La Stampa 2.10.17
Pisapia e Mdp, dialogo senza intesa
“Ognuno farà la sua assemblea”
Dibattito alla festa di Napoli. Oggi insieme da Gentiloni per la legge di stabilità
di Francesca Schianchi
«Non
sono qua per verificare l’applausometro o altro, ma per essere chiaro».
Completo grigio e camicia bianca, sguardo sulla platea che affolla il
delizioso chiostro di Santa Chiara, alle soglie di Spaccanapoli, lì dove
in prima fila siedono vari dirigenti di Mdp ma non i primi attori del
partito Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, mentre promette chiarezza
l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia viene accolto da un applauso
tiepido in questa Festa del Lavoro di Mdp. Un’accoglienza educata come
si deve a un ospite, più che al leader in pectore.
Poco prima che
salisse sul palco, per un’intervista incrociata con il coordinatore di
Mdp Roberto Speranza, l’aspettativa era dichiarata: che l’avvocato
milanese, designato ma riluttante leader di una federazione alla
sinistra del Pd, desse finalmente il via all’operazione. Con parole
nette e certe: quelle che usa, infastidito da alcune polemiche delle
ultime settimane, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe, per
indicare quello che non ha funzionato, anche per assicurare una
comunanza di programma che una delegazione da lui guidata - annuncia -
discuterà oggi con il premier Gentiloni in vista della legge di
bilancio. Molto meno chiare però - lamenta alla fine qualche bersaniano -
quelle usate per dare un impulso vero al progetto comune.
«Dal 1°
luglio al 1° ottobre non siamo stati all’altezza del compito che
avevamo: non riesco a capire perché io e Pisapia non siamo nello stesso
partito», fa autocritica per primo Speranza. «La mia idea era che ognuno
si sciogliesse in un campo più ampio: invece c’è chi ha costruito il
suo piccolo partitino», rimprovera Pisapia proprio chi lo sta ospitando,
«anche questa festa, io l’avrei voluta fare insieme». Va bene, concede
il giovane coordinatore di Mdp, in jeans e camicia, «noi siamo pronti a
fare un salto, gettiamo il cuore oltre l’ostacolo e facciamo una grande
assemblea democratica», chiede. Una sorta di appello che però,
verificano alle fine sconsolati da Mdp, cadrà nel vuoto: «Il 14 ottobre
facciamo la nostra assemblea, di Campo progressista», si limita a
ricordare ai giornalisti alla fine Pisapia.
Un «noi» e un «voi»
che si cerca di annullare nei programmi: oggi, a Palazzo Chigi, Pisapia e
Speranza, coi due capigruppo La Forgia e Guerra, porteranno proposte su
sanità, pensioni e lavoro, un piano di investimenti per la cura del
territorio. «Chiediamo una discontinuità sui temi sociali», ricorda
Speranza. «Con Gentiloni c’è stata già una discontinuità nel metodo, nei
toni», sottolinea Pisapia. Anche se non c’è la minaccia, pure ventilata
da più parti nei giorni scorsi, di non votare la manovra: «Non siamo
quelli che vogliono portare la troika nel Paese», mette in chiaro il
coordinatore di Mdp; «Non sei un pokerista, vero? Se no non ti saresti
già giocato questa carta...», il rimprovero scherzoso dell’ex sindaco
milanese.
Sul rapporto col Pd - impossibile per una parte di Mdp,
almeno finché alla guida ci sarà Renzi; mentre Pisapia è sempre stato
più dialogante, e ancora ieri diceva di sentirsi «molto vicino ad alcune
sue anime» - ci si incontra sulla legge elettorale. «Con questa legge
non c’è nessuna possibilità di alleanza col Pd», spiega chiaramente
l’avvocato di Milano, d’accordo con Speranza sull’idea che «se passa il
Rosatellum bis noi metteremo un candidato in ogni collegio uninominale»,
per «prendere un voto in più del Pd», frase che Speranza sottolinea
soddisfatto come certificazione di una definitiva scelta di campo del
corteggiato ex sindaco. Anche se il passaggio più applaudito è stato
forse nell’intervista precedente, quella alla presidentessa della Camera
Laura Boldrini, quando ricorda che «il popolo di centrosinistra è più
unito dei suoi rappresentanti».
Lui che di questo popolo dovrebbe
fare il leader, anche se qualcuno già gli preferirebbe il presidente del
Senato Grasso (lo ha detto Vendola, e lui risponde che «mi ha
infastidito che dica che sono generoso con me stesso»), resta vago su
una sua candidatura: «Se uno si mette a servizio fa quel che serve». In
lontananza scoppiano dei fuochi d’artificio. «Bella ciao» a tutto volume
copre un applauso ancora troppo tiepido per il leader predestinato.