La Stampa 27.10.17
Strappo di Grasso: il Pd senza futuro
Lite sulla fiducia per la legge elettorale: “Scelte che imbarazzano le istituzioni, lascio il gruppo”
Strappo
di Grasso dopo il via libera definitivo di Palazzo Madama alla legge
elettorale. Il presidente del Senato: «Il Pd è senza futuro, lascio il
gruppo». Sul vertice di Bankitalia, Gentiloni impone la conferma di
Visco e sfida Renzi. Il segretario democratico: non condivido.
Pronta la leadership Mdp “Non mi riconosco neanche nel futuro dei dem”
di Andrea Carugati
«Politicamente
e umanamente la misura è colma». Poche ore dopo il sì definitivo del
Senato alla nuova legge elettorale, il presidente Pietro Grasso lascia
il gruppo del Pd. Una notizia «inaspettata e non prevedibile», confida
il capogruppo dem Luigi Zanda, cui Grasso ha telefonato pochi minuti
prima di ufficializzare la sua scelta. Il Rosatellum, approvato con 5
voti di fiducia nella sua Aula di palazzo Madama, è stata la goccia che
ha fatto traboccare il vaso. La molla che ha spinto l’ex magistrato
entrato in politica nel 2013 col Pd di Bersani a lasciare il partito di
cui non aveva mai preso la tessera. «Non mi riconosco più nel merito e
nel metodo di questo Pd, vedo comportamenti che imbarazzano le
istituzioni e ne minano la credibilità e l’indipendenza. Non mi
riconosco nemmeno nelle sue prospettive future», spiega Grasso, che
aveva cercato con la moral suasion di evitare i voti di fiducia sul
Rosatellum, di percorrere la via ordinaria votando i circa 200
emendamenti che erano stati presentati. «La fiducia va evitata, è una
forzatura che svuota il ruolo e le funzioni del Senato», aveva spiegato
nei giorni scorsi ai vertici del Pd. La stessa legge elettorale non lo
ha mai convinto. «Se avesse votato in Aula non avrebbe votato nè la
legge, né la fiducia sugli articoli», racconta amareggiato Zanda, uno di
quelli che gli aveva chiesto nei mesi scorsi di correre per la guida
della Sicilia sotto le insegne del Pd. E invece nel corso dei mesi le
distanze si sono allargate. Prima le critiche durante l’iter della
riforma costituzionale, poi l’invito a Renzi (inascoltato) a «non
trasformare il referendum in un plebiscito». Fino all’ultima legge
elettorale. «L’importante è che sia costituzionale e nell’interesse dei
cittadini e non dei partiti», ha ammonito Grasso un mese fa. «Toni
antipolitici come quelli del M5S», la gelida risposta del presidente del
Pd Matteo Orfini.
Non è un caso che la scelta di Grasso sia
arrivata ieri, poche ore dopo lo show di Denis Verdini in aula, con la
sua rivendicazione di avere sempre fatto parte della maggioranza. «La
mia scelta è l’unica che possa certificare la distanza, umana e
politica, da una deriva che non condivido», spiega l’ex magistrato.
Deriva che include anche l’alleanza in Sicilia e poi alle politiche con
Alfano. «Quando mi sono candidato nel Pd riconoscevo principi, valori e
metodi condivisi, che si sono andati disperdendo». Il suo futuro con
tutta probabilità sarà ancora in politica. «Sono un ragazzo di
sinistra», ha ricordato una ventina di giorni fa alla festa di Mdp a
Napoli. Tra i renziani, ma anche dentro le fila della sinistra, c’è la
convinzione che si tratti di una mossa di avvicinamento ad una
candidatura con la nuova lista di Bersani. Di cui potrebbe essere il
leader, o comunque uno dei front man. «Per il futuro vedremo», taglia
corto il presidente. Il senatore renziano Salvatore Margiotta lancia una
provocazione: «Per coerenza dovrebbe dimettersi anche da presidente del
Senato, ove il Pd lo designò». «Non è la nostra linea, nessuna
richiesta di dimissioni», spiegano dal Nazareno. «Una decisione che
amareggia», le parole ufficiali del vicesegretario Maurizio Martina. Nel
gruppo dem al Senato la scelta di Grasso viene letta come un «gesto
eclatante che dà il via alla sua campagna elettorale con la sinistra
radicale». «In questi anni è stato tra i più tenaci avversari del Pd»,
spiega un renziano. «Ma non trascineremo la seconda carica dello Stato
nello scontro politico», taglia corto Orfini. A sinistra Arturo Scotto
non nasconde la soddisfazione: «Un ragazzo di sinistra non poteva più
stare nel Pd». Nei prossimi mesi non cambierà di una virgola il suo
profilo di arbitro del Senato: «Questa scelta non scalfisce in alcun
modo la mia imparzialità».