Repubblica 11.10.17
Un colpo di mano
La fiducia e il governo diventano strumenti servili di un consenso indotto
Questa operazione testimonia un arrocco di forze politiche spaventate
di Ezio Mauro
NON
è un colpo di Stato, come urlano i grillini in piazza, ma questa
decisione del governo di mettere la fiducia sulla legge elettorale è un
colpo di mano: gravissimo per la materia delicata di cui tratta (una
materia di garanzia per tutti) e per il momento in cui avviene, a pochi
mesi dalle elezioni politiche.
Giunge così a compimento nel modo
peggiore una vicenda emblematica dell’impotenza dell’intero sistema
politico, e della vacuità della legislatura tutta intera, e cioè
l’incapacità del Parlamento e dei partiti di trovare un’intesa alla luce
del sole che doti il Paese di una regola elettorale non basata su
furbizie contingenti e vantaggi di parte, ma su un meccanismo in grado
di restituire ai cittadini la piena potestà di scegliere i loro
rappresentanti, con una regola riconoscibile dagli elettori e
riconosciuta dall’intero sistema, capace di durare nel tempo al di là
dei calcoli miopi di breve periodo. Restituendo così al meccanismo della
rappresentanza quella stabilità e quella neutralità che sono parte
indispensabile della fiducia nella politica e nelle istituzioni, oggi
perduta.
C’è una contraddizione logica nel chiamare indecentemente
in causa nell’atto finale il governo che non è intervenuto nel percorso
della riforma — Gentiloni lo aveva sempre escluso, dunque deve spiegare
cosa l’ha convinto a cambiare idea — perché faccia scattare il
lucchetto della fiducia, troncando il confronto parlamentare per paura
delle imboscate nascoste nel voto segreto.
PROPRIO lo spettro
dichiarato dei franchi tiratori, che agita questa legge elettorale come i
fantasmi abitano i castelli d’Inghilterra, è la prova patente di quanto
poco i partiti-padri di questa legge si fidino della sua capacità di
convincere e coinvolgere i loro parlamentari, come capita ad ogni
confisca di sovranità politica da parte dei vertici più ristretti.
C’è
poi una contraddizione tutta politica, clamorosa e sotto gli occhi di
tutti: cosa c’entra un patto di maggioranza (riconfermato e blindato a
forza con il voto di fiducia) con un provvedimento che nasce
trasversale, a cavallo tra gran parte dell’area di governo e una certa
opposizione, anzi per dirla tutta da un’intesa tra il Pd e Forza Italia
con il concorso interessato della Lega e del partitino di Alfano? In
questo modo si svilisce anche l’istituto parlamentare e lo stesso voto
di fiducia, uno dei momenti più significativi del rapporto tra il
governo e le Camere: qui invece ridotto a puro espediente tecnico, dove
non è in gioco la fiducia e nemmeno il governo, ma entrambi diventano
puri strumenti servili di un consenso indotto e forzato, con la destra
che esce dall’aula per far passare in un giorno pari la fiducia ad un
governo a cui si oppone nei giorni dispari.
L’ultima
contraddizione — in realtà la prima — è del Pd, il partito che regge la
maggioranza, il governo e ha chiesto la fiducia. In epoca di crisi
conclamata della rappresentanza, queste operazioni servono solo a
testimoniare un arrocco di forze politiche spaventate per un’autotutela
ad ogni costo, dando fiato ai partiti antisistema che quanto più sono
incapaci di produrre politica in proprio, tanto più ricevono forza dagli
errori altrui. Avevamo sempre chiesto una legge elettorale: ma non a
qualsiasi costo. Non con il capolavoro di un voto che sembra costruito
apposta per creare sfiducia.