mercoledì 11 ottobre 2017

Repubblica 11.10.17
Il Rosatellum allarma molti peones potenziali franchi tiratori. Ai quali resta l’“arma”del voto segreto finale
“Temono il bis dei 101” la rabbia trasversale di chi rischia il seggio ma (per ora) si allinea
di Goffredo De Marchis

ROMA. One shot. Ai potenziali franchi tiratori della legge elettorale resta un colpo secco: il voto segreto finale. Per buttare giù la riforma e chiudere la legislatura com’era cominciata, cioè maluccio. In tanti evocano i 101 “traditori” che nel 2013 impallinarono Romano Prodi nella corsa al Quirinale, primo atto della legislatura che si conclude il prossimo anno. La fiducia tiene a bada il pericolo, ma non lo scongiura del tutto. «Hanno temuto il bis», sostiene Nunzia De Girolamo, deputata di Forza Italia. Ora depotenziato. A parte quell’ultimo momento della verità.
C’è una rivolta trasversale in Parlamento. Attraversa i
peones dei partiti favorevoli al Rosatellum, corre lungo la dorsale appenninica da Nord a Sud. Dietro le colonne del Transatlantico si svolge un traffico di fogli con le simulazioni collegate al nuovo sistema di voto. Due parlamentari su tre avranno problemi a farsi rieleggere con il meccanismo dei collegi. È scritto nella paginetta che nascondono in tasca. La rivolta ha convinto Paolo Gentiloni a fare il passo che lo trascina nelle piazze come un nemico politico. «Ma senza fiducia questa legge non passerebbe mai. Paolo ha fatto l’unica scelta possibile », osserva Lorenza Bonaccorsi, deputata gentiloniana. «Detto questo a Roma prevedo zero collegi vincenti per il Pd, che non si è ancora ripreso. Non è un problema minore». Poco lontano gli risponde Roberto Morassut, altro parlamentare della Capitale: «Si può lottare nei collegi del Centro e semicentrali. Ci può dare una mano il voto contemporaneo per la Regione, magari Zingaretti farà da traino. Io comunque sono da sempre contro le preferenze, meglio questo sistema ».
Naturalmente, il franco tiratore non confessa mai di esserlo. La lista dei 101 rimane un mistero. La leggenda vuole che Prodi abbia l’elenco completo. Pippo Civati, dicono, ne ha solo metà. Ma il voto segreto protegge bene l’anonimato. Eppure molti non rinunciano a ragionare sull’effetto che la fine delle preferenze avrà sul risultato elettorale. Deputati dem del Nord si scambiano opinioni in un angolo. Deputati del Sud berlusconiani in un altro. «La fiducia era inevitabile - spiega De Girolamo -. Non si reggono 120-130 voti segreti. Questo non toglie che la rabbia c’è». L’esempio dei pugliesi di Forza Italia è molto chiaro: i candidati dei collegi dovranno andare in ginocchio a chiedere i voti a Raffaele Fitto, ras dei consensi nella regione, fuoriuscito dal partito più di un anno fa. I fedelissimi dovranno perciò chinare il capo di fronte allo scissionista: prospettiva poco allegra. Giuseppe Lauricella, deputato Pd siciliano e professore universitario, la prende con filosofia: «Se a Roma c’è il rischio di zero collegi, cosa dovrei dire io in Sicilia, dove si può ripetere il cappotto dei 61 a 0 del centrodestra?». L’epica sconfitta della sinistra nell’isola brucia ancora. «Ma è giusta la decisione del governo, è giusta la legge che salva il Parlamento da una brutta figura. E dopo tre voti di fiducia se qualcuno farà lo scherzo con il voto segreto finale, beh compirà un atto delinquenziale ». Forza Italia ha un problema al Sud perchè il centrodestra lì avrà una coalizione finta, senza la Lega. «In Campania, dove abbiamo tanti voti, non ci sarà corrispondenza coi seggi conquistati », spiega ancora De Girolamo. Il Pd avrà problemi al Nord, per via della forza leghista. Scherza Giuseppe Guerini, onorevole dem e avvocato bergamasco: «Se mi vogliono, la prossima legislatura posso fare il commesso. Conosco bene la Camera e i deputati, sarei perfetto». Veronica Tentori, giovane deputata Pd lecchese, sa che sarà dura in una zona a trazione salviniana. Accanto a lei la veneta Vanessa Camani ammette il problema ma dice: «La coalizione per noi è una strada obbligata, meglio così». E i renziani sono tranquilli? Dicono di no, ma Dario Parrini giura di sì: «Non capisco perchè in Veneto le preferenze avrebbero cambiato qualcosa. Sarebbero passati solo i capolista bloccati, dunque... ».
Le urla in aula, i volantini mostrati alla presidenza, si trasferiscono in strada oggi pomeriggio. Qui in Transatlantico si spiega invece come la legge sarebbe morta sotto il fuoco “amico”. Funziona così, quando ci sono 120 scrutini segreti, anche se hai 100 deputati di margine: c’è una votazione in cui la maggioranza la sfanga per 20 voti, quella successiva in cui la distanza si riduce a 10, alla terza scatta la trappola e passa un emendamento che manda tutto per aria. Impossibile farcela senza fiducia. Però nei capannelli di Forza Italia, la rivolta continua: «Molti di noi voteranno contro al momento finale ». Non basterebbero. Ci vuole il soccorso del Pd per far saltare la riforma. Un deputato del Nord dice sornione: «Io avrei votato “sì” anche senza fiducia. Tanto non mi ricandido, mi voglio godere la fatica che faranno i miei colleghi a farsi rieleggere».