ll Fatto 19.10.17
L’alternanza scuola-servitù della gleba
di Daniela Ranieri
La
megalomania di una classe politica si misura principalmente su quanta
ambizione mostra nel voler mettere mano alla scuola. Affondare le
grinfie nell’istruzione per esportarvi il proprio modello di società è
il primo atto da tentare se si vuole cambiare l’assetto istituzionale di
un popolo (come peraltro indicato nel “Piano di rinascita democratica”
della P2 di Licio Gelli).
Una coincidenza non incidentale ha
voluto che quelli che hanno lasciato tracce più profonde sull’istruzione
e sulla vita di studenti e insegnanti negli ultimi anni fossero i più
somari del cosiddetto arco costituzionale. Gente a cui non affideresti
nemmeno una scuola di ballo ha deciso del destino di milioni di studenti
dalle elementari fino all’università e dei fondi destinati alla scuola
pubblica e alla ricerca, cioè all’avanzamento culturale e
tecnico-scientifico della Nazione. Da Gelmini (quella convinta
dell’esistenza di un tunnel sotterraneo tra Ginevra e il Gran Sasso in
cui transitavano neutrini), la cui riforma scriteriata sortisce tuttora i
suoi effetti, alla montiana Giannini, firmataria della Buona Scuola di
Renzi, fino alla ministra Fedeli che, forte del suo diplomino alle
magistrali, vuole insegnare ai ragazzi come si studia, un diluvio di
cialtroneria e incompetenza si abbatte da anni sul mondo della scuola e,
nonostante le proteste di tutti i soggetti costretti a subirlo,
continua a produrre danni.
I renziani, che come si sa sono il
drappello della incultura e della rozzezza di una “sinistra” ridotta
allo sbando, non contenti di aver ideato la Leopolda della formazione
nota come Buona Scuola – in cui centrale è la figura del preside-talent
scout che sceglie a chiamata diretta la sua “squadra” di docenti – hanno
prima tentato l’inosabile con le cosiddette “cattedre Natta”, con cui
25 commissioni presiedute da docenti nominati direttamente dal
presidente del Consiglio (!) avrebbero dovuto selezionare ogni anno “500
cervelli italiani e stranieri” (idea bocciata dal Consiglio di Stato
alla fine del 2016); poi hanno obbligato gli studenti degli ultimi tre
anni delle superiori a sottrarre ore allo studio per dedicarle a lavori
non retribuiti (400 ore per gli istituti professionali e 200 per i
licei) e hanno chiamato la rivoluzione “alternanza scuola-lavoro”.
Quest’ultima scemenza gli è riuscita, e se venerdì scorso non avessimo
visto gli studenti sfilare in 70 città con la tuta blu da metalmeccanici
avremmo potuto continuare a credere alla fake news di una generazione
bizzosa e viziata, ingrata del grande regalo che il segretario del Pd,
che sta pappa e ciccia coi geni della Silicon Valley, sta facendo loro.
Peccato
che i ragazzi non vengano sottratti alla didattica per essere inviati
al Cern ad apprendere i fondamenti della ricerca, né accolti nei
ministeri per sapere come nasce una riforma (forse meglio vedere come si
fanno i BigMac). Vengono mandati a passare prodotti alle casse
dell’autogrill, portare sdraio in spiaggia, guidare muletti nei
magazzini, pulire i tavoli dei fast-food. Cioè a fare quel che faranno
da grandi e da laureati se continueremo ad avere governanti del calibro
di questi qui.
Ma perché un provvedimento così demenziale? Il
rasoio di Occam impone di considerare valida la risposta più ovvia e
cioè: perché quelli che lo hanno ideato sono degli analfabeti. Ma a ben
vedere l’alternanza scuola-lavoro, cioè l’alternanza studenti-servi
della gleba, oltre che una furbata di bassa lega (per uno studente che
compie gratis quella mansione, un disoccupato resta a casa), è
perfettamente coerente col modello culturale di Renzi, che a dispetto
dei suoi slogan sul merito ha portato al governo delle nullità e
considera la critica “chiacchiera”, la riflessione una perdita di tempo,
i “professoroni” un freno al progresso.
È naturale che chi ha
fatto il Jobs Act voglia inculcare nei giovani l’idea che non debbano
sentirsi sfruttati, ma appagati di partecipare al grande balzo
neoliberista. Fa comodo alla classe non dirigente attuale che gli
adolescenti si abituino a pensarsi come destinati alla precarietà e a
lavori poco qualificati, sottopagati, senza pensioni future, ferie e
giorni di malattia.
Dopo aver stracciato lo statuto che limitava
il potere dei padroni di licenziare a proprio piacimento i dipendenti,
mancava solo il modo di diffondere tra i futuri lavoratori i principi
della rassegnazione e della mancanza di solidarietà con cui decenni di
svalutazione del lavoro hanno disgregato la coscienza di classe.
Perciò
è semplicemente ridicola la rassicurazione della ministra che presto
sarà attivato sul sito del Miur un bottone per segnalare gli abusi,
quando gli abusi sono scientemente perpetrati dal governo per il quale
lavora. Piuttosto e a proposito, proponiamo l’alternanza per la ministra
Fedeli: visto che il lavoro già ce l’ha, potrebbe alternarlo con
l’attività didattica e finire finalmente le scuole.