venerdì 6 ottobre 2017

La Stampa 6.10.17
Compleanno democratico tra sogni e paradossi
di Marcello Sorgi

Sabato prossimo, 14 ottobre, il Pd celebrerà al Teatro Eliseo di Roma il decennale della sua nascita. Già la scelta del luogo è significativa: all’Eliseo Berlinguer il 15 gennaio del 1977 proclamò la scelta dell’austerità - il dovere della sinistra di farsi carico del peso della crisi economica -, che preludeva al sostegno attivo, dalla «non sfiducia» all’ingresso in maggioranza, al governo guidato da Andreotti. Una prova di responsabilità che non fu capita: e infatti alle elezioni del ‘79 il Pci fu sconfitto e tornò all’opposizione.
Quanto a Veltroni, fondatore del Pd, 10 anni fa a Torino realizzò la svolta più coraggiosa mai impressa all’interminabile «stop and go» della storia della sinistra italiana. Nel tentativo di ricucire la separazione tra l’anima massimalista e quella riformista, delineò un partito «a vocazione maggioritaria», aspirante cioè a raccogliere i voti di tutti gli elettori di sinistra, e un programma che, rompendo con la tradizione di continuità, accettava per la prima volta di fare i conti seriamente con il capitalismo, la libertà d’impresa, i limiti da imporre al ruolo dei sindacati, le improcrastinabili riforme economiche dell’era della globalizzazione, la democrazia maggioritaria e la necessità di presentarsi con un candidato premier che sarebbe diventato capo del governo davanti agli elettori.
Dopo la sua sconfitta (seppure con quasi il 35 per cento dei voti) alle elezioni del 2008 e le sue dimissioni dalla segreteria nel febbraio 2009, alla guida del Pd sono stati: Franceschini per un breve interregno, Bersani eletto con le primarie, Epifani per un secondo interregno, e Renzi, eletto e rieletto con le primarie. La scissione di Mdp dello scorso febbraio, con l’uscita di dirigenti come lo stesso Bersani e D’Alema, che avevano condiviso la piattaforma programmatica della fondazione, e l’iniziativa «Campo democratico» di Pisapia, hanno messo in crisi l’idea del partito unico del centrosinistra. Così Renzi è al bivio tra ripresentarsi da solo, come Veltroni nel 2008, o tornare alla coalizione con tutte le diverse anime del centrosinistra, come Bersani nel 2013.
Ma il paradosso di questa vicenda, con tutto ciò che di bene e di male è accaduto nel decennio, è che il Pd, dopo essersi dilaniato dal 2007 al 2017, alla fine s’è spaccato perché è arrivato un segretario, come Renzi, che forse troppo spregiudicatamente e senza badare alle maggioranze con cui lo faceva, da presidente del consiglio ha cercato in tutti i modi, e in buona parte è riuscito, a realizzare il programma enunciato da Veltroni dieci anni fa.