internazionale 28.10.2017
Tassare i ricchi non danneggia l’economia
Secondo uno studio del Fondo monetario internazionale, aumentare le imposte sui redditi più alti riduce la disuguaglianza e non frena la crescita. Ma non è facile farlo in tutti i paesi
The Economist, Regno Unito
L a disuguaglianza è una delle grandi questioni politiche della nostra epoca, e molti commentatori la considerano un fattore decisivo per l’esplosione del populismo. D’altronde niente più dell’ascesa di un immobiliarista alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe dimostrare il trionfo dell’uomo comune. Un nuovo studio del Fondo monetario internazionale esamina il modo in cui le politiche fiscali potrebbero contribuire a combattere la disuguaglianza. Nelle economie avanzate si è visto qualche effetto. In seguito alle tasse e ai trasferimenti il coefficiente di Gini (un indice che misura le disuguaglianze di reddito) si abbassa di circa un terzo. Tuttavia, mentre queste politiche hanno contribuito a ridurre la disuguaglianza economica tra il 1985 e il 1995, in seguito la loro efficacia è stata quasi nulla a causa di un profondo cambiamento nelle politiche fiscali. In occidente le tasse sui redditi più alti si sono abbassate. Secondo il Fondo monetario, ci sono diverse spiegazioni possibili. Il prelievo fiscale sui grandi redditi potrebbe essere diventato più “elastico”, cioè più sensibile ai cambiamenti delle aliquote: in un mondo caratterizzato dalla mobilità, le élite si spostano da un paese all’altro per ridurre il conto con il fisco. Non c’è però alcun segnale di un aumento dell’elasticità negli ultimi anni.
Una seconda possibilità è che la quota di ricchezza nelle mani dei più ricchi possa essersi abbassata, ma è facile scartare quest’ipotesi, dato che quella quota è cresciuta.
Una terza possibilità è che la società consideri necessario tagliare le tasse per aiutare i ricchi, anche se secondo i sondaggi oggi le persone sono molto più favorevoli alle politiche redistributive rispetto a trent’anni fa. I governi, infine, potrebbero aver abbassato le tasse ai ricchi per incentivare gli investimenti e favorire la crescita. Questa sembra essere la logica dei tagli proposti dal presidente statunitense Donald Trump. In ogni caso, dopo un’analisi condotta sulle aliquote fiscali nei paesi dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Ocse) tra il 1981 e il 2016, il Fondo monetario non ha rilevato alcuna correlazione tra la progressività delle imposte e la crescita. Secondo lo studio, i paesi che desiderano ridistribuire la ricchezza potrebbero “aumentare la progressività delle imposte sul reddito senza compromettere in modo significativo la crescita”. L’aliquota ideale Il Fondo monetario ritiene che l’aliquota fiscale ottimale sui redditi più alti, supponendo che l’obiettivo sia massimizzare le entrate, è del 44 per cento. Dato che nel Regno Unito è già al 45 per cento, lo studio del Fondo monetario non ha molto da offrire al leader laburista Jeremy Corbyn, che vorrebbe portarla al 50 per cento. Offre forse un’argomentazione migliore al leader democratico statunitense Bernie Sanders, perché negli Stati Uniti l’aliquota fiscale sui redditi più alti, prima di qualsiasi taglio operato da Trump, è del 39,6 per cento. Anche in questo caso occorre una certa cautela. Le aziende tendono a muoversi a caccia di un trattamento fiscale più favorevole: l’Irlanda ha attirato investimenti con un’aliquota sui redditi societari pari al 12,5 per cento. Per questo diversi paesi hanno abbassato le tasse sulle imprese: dal 1990 l’aliquota nelle economie avanzate è scesa in media del 13 per cento. Molti ricchi, inoltre, possono scegliere di scaricare i redditi personali sulle aziende per approfittare delle aliquote fiscali più basse. Perciò è difficile aumentare le imposte sulle persone fisiche riducendo allo stesso tempo le tasse alle imprese. Esistono altri modi per ridurre la disuguaglianza attraverso il fisco? Un’opzione esaminata dal Fondo monetario è la tassa sui patrimoni. Ma, tenuto conto dell’influenza politica dei ricchi, sembra improbabile che possa emergere un consenso internazionale su soluzioni di questo tipo. Pochi governi correranno il rischio di aumentare le loro aliquote in modo unilaterale. Potrebbe però profilarsi un futuro governo britannico guidato da Jeremy Corbyn che aumenterebbe le aliquote fiscali sulle imprese e sugli individui. Sullo sfondo c’è la Brexit, un contesto in cui le imprese potrebbero riconsiderare i loro investimenti nel Regno Unito. Sarà un esperimento economico seguito con attenzione dagli altri paesi. E questo suggerisce uno slogan: “Sperimentiamo politiche al posto vostro”.