La Stampa 24.10.17
1938, le vite spezzate degli ebrei italiani mostrano il vero volto del fascismo
di Amedeo Osti Guerrazzi
Che
nel 1938 Mussolini abbia deciso di perseguitare gli ebrei con delle
leggi che li escludevano dalle scuole, da quasi tutti i lavori e, in
generale, dalla società, è cosa nota. Gli effetti sulle persone di
queste leggi razziste e infami è meno noto. Ancora oggi si sente spesso
dire che Mussolini non era un sanguinario come Hitler, e quella fascista
era stata una dittatura all’acqua di rose. Questa leggenda storica
(oggi si direbbe «fake news», tempo addietro si diceva baggianate),
viene ripetuta non soltanto a livello popolare, ma anche da libri
(alcuni anche recentissimi) che vorrebbero essere scientifici.
La
storia è nota, ma è forse opportuno ricordarla, ancora una volta,
attraverso le vicende di una famiglia, per capire cosa ha voluto dire,
per dei cittadini italiani di religione ebraica, essere improvvisamente
spogliati del loro lavoro, del loro diritto all’istruzione, del loro
posto nella società.
Giulia Spizzichino era una ragazzina ebrea
romana, nata nel 1926 e cresciuta nel quartiere di Testaccio da una
famiglia di piccoli commercianti di tessuti. Aveva quattro fra fratelli e
sorelle e la vita, per un nucleo così numeroso, era difficile. Soltanto
nei tardi Anni Trenta, grazie al duro lavoro dei genitori, gli
Spizzichino raggiunsero una modesta agiatezza. Come tanti, anche Giulia
indossava le divise delle organizzazioni giovanili del Partito fascista,
andava alle parate, partecipava alle cerimonie. Era una famiglia
normale, quella degli Spizzichino, perfettamente integrata nella società
dell’epoca. Non erano neanche particolarmente religiosi. Rispettavano
le feste ebraiche, almeno quelle più importanti, ma si scambiavano
regali all’Epifania e festeggiavano il capodanno cristiano.
Eppure
anche per Giulia l’apertura dell’anno scolastico 1938/1939 fu un
trauma. «L’elemento personale che associo alle leggi razziali - ha
scritto nel suo libro La Farfalla impazzita - sono le lacrime di mia
madre, il brutto giorno in cui io venni allontanata dalla scuola. Lì per
lì mi colpirono molto, non l’avevo mai vista piangere».
Fu un
trauma che tutti i testimoni dell’epoca ricordano con particolare
amarezza. Il punto di svolta nelle loro vite. Ma quello che i ragazzi
ebrei ancora non sapevano, ma impareranno molto presto, è che si trattò
solo del primo passo. A novembre, dopo la cacciata dalle scuole e dalle
università, arrivarono le leggi antiebraiche vere e proprie. Migliaia di
persone furono costrette a lasciare il lavoro, l’esercito, il Partito.
Molti emigrarono, altri tentarono la difficile strada della
«discriminazione». Alcuni, non pochi, si toglieranno la vita.
Ma
ciò che fece più male, negli anni successivi, fu il progressivo
isolamento dalla società. Vicini di casa, colleghi, amici o presunti
tali, levavano il saluto agli ebrei, ormai considerati degli appestati,
cambiavano marciapiede quando gli incontravano per strada, fingevano di
non vederli. Altri, i peggiori, approfittarono delle leggi per prenderne
i posti nel lavoro.
Nonostante le leggi, gli Spizzichino
continuarono ad avere una vita quasi normale. Cesare, il padre, riuscì a
mantenere in piedi il suo negozio fino a quando, nel 1941, a causa di
un atto di generosità verso dei correligionari in difficoltà, fu inviato
al confino. «Ho visto mio padre allontanarsi in mezzo a due fascisti,
una scena che nel mio cuore è come se fosse accaduta ieri».
Fu una
vita difficile, difficilissima quella degli Spizzichino durante la
guerra. Ma il peggio arrivò con l’occupazione tedesca. Privati delle
tessere per il cibo, il padre fu costretto a vendere ciò che restava
della merce del suo negozio clandestinamente. Poi, in autunno, la
famiglia decise di fuggire fuori Roma. Ma dopo poco anche in provincia
la situazione si fece troppo pericolosa. Gli Spizzichino dovettero
tornare a Roma, nascondendosi in via Madonna dei Monti dove, per colpa
di un collaboratore italiano dei nazisti, furono scoperti. Giulia,
assieme al padre, riuscì a sfuggire alla retata, ma buona parte della
famiglia venne catturata. I maschi furono portati nel carcere di Regina
Coeli e dopo tre giorni uccisi nella strage delle Fosse Ardeatine.
Giulia
scampò alla razzia, ma tutto il resto della sua vita è stato segnato da
questo lutto terribile. Alla fine del secolo scorso, ha avuto un ruolo
fondamentale nel processo ad Erich Priebke, uno dei carnefici delle
Ardeatine.
Le leggi antiebraiche sono state un vulnus a secoli di
civiltà giuridica italiana, hanno causato enormi sofferenze a migliaia
di cittadini italiani colpevoli soltanto di andare il sabato in sinagoga
invece che la domenica a messa, ma soprattutto hanno creato quel clima
orribile di ostilità e diffidenza nei confronti di una minoranza che ha
facilitato enormemente la persecuzione delle vite tra il settembre 1943 e
l’aprile del 1945. Hanno avvelenato un popolo, il nostro, segnando una
macchia indelebile di vergogna per il nostro Paese.