La Stampa 7.10.17
L’estremismo imprigiona la sinistra
di Gianni Riotta
Al
recente Festival della rivista Internazionale, a Ferrara, ragazzi in
fila per ascoltare Angela Davis, ex studentessa del filosofo Marcuse,
celebre negli Anni 70 per i processi subiti con le Pantere Nere in
California. Davis ha parlato, suadente, di libertà e razzismo, ma
nessuno ha ricordato agli incantati studenti che la Davis,
filosovietica, ha ricevuto il premio Lenin da Breznev ai tempi
dell’invasione dell’Afghanistan e una laurea ad honorem dal dittatore
tedesco dell’Est Honecker, elogiando Urss e Ddr sotto il Muro di
Berlino. Poco importa, il vento estremista spazza forte sinistra e
destra.
Il leader laburista Corbyn usa contro mercato e Occidente, toni
abbandonati a Londra dopo Lady Thatcher e Tony Blair. In America il
Partito democratico è incalzato a sinistra dai senatori Sanders e
Warren, mentre i repubblicani slittano a destra, Luther Strange,
candidato conservatore al Senato sostenuto da Trump, viene battuto alle
primarie in Alabama dall’ultras trumpiano Roy Moore, in crociata
cristiana contro «l’America dei senza Dio».
In Italia, Berlusconi torna
a esser considerato dal Partito popolare europeo un affidabile
parafulmine centrista, per paura dei populisti Salvini e Meloni, e
perfino fra i 5 Stelle, il candidato premier Di Maio si vede contestare
da fedelissimi di Grillo, solidali con la violenza di piazza. È però a
sinistra, come tradizione dalla scissione comunista dal Partito
socialista nel 1921, che il revival estremista semina caos. Nel 1975,
giovane segretario della Federazione giovanile comunista, l’ex premier
Massimo D’Alema irrideva, non senza ragioni, i «gruppettari» della nuova
sinistra, accusandoli di ingenuità davanti alla realtà politica. Adesso
coglie invece l’usta del francese Mélenchon, persuaso che Putin sia un
faro per l’Europa, lo elogia, prende le distanze dalla cultura
riformista che portò alle vittorie di Clinton, Blair, Prodi, e che lui
stesso sostenne, con coraggio, durante la guerra contro i pogrom nei
Balcani. Tanti cittadini, vedono nel liberismo – non nell’automazione -
il padre della crisi economica e invocano a rimedio anacronistiche
utopie. Che il male sia più antico della diaspora Renzi, Pisapia,
Bersani, D’Alema, lo ricorda accorato il decano del Pci Emanuele
Macaluso, a 93 anni, fautore di tolleranza a sinistra - toccante
l’orazione funebre per l’ex direttore del Manifesto Valentino Parlato -
ma purtroppo a suo tempo campione di intolleranza, al partito e
all’Unità, quando liquidava la Rossanda e Pintor come anticomunisti
estremi, al soldo delle destre.
Al di là degli opportunismi, il tema è
cruciale: rispondere all’ansia romantica, generosa, pur ingenua e priva
di strategia, che ispira milioni di elettori, è ostico per i moderati.
In Spagna il governo centrista di Rajoy manda la polizia contro il
referendum in Catalogna e ha dalla sua diritto, Corte Costituzionale e
re Filippo VI. Purtroppo non gli basta contro la Storia, che accende di
passione estrema i catalani, cari all’Orwell di «Omaggio alla
Catalogna». Rintuzzare gli afflati di rivolta, Brexit o Barcellona, con i
codicilli è come spegnere l’Etna con l’innaffiatoio.
«The times they
are a-changin» cantava nel 1964 il Nobel Bob Dylan, «i tempi cambiano…
l’ordine tramonta in fretta…»: la politica razionale, crescita,
diplomazia, dialogo governato da diritto e mediazione, è alle corde.
Deve reagire alla furia del tempo digitale con grinta, mossa da valori
accesi, disposta a perder poltrone. Il linguaggio «diretto» di
personalità disparate come Papa Francesco, Trump, Grillo va virale
online, arzigogolare stucca. A 10 anni dalla nascita del Partito
democratico Renzi, Franceschini, Boschi, Delrio, Minniti, il fondatore
Veltroni, tecnici come Padoan o Calenda, possono trovare una via
d’uscita raziocinante al caos se combattono il fuoco con il fuoco,
dimostrando che i propri ideali hanno un futuro. La rivoluzione del XXI
secolo non deve finire in mano ai neonazi AfD o ai trolls del Cremlino,
ma democrazia aperta e tolleranza non si difendono isolati tra blazer e
tailleur nei seminari PowerPoint. A sorpresa, il manifesto politico di
questa possibile strategia viene da un critico estraneo ai retroscena
politici, Roberto Calasso di Adelphi, ne «L’innominabile attuale»: «Ci
si può chiedere se la società secolare è una società che crede in
qualcosa, oltre che in se stessa» argomenta profetico Calasso, che
oppone al nichilismo parallelo di ribelli e padrini dello status quo,
«la mediazione», speranza che il futuro non sia senza fedi e comunità,
orfano del sacro, della democrazia, della verità.