Corriere 12.10.17
Movimento spiazzato dal blitz sulla riforma
di Massimo Franco
L’irritazione
e la protesta sono inevitabili. Il ricorso alla fiducia voluto dal Pd e
avallato da Forza Italia e Lega è, oltre a un gesto di debolezza, una
forzatura che lascerà lividi nella prossima legislatura. Ma dietro la
rabbia del Movimento 5 Stelle, da ieri in piazza a Roma davanti al
Parlamento, si indovina il disappunto per essersi ritrovato spiazzato da
una manovra imprevista. Si assiste alla ribellione di chi avrebbe
voluto contribuire alla riforma; ha ritenuto, a torto, che non se ne
sarebbe fatto nulla; e si ritrova con una legge che toglierà al M5S una
sessantina di seggi.
L’altra sera, in tv, il candidato premier
Luigi Di Maio ha ammesso la sorpresa per l’accelerazione targata
Pd-FI-Lega. L’ha motivata col fatto che non si poteva immaginare un
ennesimo strappo. In realtà, dopo il naufragio del patto di giugno con
le altre forze politiche, si riteneva impossibile arrivare a un nuovo
accordo. E i Cinque Stelle, dopo lo scarto di allora su un emendamento
che fece fallire le trattative, si sono mossi su questo binario. Ora che
si rivela un binario morto, la reazione è dura quanto scivolosa.
Condividono con Mdp e con FdI un giudizio liquidatorio ma in realtà si
sentono battuti.
Il fatto che la nuova legge sia avallata dalle
opposizioni di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini evoca il cosiddetto
«inciucio», non il «golpe» additato dagli esclusi. Una riforma si deve
fare, e tocca al Parlamento. È preferibile approvarla con l’apporto non
solo della maggioranza di governo, e sta accadendo. Che poi la riforma
sia molto controversa e proposta con un metodo sconcertante, non può
portare a demonizzarla. Il segretario dem Matteo Renzi replica ai
critici definendo con levità la fiducia «una possibilità parlamentare».
Ma
le critiche insistite del senatore a vita Giorgio Napolitano sul metodo
scelto sono vistose: anche perché l’ex capo dello Stato aveva
appoggiato le riforme di Renzi e il referendum perso disastrosamente il 4
dicembre. Il suo smarcamento gronda amarezza, e stride con
l’incoraggiamento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,
alla riforma. Per Mdp e Cinque Stelle si apre una fase non facile. Beppe
Grillo può gridare a una manovra del «regime»per correggere un
tripolarismo che, invece, difficilmente sarà scalfito.
Il pericolo
di essere di nuovo schiacciati sulla «piazza» è palpabile. Riemerge la
prospettiva di vedere prevalere le componenti estremiste che in qualche
modo erano state messe in ombra dalla candidatura di Di Maio. Lo scontro
sulla riforma elettorale esaspera la situazione e le resuscita. Cosa
peggiore, come effetto collaterale potrebbe incrinare i rapporti con il
Quirinale di Mattarella, verso il quale finora si è mostrato grande
rispetto. Di Maio e Alessandro Di Battista vorrebbero che il capo dello
Stato non firmasse la legge. Sanno che non sarà così. E dovranno
calibrare bene i toni.