domenica 1 ottobre 2017

La soluzione al caos, secondo gli israeliani laici, non sta in un ammorbidimento delle norme religiose ma, banalmente, nell’introduzione del matrimonio civile....
pagina 99 30.9.2017
Cristiani, ebrei, musulmani i dogmi che dividono Stati e Chiese 
| La sharia vieta alle donne di legarsi a un non-islamico. 
La legge rabbinica proibisce le nozze miste. Per i cattolici il vincolo riguarda l’educazione dei figli
di Anna Momigliano

Secondo la Shari'a, un musulmano può sposare una donna non musulmana, se cristiana o ebrea, però una donna musulmana può sposare soltanto un musulmano: una restrizione teologica che ha conseguenze, pratiche e legali, in molti Paesi a maggioranza musulmana dove il diritto di famiglia è ancora regolato dalla legge islamica, o da normative che ne tengono conto. Il diritto canonico consente ai cattolici, maschi e femmine, di essere uniti in matrimonio con una persona di un’altra fede. Il prezzo da pagare però è che gli sposi si impegnino a «provvedere al battesimo cattolico e alla educazione cattolica della prole» – dettaglio che rischia di mettere a disagio lo sposo “acattolico” – ma visto che nella maggioranza dei Paesi a maggioranza cattolica esiste anche il matrimonio civile la soluzione più semplice è aggirare l’ostacolo. La Halakhah, o legge rabbinica, proibisce il matrimonio misto tout court, ma la cosa non ha dissuaso gli ebrei dallo sposarsi con non ebrei. Il matrimonio misto, o tra persone di fedi diverse, è sempre più comune, ma continua a essere un tema caldo – e in alcuni casi divisivo – per questioni demografiche e identitarie. Basti pensare al polverone sollevato dalla recente modifica al codice tunisino, dove una legge del 1973 che vietava l’unione tra una donna musulmana e un uomo non musulmano è stata dichiarata incostituzionale e revocata. L’a nnuncio s’inserisce in un più ampio programma di revisione del diritto di famiglia. Le riforme hanno mandato su tutte le furie i leader religiosi di Al-Azhar, l’università egiziana considerata la massima istituzione teologica dell’Islam sunnita. Abbas Shuman, il vice del gran Imam, ha definito le proposte «contrarie alla legge divina». Di questo, alla fine, si tratta: separare Stato e Chiesa, o se non altro rendere lo Stato un po’ più autonomo. Da un punto di vista pratico, non ci saranno grandi conseguenze: il 98% della popolazione è islamica, non esistono i presupposti per la diffusione dei matrimoni misti su vasta scala. A dare fastidio, piuttosto, è quello che Amna Guellali, rappresentante di Human Rights Watch in Algeria e Tunisia, ha definito «l’i n izio di un dibattito sano su come si possono prendere antiche leggi coraniche e vedere come fare in modo che riflettano le nuove società». Il matrimonio misto ha valenza diversa a seconda del rapporto che un Paese ha con la religione: dove Stato e Chiesa sono separati è una non-questione legale, basta sposarsi civilmente. Possono invece esserci problemi nei Paesi dove questa linea è più sfumata. Contemporaneamente, però, i matrimoni misti hanno valenze diverse per le maggioranze e per le minoranze: per un gruppo etnico-religioso minoritario, quando diventa predominante, potrebbe comportare problemi demografici. Prendiamo il mondo ebraico: nella diaspora i matrimoni misti sono, prevedibilmente, più regola che eccezione. La maggior parte degli ebrei, del resto, è laica, dunque non si vede dove sia il problema: se un rabbino non vuole celebrare le nozze (e qualcuno, per esempio i rabbini Reform, lo fa), si può andare in Comune. La questione non è religiosa, ma demografica: se il trend va avanti, ci saranno sempre meno ebrei. Anzi, ci saranno sempre meno ebrei laici, perché gli ortodossi tendono a sposare altri ebrei. I dati, in America, parlano chiaro: il 44% degli ebrei è sposato con un non ebreo; e tra gli ebrei che a loro volta sono frutto di matrimonio misto, la percentuale sale all’88. In Israele, dove gli ebrei sono la maggioranza, i matrimoni misti sono l’eccezione. E tecnicamente impossibili. Nel Paese mediorientale infatti non esiste il matrimonio civile, quindi a ognuno tocca sposarsi presso la propria autorità religiosa e il risultato è un intrico complicatissimo. Gli israeliani aggirano il problema andando a sposarsi all’estero, per esempio a Cipro: ufficialmente i matrimoni misti sono il 10%, ma la cifra è falsata dall’alta incidenza di nozze tra ebrei israeliani e immigrati ebrei russi che non sono riconosciuti come tali dal rabbinato di Gerusalemme. La soluzione al caos, secondo gli israeliani laici, non sta in un ammorbidimento delle norme religiose ma, banalmente, nell’introduzione del matrimonio civile.