La Stampa 9.10.17
Gli italiani sono sempre più depressi
Rischio “mal di vivere” per 8 milioni
di Paolo Russo
«Ne
uscirai più forte, più maturo, più riflessivo di prima. È curabile,
basta stringere i denti, serrare i pugni e tendere fino all’ultimo palmo
di volontà». Così Indro Montanelli incoraggiava il suo amico Roberto
Gervaso, che con lui ha condiviso il “cane nero”, come aveva
ribattezzato la depressione.
Il male oscuro che in Italia colpisce
oltre 4 milioni di persone, con una prevalenza doppia delle donne
rispetto ai maschi, dicono i dati della Sip, la Società scientifica
degli psichiatri. «Il disturbo è sempre più diffuso e a rischio sono 8
milioni di persone - spiega il suo presidente, Bernardo Carpiniello - E’
il tabù del nuovo secolo, una patologia spesso confusa con uno stato
d’animo, non diagnosticata, non trattata, fonte di dolore, disabilità e
prima causa dei suicidi».
Secondo l’Oms il “mal di vivere” è ormai
prossimo a scalzare le malattie cardiovascolari dal trono delle
patologie croniche più diffuse. Con costi sociali elevati: oggi in
Italia con 22 milioni di ore di lavoro perse (circa il 25% delle
giornate lavorative) se ne vanno circa 4 miliardi di euro, oltre 4mila
euro a paziente, secondo i dati diffusi in occasione della Giornata
Mondiale della Salute Mentale, che si celebra domani che proprio
quest’anno è dedicata alla correlazione tra depressione e lavoro.
Un’emergenza sanitaria vera, spinta negli ultimi anni dall’effetto della
crisi. «Nei paesi maggiormente colpiti dalla recessione, come Grecia e
Portogallo, abbiamo rilevato un aumento dei casi», spiega Carpiniello.
Non
si creda però che la depressione minacci solo chi deve combattere per
sbarcare il lunario. «Era come se la testa non fosse mia ma di qualcun
altro» racconta il ricco e vincente Gigi Buffon, ricordando quel «buco
nero dell’anima» che lo inghiottì per sei mesi tra il 2003 e il 2004. E
storie come la sua le hanno raccontate star come Gassman padre e figlio,
Zucchero, Lady Gaga, Beyonce o Gwytneth Paltrow, per citarne alcune.
Loro
l’hanno curata. Ma non è sempre cosi. «Si tende a voler nascondere
queste situazioni temendo il giudizio degli altri, di essere additati
come malati di mente», spiega Paolo Brambilla, professore e psichiatra
dell’Università di Milano. E così si arriva troppo tardi alla diagnosi.
Mediamente di due anni. «Un medico di famiglia con 1.500 assistiti a
carico - rivela la prof. Silvana Galderisi, a capo dell’Associazione
europea di psichiatria - visita ogni anno da 45 a 75 pazienti con
depressione. Ma la diagnosi viene correttamente formulata solo nel 40%
dei casi e solo la metà dei pazienti riceve poi un trattamento
adeguato». Che a volte richiede lunghe e costose sedute di psicoterapia.
Per chi può permettersele, visto che i dipartimenti di salute mentale
pubblici riescono a mala pena a fronteggiare le emergenze.
Poi ci
sono gli antidepressivi, dei quali si abusa. Secondo l’Aifa, l’Agenzia
nazionale del farmaco, 2,6 milioni gli italiani li assumono almeno una
volta l’anno. Anche se poi chi ne avrebbe veramente bisogno interrompe
anzitempo le cure. Cosa che avviene in oltre il 60% dei casi. A
osservarne il consumo si direbbe che la depressione colpisca
maggiormente nelle grandi città. L’8% dei milanesi ne ha fatto uso.
Percentuale che scende a meno della metà nei piccoli centri. «Un po’
perchè i casi restano sommersi, poiché dove tutti sanno tutto è più
facile essere marchiati come insani di mente. Ma anche - conclude il
presidente della Sip - per via del supporto sociale, che nelle piccole
comunità fa da antidoto della solitudine». Che nell’era dei social è
paradossalmente l’altro male di questo secolo.