Corriere 9.10.17
L’Italia delle leggi razziali «Oggi nessuno ricorda»
Approvate dal regime nel ‘38, per l’ottantesimo anniversario mostre con documenti inediti
«Ce n’è bisogno se si continua a parlare di italiani veri»
di Gian Guido Vecchi
Trieste,
18 settembre 1938, mattina. Il cacciatorpediniere «Camicia Nera»
attracca al «molo Audace» con «il Duce sulla plancia di comando». È la
prima volta che si possono vedere per intero queste immagini, 34 minuti
restaurati e digitalizzati dall’istituto Luce. La voce narrante informa
sobria che la città è «un solo palpito di attesa e di amore» e in piazza
dell’Unità ci sono 150 mila persone, camicie nere e fez, fazzoletti e
applausi, gente sui davanzali. L’attesa del comizio, in effetti, è
tragicamente giustificata: il discorso di Trieste è il primo e l’unico
nel quale Mussolini, con toni raggelanti, annuncia in pubblico le
«soluzioni necessarie» per affrontare il «problema ebraico» in quanto
«problema razziale», spiega che per mantenere il «prestigio dell’impero»
occorre «una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non
soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime» e infine
esclama tra le ovazioni: «L’ebraismo mondiale è stato durante sedici
anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del
fascismo».
Bisogna guardarlo bene, perché questo è «il primo atto
antisemita mediatico del regime», spiega lo storico Marcello Pezzetti,
il segno che le cose precipitano. Il filmato sarà al centro di una
mostra che dal 16 ottobre, in vista degli ottant’anni dalle leggi
razziali, verrà allestita nella Casina dei Vallati, in largo 16 ottobre
1943, il luogo della razzia nazista del ghetto di Roma. Curata da
Marcello Pezzetti e Sara Berger, della Fondazione Museo della Shoah, si
intitola «1938» ed ha uno scopo molto semplice: «La gente non sa, i
ragazzi non sanno che cosa sono state le leggi razziali. Con materiale
quasi del tutto inedito — fotografie, immagini, documenti — facciamo
vedere ciò che è accaduto».
A Trieste è lo stesso Duce a smentire
le tesi riduzioniste che lo vorrebbero condizionato da Hitler: «Coloro i
quali fanno credere che noi abbiamo obbedito a imitazioni o peggio a
suggestioni sono dei poveri deficienti». Il documento programmatico
dell’antisemitismo biologico, «Il fascismo e i problemi della razza»,
era uscito il 14 luglio 1938. In agosto il regime schedò la popolazione
ebraica, un censimento prezioso per le deportazioni naziste. All’inizio
di settembre arrivò la cacciata di studenti e insegnanti «di razza
ebraica» da tutte le scuole. Dopo Trieste, nelle sedute del 7, 9 e 10
novembre, il consiglio dei ministri approverà il «corpus» delle leggi
razziali, la morte civile della popolazione ebraica, l’espulsione da
ogni impiego pubblico, dalle professioni, i divieti sulla proprietà e i
matrimoni «razzialmente misti».
Nella mostra fanno impressione gli
schemini disegnati a mano dagli «esperti» di «Demorazza», nel ministero
dell’Interno, per calcolare il grado di «razza ebraica», le immagini
dei cartelli sulle vetrine («Proprietari o personale di questa libreria
sono ariani») o degli ebrei in giacca e cravatta costretti al «lavoro
obbligatorio» con ramazze e picconi. La perversione burocratica produce
decine di circolari grottesche, pure divieti sui «saltimbanchi
girovaghi» o «gli allevatori di piccioni viaggiatori». I ricercatori
hanno trovato un verbale nel quale il presidente del Coni e quello della
Federcalcio dispongono la cacciata degli atleti e degli sportivi ebrei:
come Arpad Weisz, l’allenatore che vinse uno scudetto con l’Inter e due
con il Bologna e morì ad Auschwitz.
Un’altra mostra, sempre
allestita da «Cor», racconterà in aprile le vicende delle persone. «Se
ne sente un gran bisogno», sospira Pezzetti: «Allora “italiano” e
“ariano” divennero sinonimi. Oggi si torna a parlare di “veri italiani” e
cose simili. La mostra non ha riferimenti all’attualità perché sarebbe
pleonastico. Il virus razzista sta penetrando nelle coscienze. Qui noi
lo facciamo vedere: guardate i danni che ha fatto».