lunedì 30 ottobre 2017

pagina 99 28.10.2017
La Storia proibita vive nei ricordi
di Cecilia Attanasio Ghezzi

«Siamo qui per conoscere e per non dimenticare, per interrogare e non per rispondere». Madeleine Thien, classe 1974, è una scrittrice canadese figlia della grande diaspora cinese: suo padre è sino-malese e sua madre è di Hong Kong. Con il suo ultimo romanzo è stata finalista del Man Booker Prize 2016 e si è aggiudicata svariati premi. Non dite che non abbiamo niente (66th and 2nd, 2017), ripercorre i quasi settant’anni della Cina comunista attraverso una saga famigliare che intreccia il racconto di più generazioni. Dalla Lunga Marcia a Tian’anmen, passando per la Rivoluzione culturale e l’esilio, le storie dei protagonisti sono legate dal continuo perdere e ritrovare alcuni capitoli di un testo proibito: «Il libro dei ricordi». Quando la intervistiamo è in Cina, durante la settimana del Congresso. 
Perché «Il libro dei ricordi» è così importante? 
Il Partito comunista cinese controlla capillarmente la Storia e l’informazione. Ancora oggi, a 28 anni di distanza, le manifestazioni di piazza Tian’anmen sono escluse dal dibattito pubblico. «Il libro dei ricordi» è una sorta di storia non ufficiale che passa di mano in mano: le verità che non possono essere esplicitate a voce alta si nascondono tra le pieghe di un romanzo. È la memoria sotterranea, una serie di eventi e di nomi che un giorno saranno pubblici. 
E il titolo del tuo romanzo? 
Ricalca la versione cinese dell’Internazionale socialista. Il verso «Nous ne sommes rien, soyons tout» tradotto in russo e quindi in cinese, è diventato «Alzatevi schiavi, alzatevi/ Non dite che non abbiamo niente/ Saremo i padroni del mondo». È stato l’inno ufficioso della generazione di Mao Zedong, ma anche quello che cantavano gli studenti a piazza Tian’anmen la notte del massacro. 
Com’è cambiata la Cina negli anni? 

Pochi paesi hanno attraversato le trasformazioni incredibilmente rapide che hanno sconvolto la Cina. I movimenti per la riforma agraria, le purghe politiche, la Rivoluzione culturale e la rieducazione attraverso le campagne. E poi le politiche di Riforma e apertura di Deng Xiaoping, i movimenti per la democrazia degli anniOttanta, la crescita economica e, oggi, l’ascesa a potenza mondiale. E tutto questo in poco più di sessant’anni. È un dato di fatto che lo spostamento del lavoro dalle campagne alle città cinesi ha contribuito alla più grande migrazione che la storia dell’umanità ricordi. Si potrebbe dire che la Cina è completamente cambiata, centinaia di milioni di individui sono stati sollevati dalla povertà, eppure il controllo politico non è venuto meno. Diritti garantiti dalla Costituzione non vengono rispettati dallo stesso governo e chiunque critichi il sistema politico va incontro a conseguenze terribili. Tutte le volte che vengo in Cina, mi sento completamente annullata. È un Paese complesso, un universo di desideri, vite, aspirazioni, perdite e sogni. Ci sono storie ovunque ed esistenze che vanno al di la di ogni immaginazione. Si potrebbe continuare a viaggiare all’infinito per il Paese continuando a sorprendersi e a commuoversi in modi sempre inaspettati. Ora sei in Cina, ed è un momento politicamente “sensibile”... In un certo senso si potrebbe dire che non è “sensi - bile” affatto. Lo status quo, il potere schiacciante e il prestigio di Xi Jinping, è fuori discussione. Il Congresso è una sorta di perfomance teatrale politica che vuole mandare un messaggio cristallino al Partito, a tutte le amministrazioni, al Paese e al mondo intero. Ma non per questo è meno reale. L’autoritarismo di Xi Jinping è in netto contrasto con l’instabilità che stanno attraversando molti altri Paesi, in particolare gli Stati Uniti. Ma in un certo senso ho l’impressione, tanto più l’ho avuta durante questa settimana, che la maggior parte delle persone non si appassioni alla recita del potere. Sono tutti concentrati sulle proprie vite, a cercare di barcamenarsi in questa economia in costante mutamento e, troppo spesso, instabile. In molti descrivono Xi Jinping come un moderno Mao... Il parallelo con l’epoca maoista deriva dalla crescente presenza di Xi come simbolo. È simbolo della prosperità, della leadership, della filosofia politica e del futuro della Cina. Assumere questo potere, che è allo stesso tempo simbolico e materiale, significa posizionarsi al di sopra della legge. Si ha l’impressione che la tolleranza per il dissenso e la critica si vada ancora restringendo. Senza distinguere se queste opinioni vengono da un rivale politico, da un poeta come il premio Nobel Liu Xiaobo o da un avvocato che cerca semplicemente di difendere i diritti dei suoi clienti. Personalmente, sono tra coloro che non credono che Xi Jinping rinuncerà al potere in un futuro più o meno prossimo.