pagina 99 30.9.2017
L’islam aperto è solo un’illusione
Opinioni | La riforma tunisina sui matrimoni misti è una finta concessione, che non porterà democrazia e diritti. I Paesi musulmani devono separare Stato e religione
di Boualem Sansal
Autore di 2084. La fine del mondo (Neri Pozza editore), è considerato uno dei più importanti scrittori algerini. Da anni denuncia i rischi legati al fondamentalismo islamico
ALGERI. Si potrebbe essere indotti a pensare che qualcosa nel mondo arabo stia cambiando. Oggi in Arabia Saudita le donne possono votare alle elezioni municipali e il re ha promesso che potranno presto viaggiare all’interno del Paese senza essere accompagnate dai loro tutori (nonni, padri, mariti, fratelli o zii). Guidare l’automobile, invece, resta ancora proibito. Il capo-imam dice che provoca l’abbassamento delle ovaie.
In Marocco, la Moudawana (la legge sul diritto di famiglia, ndr) adottata nel 2004 riconosce alla donna qualche diritto. Può sposarsi senza il consenso del suo tutore, chiedere il divorzio e conservare l’alloggio se ha figli, pretendere gli alimenti. Ma, dal 2011, il Paese è governato dagli islamisti che, a poco a poco, stanno riportando le cose al loro stato iniziale, vietando sul piano religioso ciò che il re aveva concesso su quello legale. In Algeria la condizione della donna ha conosciuto qualche miglioramento nel 2005 ma, di fatto, se sitiene conto che il funzionamento della giustizia è in mano ai conservatori, la verità è che la situazione è peggiorata. Nel 2015 il presidente Bouteflika ha promesso di porre rimedio a questa situazione ma, ad oggi, non si vede alcun miglioramento all’orizzonte. In Tunisia, tutto quello che le donne avevano ottenuto ai tempi di Bourguiba è stato eroso con la caduta di Ben Ali e l’emersione dell’islamismo come prima forza politica del Paese. Con l’eccezione della capitale, la Tunisia subisce in pieno la macchina totalitaria dei salafiti, sotto lo sguardo consenziente dell’a mministrazione pubblica e del sistema giudiziario. Oggi ci si rallegra per un diritto del tutto teorico (la recente riforma del diritto matrimoniale, ndr). Ci si sforza di farselo andar bene. Ma quanti sono i matrimoni tra i tunisini e gli stranieri non musulmani? La cifra è vicina allo zero. Perché prendersi il rischio e affrontare mille ostacoli in Tunisia quando basta andare a Roma, a Parigi o a Londra per sposarsi nella gioia e nel buon umore senza chiedere l’autorizzazione a chicchessia? È sufficiente un pezzo di carta ottenuto in moschea che certifica che il marito si è convertito all’islam perconvalidare l’atto di matrimonio e registrarlo nel proprio Paese. Un gesto generalmente fatto solo per salvare l’onore dei genitori rimasti lì. Mica si potrà dire loro che le figlie si sono sposate con un cristiano o un ebreo! Domanda: se l’ebreo è israeliano, il matrimonio è valido? Intanto il problema essenziale dell’eredità e dei diritti sociali, economici e patrimoniali della donna è passato sotto silenzio. Sono questioni regolate dal Corano. Nessun presidente o re del mondo ha il potere di cambiarle. I governi arabi sono abituati a questi sotterfugi: accordare diritti che nessuno chiede e rifiutare quelli che il popolo reclama da molto tempo. Ciò che concedono serve a compiacere la comunità occidentale da cui ci siattende comprensione e sostegno. E ciò che rifiutano serve a compiacere gli islamisti e i conservatori senza i quali il loro regime non potrebbe sopravvivere. In linea generale, in tutti i paesi arabi le promesse di progresso e i passi in avanti sul piano dei diritti vengono velocemente azzerati dal modo in cui funzionano le istituzioni e dalla forte pressione degli islamisti. Nessuna legge religiosa o civile obbliga il musulmano al ramadan, a pregare o a fare l’hajj (il pellegrinaggio alla Mecca,ndr). Eppure mangiare duranteil ramadan comporta la prigione; non pregare o non fare l’hajj trasforma i colpevoli in paria della società. Cercare nelle piccole concessioni accordate qua e là la dimostrazione che le società arabe sono in evoluzione è un esercizio divertente che sottovaluta gli obblighi incredibilmente costrittivi della società arabo-musulmana, sottoposta ai rigori della legge religiosa, della tradizione e dei regimi che si appoggiano ai conservatori e agli islamisti per restare al potere. Tutte queste piccole concessioni, fatte sempre su aspetti secondari, sono arrivatesulla sciadelle«primaverearabe» edel modo in cui l’Occidente le ha accolte. Oltre alla repressione – che ha fatto centinaia di migliaia di morti nel mondo arabo – bisognava pur fare qualche gesto positivo. Non tanto per far progredire la società ma, al contrario, per dividerla ulteriormente e impedire le alleanze tra le diverse fazioni secondo il vecchio adagio «divide et impera». È proprio questo porre l’accento sulle divisioni tra progressisti e conservatori che ha trasformato le primavere arabe in un fallimento che ha permesso al potere di preservarsi. L’idea è che si può sempre promettere e perfino dare, tanto poi domani ci si può rimangiare quanto detto e riprendersi quanto concesso, il tutto in base alle richieste di quelle stesse fazioni in competizione tra loro. Come si fa a pensare che la condizione della donna possa migliorare in un mondo arabo governato da poteri feudali, quando le stesse comunità arabe che vivono in Europa, nel cuore della democrazia, stanno conoscendo regressioni catastrofiche di cui il velo islamico, i matrimoni forzati, l’escissione (l’asportazione del clitoride, ndr) e le rivendicazioni identitarie di cui parliamo costantemente non sono altro che la punta dell’iceberg? Come sperare in un progresso quando gli stessi paesi democratici di tradizione giudaico cristiana consacrano il carattere specifico dell’islam? La più piccola critica di questa o quella particolarità islamica (halal, ramadan, abbigliamento) può essere oggetto di sanzioni nei tribunali perché islamofoba e razzista. In Canada la legge ha santificato l’islam e così non è più possibile sperare di adattare l’islam alla democrazia perché sta accadendo l’inverso: è la democrazia che si sta adattando all’islam. Bisogna uscire dal buonismo e guardare al problema nella sua realtà e nella sua dimensione globale. La situazione delle donne arabe, come quella degli uomini, dei bambini, degli stranieri, delle minoranze, dei gay, dei liberi pensatori, degli artisti, eccetera, nonpotrà migliorare se ipaesi arabi non faranno la vera rivoluzione: separare lareligionedallo Stato,impegnandosisulla via della democrazia. L’Occidente ha tutto l’interesse a promuovere questo processo e a favorirne la realizzazione. Già adesso potrebbe essere troppo tardi. Con il rischio che non ci sia più progresso e democrazia, per nessuno al mondo.