Il Fatto 30.10.17
Gli unionisti si prendono pure la piazza
L’altra Catalogna - Migliaia di persone a Barcellona contro l’indipendenza dalla Spagna
di Leonardo Vilei
“Se
si fosse dichiarata davvero l’indipendenza, molti di voi oggi sarebbero
disoccupati”. Così Josep Borrell, ex presidente del Parlamento europeo,
ha accolto le migliaia di manifestanti che a Barcellona hanno sfilato
ieri per difendere l’unità della Spagna. Un milione, secondo la
prefettura, trecentomila, stando alla polizia municipale, ma al di là
degli ormai classici diverbi numerici quel che conta è la compattezza di
un movimento impossibile soltanto un mese fa.
Il tabù, del resto,
era stato rotto con la manifestazione dell’otto ottobre scorso, quando
la cosiddetta maggioranza silenziosa aveva infranto per la prima volta
le regole non scritte degli indipendentisti: la piazza è nostra, la
Catalogna anche. E invece, dopo i giorni convulsi che hanno portato
Carles Puigdemont a dichiarare l’indipendenza e Mariano Rajoy a prendere
tutti alla sprovvista commissariando la regione per il tempo minimo
previsto dalla legge prima di tornare alle urne, lo spazio politico si
presenta quanto mai affollato. Costituzionalisti da un lato, con
popolari, socialisti e Ciudadanos pronti a difendere il 21 dicembre le
ragioni della sospensione dell’autonomia regionale, separatisti
dall’altro, divisi al loro interno sul da farsi. In mezzo, gli
equidistanti di Podemos, con Ada Colau, sindaca di Barcellona, in testa,
che hanno detto no sia all’indipendenza che al commissariamento. Tranne
per la componente anticapitalista che ha fatto sapere di riconoscere
“la nuova repubblica catalana”. Sul fronte secessionista, i più radicali
della CUP, partito anticapitalista, vorrebbero disertare e sabotare un
appuntamento elettorale che ritengono illegale. Il PDeCat di Puigdemont
ed ERC di Oriol Junqueras, ormai rimossi dalle loro funzioni e perciò
anche dalla macchina che organizzerà le elezioni, sanno invece di non
poter mancare all’appello e hanno poco tempo per riunire un solo
schieramento e tentare il plebiscito.
Il nervosismo è altissimo,
dopo un mese in cui la fuga delle banche e delle imprese ha assestato il
colpo più grave al governo catalano, che aveva tranquillizzato sempre
in tal senso i propri elettori: l’economia non ne risentirà e l’Europa
sarà con noi. E invece, sul fronte economico, 1.681 imprese hanno
spostato la sede legale o fiscale dal primo ottobre; su quello europeo,
non un solo leader ha offerto una sponda credibile, mentre ha creato più
imbarazzi che altro la dichiarazione del belga Theo Francken,
Sottosegretario di Stato all’Immigrazione, che ha offerto asilo politico
a Puigdemont in caso di arresto. Il dirigente del partito
indipendentista fiammingo N-VA è stato poi smentito dal presidente belga
Charles Michel. Probabilmente le prospettive di un ipotetico stato
digitale, sul modello estone, con l’adozione di una moneta elettronica
in stile bitcoin, che sono circolate come possibili rimedi
all’isolamento di una repubblica catalana indipendente, più che riunire
rischia di allontanare i consensi. Agli indipendentisti non resta altro
che formare una lista civica calibrata sul messaggio unificante
dell’oppressione spagnola, convincere i più recalcitranti della Cup e
mettere come capilista persone provenienti dalla società civile. Già
circola in tal senso l’idea di partire dai due Jordi, ossia Sànchez e
Cuixart, attualmente in prigione per le attività delle associazioni
culturali che presiedono, le due piattaforme logistiche e ideologiche
dell’indipendentismo. La partita è appena cominciata.