nella prima i sì sono 307, nella seconda 308. Numeri bassini, ma non così scarni da allarmare il Pd. In fondo, sulla carta il governo può contare su 283 deputati dem, 22 di Ap, 50 di Forza Italia e 19 leghisti: 58 oltre la soglia di maggioranza. A questi, vanno aggiunti oltre sessanta di centristi sparsi, facendo lievitare il vantaggio del “patto della riforma” a 121 voti. Poi però inizia il gioco ufficioso delle somme e delle sottrazioni.
Mdp, innanzitutto. I suoi 43 deputati sono schierati per il no, ma ieri una decina di pisapiani si sono incontrati con sguardo carbonaro dietro l’Aula. E hanno deciso di sfruttare il segreto del voto per non affossare una legge che gli regala una possibile coalizione con il Pd. Forza Italia, invece, è spaccata in due: oltre venti onorevoli meridionali – in particolare i campani – considerano il Rosatellum un suicidio collettivo e seguendo i dubbi di Gianni Letta voteranno contro. Ma è il Pd a fare la differenza. Il lettiano Marco Meloni è contrario alla riforma, Franco Monaco pure. Gianni Cuperlo non voterà la fiducia. E anche Rosy Bindi dirà no: «Io nella vita non ho mai fatto il franco tiratore, la mia contrarietà la dichiaro sempre. Voto la fiducia, non la legge». Gli orlandiani e deputati vicini a Michele Emiliano assicurano fedeltà alla linea del sì, ma le defezioni non mancheranno. Il dubbio più fragoroso è però quello pronunciato da Giorgio Napolitano. Il Presidente emerito interverrà al Senato contestando la fiducia sulla riforma: «Metterò in luce l’ambito pesantemente costretto in cui qualsiasi deputato oggi, o senatore domani, può far valere il suo punto di vista e le sue proposte, e contribuire così alla definizione di un provvedimento tra i più significativi e delicati».
Già, la sfida del Senato. Matteo Renzi ha chiesto di chiudere tutto entro ottobre, anche con la fiducia se necessario. Dovesse fallire il blitz, bisognerebbe fare i conti con le Regionali siciliane e il caos della legge di bilancio. E chissà come si ritroverebbe il Pd e il quadro politico dopo quel mese di fuoco. Per gestire la pratica si è già mosso Luca Lotti, assieme al suo pallottoliere. Quindici senatori dem sono già dati per persi, ma due pisapiani e tre ex grillini dell’Idv sono considerati arruolati.
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Timori anche per il Senato: il Pd vuole il via libera entro ottobre, ma 15 dem sono per il no
Maria Elena Boschi durante il voto di fiducia nell’aula della Camera FOTO: ©BENVEGNU’ GUAITOLI/IMAGOECONOMICA