La Stampa 30.10.17
Sfila la marea unionista: “Puigdemont in galera”
Barcellona, il leader destituito rischia 30 anni di carcere. Oggi inizia il commissariamento di Madrid
[f. oli.]
Un
fine settimana per rifiatare dallo stress emotivo e politico di questi
giorni ed ecco che torna viva la battaglia in Catalogna. È un lunedì
chiave per capire come andrà da qui al 21 dicembre, la data scelta dal
premier Rajoy per le elezioni anticipate.
La piazza resta
protagonista, in un senso e nell’altro. Ieri è stato il turno degli
unionisti. Una folla importante, oltre un milione per gli organizzatori,
300 mila per la Municipale, ha ribadito il suo no all’indipendenza,
dichiarata in fretta e furia venerdì scorso. Al corteo sul Passeig de
Gracia di Barcellona hanno partecipato i partiti che hanno appoggiato
l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione (il commissariamento
della Generalitat): dal Partito popolare, a Ciudadanos e anche il
Partito socialista catalano. A parte due brutte aggressioni a un
tassista e a un’impiegata delle ferrovie, tutto si è svolto
tranquillamente. Leader morale, come già nella dimostrazione dell’8
ottobre, è stato l’ex presidente del parlamento europeo Josep Borrell,
socialista catalano, nemico del secessionismo. Motto della giornata:
«Tutti siamo la Catalogna». Coro più ascoltato: «Puigdemont a prisión».
E
l’ipotesi non è affatto da scartare: ieri la Procura generale ha deciso
che la denuncia per ribellione contro la presidente del Parlamento
Carme Forcadell, sarà presentata non soltanto al Tribunale supremo ma
anche all’Audiencia nacional di Madrid, quella, per intenderci, che ha
spedito in prigione (preventiva) i due leader secessionisti, Sánchez e
Cuixart. La Procura ha pronte altre denunce contro Puigdemont e i membri
del suo ex governo. Il presidente decaduto, in caso di condanna per
ribellione, rischia fino a 30 anni di carcere. Alle brutte, ci sarebbe
un’ancora di salvezza: «Puigdemont potrebbe chiedere asilo politico al
Belgio», dichiara il ministro dell’Immigrazione Theo Francken, il quale
non crede nella giustizia spagnola, «vista la repressione, ci si può
chiedere se ci sarà un processo equo». Il suo primo ministro, Charles
Michel lo riprende, «non è all’ordine del giorno», anche perché è reduce
da una crisi diplomatica con Madrid, dovuta alle critiche per le
cariche del referendum.
Calcio a parte, Puigdemont e i suoi
ministri non sono comparsi nemmeno ieri. Oggi è un giorno importante,
perché si capirà se opporranno resistenza passiva, ovvero entreranno nei
loro uffici, dopo la destituzione decisa dal governo spagnolo e già
operativa. Stesso discorso vale per circa 150 funzionari. La sensazione è
che si cercherà l’immagine simbolica, la foto che dimostri
l’usurpazione spagnola, ma non si dovrà ricorrere alla forza per far
sloggiare i dirigenti della Generalitat. In questa direzione si
potrebbero leggere le parole dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras,
che, dopo aver ricordato che Puigdemont resta il capo legittimo della
Generalitat aggiunge, «nei prossimi giorni dovremo prendere decisioni
non facili da capire». Un messaggio, forse, ai suoi che si aspettano
resistenza a oltranza. Ma i partiti indipendentisti ora hanno una
missione: ricompattarsi per le elezioni del 21 dicembre, giudici
permettendo.