Corriere 7.10.17
Gli obiettivi comuni che avvicinano Pd e Forza Italia
Il patto tra i leader di Pd e Forza Italia che lascia «mani libere» dopo le urne
L’obiettivo di depotenziare M5S. Le coalizioni-ologramma pronte a dissolversi
di Francesco Verderami
«Si
vince quando si ha un leader e un programma», diceva un tempo
Berlusconi. Siccome oggi non può essere il leader in campo, né può
conciliare le sue posizioni europeiste con quelle sovraniste di Salvini,
con il Rosatellum aggira i due problemi. Le coalizioni sono ologrammi:
scompariranno dopo il voto.
L’intesa con Renzi sulla legge
elettorale fa perno sui dettagli tecnici della riforma ma anche su una
comune tattica mediatica. C’è un motivo se il Cavaliere — al pari del
leader democrat — ha mantenuto un profilo basso durante la trattativa,
lasciando trapelare dubbi, esitazioni e persino ripensamenti: in questo
modo non è stato commesso l’errore che a giugno provocò l’affondamento
del «tedesco». Evitando di assumersi la paternità del Rosatellum,
mostrandosi quasi trascinati al compromesso, entrambi hanno tenuto
finora il patto quanto più possibile al riparo dalle (inevitabili)
tensioni politiche.
Ma il patto li soddisfa. Senza un premio di
maggioranza per il rassemblement vincente e senza l’indicazione di un
candidato premier tra partiti alleati, il nuovo sistema di voto lascia
al capo di Forza Italia e al segretario del Pd le «mani libere» dopo le
urne, quando tutti sanno che l’unico governo possibile sarà frutto di
una maggioranza di larghe intese. Semmai ci saranno i numeri. Proprio
per venire incontro a questa esigenza, il Rosatellum — grazie ad alcuni
accorgimenti noti agli specialisti della materia — tra «assenza di
scorporo» e «collegamenti con liste locali» dovrebbe favorire l’altro
obiettivo che i due si sono dati: comprimere il tripolarismo,
depotenziare cioè il risultato dei Cinquestelle.
L’interesse è
reciproco, la strategia è chiara. Lo si intuisce dal linguaggio comune
adoperato in questo anticipo di campagna elettorale contro «i
populisti», e dalle parole ancor più esplicite usate dal coordinatore
del Pd Guerini a Porta a porta: «Una legge contro i grillini? Non è
colpa nostra se non si coalizzano con nessuno». Appunto. E nell’attesa
di verificare se il patto stavolta diventerà legge, il Cavaliere — al
pari di Renzi — mette in fila le truppe, dividendole tra futuribili
liste funzionali a ottimizzare il consenso.
La sua idea di
depositare il marchio «Rivoluzione Italia» non deve però trarre in
inganno: da sempre il fondatore del centrodestra protegge i nomi
testati. Non si sa mai. Intanto ha fatto avvisare tutti i potenziali
alleati che bussano alla sua porta per un finanziamento: «Il dottore
vuole attendere l’approvazione della riforma». Traduzione: fino ad
allora non sgancerà nemmeno un euro. Dopo, chissà. Anche perché il
Rosatellum gli avrà pure tolto di mezzo due problemi (quello della
leadership della coalizione e quello del programma comune) ma non lo
esimerà dalla sfida con Salvini per la lista che percentualmente avrà il
primato nel centrodestra. Per vincere è probabile che vorrà fare il
pieno con Forza Italia.
Tutto era impossibile ottenerlo, e
Berlusconi ritiene di aver raggiunto il miglior accordo possibile alle
condizioni date. Come Renzi, che se ha deciso di aprire alle coalizioni
non è perché sia stato folgorato sulla via del Rosatellum, ma perché
indotto dall’accordo in Sicilia con Alfano, grazie al quale i centristi
(e Mdp) dovranno superare una soglia abbordabile: il 3%. È la prova che
le leggi elettorali non sono neutre, ma rispecchiano la fase politica
del momento. Le coalizioni ologramma sono figlie di questo tempo: ognuno
andrà a caccia di voti per il proprio partito, in una guerra tra
«vicini di casa» che è già iniziata. Come testimonia il derby sovranista
tra Meloni e Salvini sui referendum in Lombardia e Veneto.
È vero
che nell’immaginario collettivo il centrodestra è dato oggi in
vantaggio su Pd e M5S, ma senza una maggioranza nei due rami del
Parlamento le forze dell’alleanza non potranno formare da sole un
governo. E analizzando i sondaggi del momento, emerge che i loro dati —
disaggregati — sono inferiori alle percentuali dei democratici e dei
grillini. Dopo le urne l’ologramma scomparirà.
Resta ancora da
capire se il Rosatellum supererà il test degli scrutini segreti alla
Camera. E va interpretato il modo in cui ieri, alla riunione azzurra dei
lombardi, il capogruppo del Senato Romani ha invitato i dirigenti
locali ad appuntarsi una data: «Preparatevi. Si voterà il 4 marzo». Un
tono assertivo, simile a quello del coordinatore di Ap Lupi, che
trovandosi casualmente al Pirellone, ha fatto capolino alla riunione di
Forza Italia con una battuta: «Siamo di nuovo insieme. Non vi avevano
avvisati?». La certezza sulla data delle elezioni può venire solo dalla
sicurezza che la riforma verrà approvata. E solo la fiducia può dare
garanzie. La smentita alla Stampa , che l’altro giorno aveva rilanciato
l’ipotesi, fa testo fino a un certo punto: c’è il precedente della
fiducia sull’Italicum. E stavolta ci sarebbe anche il sostegno tecnico
di due partiti dell’opposizione.