La Stampa 26.10.17
Agnes Heller
“La Rivoluzione russa fu un colpo di stato orchestrato da Lenin”
“Ma il peccato originale che genera bolscevismo fascismo e nazismo è la Prima guerra mondiale”
intervista di Francesca Paci
Agnes
Heller, una delle maggiori filosofe del Novecento, arriva
all’appuntamento al ghetto di Roma con le scarpe no logo appena
acquistate, «perché a Budapest si trovano solo quelle fatte in Cina e
tra gli ungheresi il 35 non ha molto mercato». Minuta, vestita
anonimamente, spartana fino a preferire la panchina al dehors del bar,
l’ottantottenne erede di Hannah Arendt raccoglie il testimone del
dialogo sulla rivoluzione d’ottobre con la verve con cui teneva testa al
suo maestro, György Lukács. Nel Palazzo della Cultura l’attende la
festa della letteratura ebraica dove si parla dei suoi libri sulla
politica e l’Europa editi da Castelvecchi. Il pubblico le passa accanto e
non la nota.
Racconti la rivoluzione del ’17.
«Fu un
putsch. La rivoluzione del popolo durò da febbraio a ottobre, poi
subentrò il partito. I leninisti erano una minoranza nell’assemblea
costituente e Lenin la dissolse. Rosa Luxemburg gli scrisse d’indire
nuove elezioni ma Lenin tirò dritto. Se per rivoluzione s’intende la
presa del potere da parte del popolo quella di ottobre non lo fu, se
invece si allude al cambio di regime è diverso, il regime cambiò. Il
vero turning point del XX secolo però, è la I guerra mondiale, il
peccato originale che genera bolscevismo, fascismo e nazismo. Quella
guerra preparò il terreno ai totalitarismi e agli altri orrori, compresa
la Shoah che avvenne solo in Europa, in tutta l’Europa».
Cosa resta dopo cento anni?
«Allora
pochi capirono il peso della I guerra mondiale, che oggi è chiaro a
tutti. Che lezione ha tratto l’Europa? Nessuna. Sennò non avremmo avuto
il secolo breve, una serie di errori sin dalla pace ingiusta del ’19 che
umiliò la Germania. È vero che poi l’Europa ha rifiutato la guerra, i
totalitarismi, ha archiviato la massima causa di conflitti, i poteri
opposti di Francia e Germania. Le nazioni europee, diversamente dalla
Russia, hanno rinunciato alle loro ambizioni territoriali. Ma non è
molto».
È sopravvissuta ad Auschwitz, ha visto i gulag: abbiamo esorcizzato tutto quell’odio?
«In
parte sì. L’Europa è meno divisa. Fino a 50 anni fa destra e sinistra
avevano narrative opposte, fascisti e comunisti s’imputavano a vicenda
il male del 900. Oggi si ammettono anche i propri errori».
Nato per emancipare l’uomo, il comunismo ha finito per uccidere la speranza?
«Marx
vide il comunismo come emancipazione, i soviet furono solo
totalitarismo. All’inizio diversi intellettuali aderirono. Molti però,
come Sweig, si ricredettero presto, altri finirono nei gulag. Il
comunismo è stato ucciso dalla speranza nella redenzione, l’idea che la
politica elevasse l’uomo. Dopo la politica toccò alla scienza. Oggi è in
crisi l’illusione del progresso universale, se ci salveremo sarà con le
relazioni sociali».
Caduto il muro, le due Europe si sono ricongiunte su questo?
«Dopo
il 1945 sono nate in Europa alcune democrazie liberali, ma Grecia,
Portogallo e Spagna sono rimaste ancora a lungo delle dittature.
Nell’89, per ultimi, si sono liberati i Paesi dell’est e non hanno avuto
il tempo d’imparare. Gli ungheresi, che non erano abituati ad agire da
cittadini ma da soggetti per cui tutto era deciso dall’alto, mantengono
il bisogno del leader».
Il comunismo frana a Budapest nel ’56, a Praga nel ’68, nell’89?
«Fallì
prima di partire perché l’impianto era sbagliato. L’esperimento
produsse Stalin. Tutti ne erano consapevoli. Ma la II guerra mondiale
rilanciò i sovietici, i soli capaci di fermare Hitler. Avevo 12 anni
alla battaglia di Stalingrado, Parigi era caduta. Fu lì che mio padre,
anticomunista, si schierò con loro, quelli che avrebbero liberato
Auschwitz. Si sapeva di Bucharin, Trotsky, ma l’antinazismo prevalse.
Nel ’56 a Budapest eravamo già oltre, lo avevo capito nel ’53 quando era
stato riabilitato Pálffy, un militare condannato come spia Usa. Dopo il
caso Pálffy dissi a Lukács «compagno, è tutto finto».
L’Ungheria di Orban è una conseguenza di quel fallimento?
«Orban
somiglia a Erdogan e copia Putin. Il j’accuse anti Soros è un’idea
russa. Gli ungheresi odiano essere associati ai russi, il 70% vuole
l’Europa anche se sostiene questo governo. Orban è un leader senza
ideologia: illiberale, non totalitario».
L’Europa è una risposta sufficiente per superare il 900?
«L’Europa
non ha preso sul serio il suo compito, l’idea del salto nel futuro è
falsa: non bisogna saltare ma affrontare il conflitto tra centro e
periferia smettendola di pensarsi felici. L’allargamento è stato
positivo, ma non si sono capiti i problemi dell’est, le ferite del
passato. Non basta difendere le democrazie liberali: l’occidente deve
considerare anche quelle illiberali, la sua contraddizione».
L’occidente ha capito cosa è stato il comunismo applicato?
«I
paesi con forti partiti comunisti, l’Italia e la Francia, si sono
tenuti a distanza, pur essendo pagati da Mosca. Il problema con il
comunismo, anche con quello anti-totalitario alla Luxemburg, è la
proprietà privata: quando inizi ad abolirla finisci al totalitarismo,
perché possedere è un bisogno umano».
Quali altri sono i bisogni umani nel mondo post-ideologico?
«Iniziai
questa querelle con Marcuse, quando lui parlò di bisogni buoni e
cattivi. Chi definisce i bisogni veri o falsi? Tutti i bisogni vanno
riconosciuti come degni anche se non devono essere per forza
soddisfatti».