La Stampa 9.10.17
Così l’Italia inventò la democrazia senza opposizione
L’ultimo
libro di Paolo Mieli sullo strano modello parlamentare italiano che
alle contrapposizioni ha sempre preferito le ammucchiate
di Mirella Serri
Agli
albori dell’Italia unita li chiamavano i «neri» e i «rossi». A definire
«nere» le élites cattoliche e le loro organizzazioni che non
riconoscevano la legittimità del neonato Stato italiano, per primi
furono i liberali. I «rossi», invece, erano i repubblicani e i
rappresentanti dei ceti popolari più deboli che nel 1892 daranno vita al
partito socialista. Queste aggregazioni politiche alla nascita del
«nostro più grande bene» - lo Stato unitario, così chiamato da Francesco
Saverio Nitti - non partecipavano alla gestione del potere ed erano
considerate forze antisistema e destabilizzanti. E lo furono veramente:
la loro sola presenza contribuì a dar vita a una democrazia
rappresentativa molto incerta, a un fragile sistema le cui conseguenze
arrivano addirittura fino ai nostri giorni.
Già, proprio così, il
presente trova le sue ragioni nel lontano passato: lo spiega in un ampio
excursus storico Paolo Mieli nell’ultima raccolta di saggi e articoli,
Il caos italiano. Alle radici del nostro dissesto (Rizzoli, pp.352, €
20).
Lo storico e giornalista, transitando da Quintino Sella alla
Grande Guerra, dagli anni in camicia nera al Novecento degli scandali e
della mafia, reinterpreta in maniera assolutamente originale e
controcorrente le vicende culturali, politiche e giudiziarie dello
Stivale. Tutto comincia, si potrebbe dire, con l’improvvisa morte di
Camillo Benso conte di Cavour: dopo la sua scomparsa i presidenti del
Consiglio cadono come foglie secche dagli alberi. Si passa rapidamente
da Bettino Ricasoli a Urbano Rattazzi al mentalmente instabile Luigi
Carlo Farini.
I premier che succedono al «figlio della libertà»,
l’autodefinizione è di Cavour, trovano un’originale soluzione per non
«bruciarsi», spiega l’ex direttore del Corriere della sera e de La
Stampa. Si dimettono prima del voto parlamentare «quando questo si
prospetta dubbio o negativo». È un escamotage dei capi di governo per
tenere aperta la porta al rientro alla testa di una nuova combinazione
di forze anche se provenienti dall’opposizione. Evitando la sconfitta
attraverso crisi superate senza il suggello elettorale s’inaugura una
prassi di governo insolita. Si guarda con ammirazione ai Whigs liberali e
ai Tories conservatori.
Ma Destra e Sinistra storica per «non
bruciarsi» si cimentano in una lotta «interna a un’unica grande
maggioranza… una gara la cui posta è la leadership della maggioranza
stessa, mai la formazione di una maggioranza alternativa», commenta il
saggista. La Destra teme che la Sinistra si possa alleare con «i rossi
antisistema» e viceversa la Sinistra sospetta che i suoi antagonisti
diano vita a un sodalizio con «i neri» clericali. Le forze politiche si
confrontano in un «amalgama» come quello inaugurato da Agostino
Depretis, il gran padre del trasformismo. Il Parlamento - anche se a
fasi alterne (con l’eccezione, per esempio, del periodo fascista) - vive
sempre in una singolare condizione di emergenza e di rissa permanente:
non si verifica il ricambio democratico tra chi vince e chi perde e gli
sconfitti non considereranno mai normale il fatto di stare seduti sui
banchi dell’opposizione durante una stagione parlamentare.
A dar
man forte a maggioranze che si fanno e si disfano senza il ricorso alle
urne e ad alimentare gli antagonismi contribuiscono anche artisti,
scrittori, musicisti. La casistica riportata da Mieli è ampia e
paradossale: in queste diatribe per delegittimare chi milita nelle
schiere degli avversari finiscono sotto tiro persino personalità
impensabili come John Fitzgerald Kennedy, futuro indiscusso mito
dell’occidente. Ma all’epoca dell’installazione dei missili sovietici a
Cuba, sulla scia del Pci il presidente americano veniva attaccato, per
esempio, dai più prestigiosi intellettuali come un «nazista atomico»,
così Carlo Levi, come un antidemocratico rispetto al «democratico» Fidel
Castro da Cesare Zavattini e come il motore della vicina guerra
nucleare da Giangiacomo Feltrinelli.
Parimenti i democristiani
filo americani metto sotto accusa, è un altro esempio, gli
«intellettuali squillo», i più noti e celebrati scrittori anti Usa, come
Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Di miasmi e di veleni come
questi si è nutrita, per decenni, l’anomala avventura politica degli
italiani. Oggi però nell’emiciclo parlamentare si fronteggiano più
contendenti e allora cosa accade?
«Abbiamo saltato il fondamentale
processo della legittimazione reciproca - osserva Mieli - e ci
ritroviamo nel mondo tripolare - destra, sinistra e forze antisistema -
inadatto a porre le fondamenta di un edificio politico stabile come
quelli che abbiamo conosciuto in passato in tutte le democrazie
occidentali… Il caos italiano mentre noi consumavamo la nostra
incapacità a dividerci è diventato caos dell’intero mondo occidentale. E
questo non è un bene». Come dire, abbiamo esportato la democrazia,
all’italiana, s’intende.