domenica 8 ottobre 2017

pagina 99 6.10.2017
Se la democrazia batte in ritirata
Ideologie | I governi di Polonia e Ungheria hanno riempito il vuoto post-comunista con il nazionalismo. Ma anche a Praga e Bratislava la destra è sempre più estremista


La conversazione nel capannello di diplomatici si conclude con un vuoto imbarazzo. È il giorno dopo il voto tedesco e a Bruxelles si discute informalmente dei risultati. La diplomatica della Germania dice che ha paura che con l’estrema destra in Parlamento la discussione sarà impossibile, trasformeranno tutto in una fake news; il diplomatico spagnolo argomenta che ora il problema è fare il governo; il terzo, ungherese, commenta: «Da noi il governo ha fatto moltissimo per arginare gli estremisti». Nessuna replica, saluti di circostanza e una domanda: come può un esecutivo che ha provato a chiudere università, censurato la stampa, inventato un piano Soros per aizzare la popolazione contro l’accoglienza dei profughi – gli stessi che incarcera e a cui alla frontiera danno la caccia con le mute dei cani – affermare che combatte l’estremismo? Nell’Ungheria del 2017 i sondaggi danno il partito del premier Viktor Orban, Fidesz, al 27%. Dietro, al 12%, ci sono i neonazisti dello Jobbik. In Slovacchia, dove il socialdemocratico Robert Fico si è appellato alla corte di Giustizia contro l’accoglienza dei rifugiati, i fascisti dichiarati del Partito popolare “Slovacchia Nostra” a ottobre potrebbero entrare nella maggioranza dei parlamenti regionali; magari indossando, come spesso fanno, la divisa militare. Questo lo stato, drammatico, delle cose. E nel frattempo l’Unione europea tenta di dialogare per l’ennesima volta con la Polonia del reazionario Jeroslaw Kaczynski, intento a mettere sotto controllo la magistratura. Il vuoto imbarazzo, nella Capitale dell’Unione, è diventato frequente. All’europarlamento il Ppe è rimasto al fianco del governo di Orban di fronte a tutte le ripetute violazioni dei diritti civili. Con Varsavia, dopo infiniti tentativi di dissuasione, si è arrivati a minacciare l’invocazione dell’articolo 7 dei Trattati, quello che riguarda la violazione dei diritti fondamentali dell’Unione – Manfred Weber, il potente capogruppo tedesco dei popolari, questa volta, si è schierato. Serve però l’unanimità degli Stati e l’Ungheria ha già annunciato di essere intenzionata a mettere il veto. Risultato: il dialogo è stato riaperto, l’articolo 7 rimandato. Intanto per la mancata accoglienza dei rifugiati nelle capitali dell’Est si procede con una banale procedura di infrazione. Il sistema intergovernativo europeo da una parte non ha gli strumenti per affrontare la deriva dell’Europa centro orientale, dall’altra teme che chiudere il dialogo con i suoi governi, anche con quello ungherese e polacco, possa essere controproducente. «Quella che è in atto è una vera e propria ritirata strategica dalla democrazia», osserva Viera Zuborova direttrice esecutiva dello Slovak policy institute di Bratislava. «La crisi ha fatto emergere i peggiori istinti e in due anni di elezioni la strategia della polarizzazione ha funzionato dappertutto. Ma mentre la politica cambia linguaggio, obiettivi, metodi di propaganda, il linguaggio dell’Unione europea resta lo stesso. E nel caso della fine del populismo è stata una narrazione falsa, a cui la stampa si è allineata». In ogni nazione che ha vissuto il totalitarismo c’è un seme di illiberalismo, ma nei regimi ex comunisti per Zuborova c’è qualcosa di più: «La nostra è una società cinica: non crede più a niente e a nessuno. Il vuoto lasciato dalla transizione non è mai stato riempito con valori liberali. I governi di Polonia e Ungheria lo hanno riempito con il nazionalismo e hanno ingaggiato una battaglia ideologica contro l’Ue, ma anche in Slovacchia e in Repubblica Ceca, i leader politici tendono alla destra liberale, ma la loro retorica è diventata radicale. Per noi la sola speranza per sfuggire a queste tendenze è restare nel cuore dell’Ue». Il dilemma di Bruxelles è chiaro: a cosa può portare uno scontro frontale che parte già perdente? Vale la pena di correre il rischio di una Polonia che abbraccia Donald Trump o di un’Ungheria sempre più estremista? Una vignetta pubblicata sul quotidiano svizzero Le Temps raffigura l’ufficio di Angela Merkel: «Ora che abbiamo accolto i migranti dobbiamo accogliere gli anti-migranti», le dice un collaboratore. Si riferisce ai risultati di Alternative for Deutscheland, ma è quello che sta succedendo anche nell’Unione. G . F