domenica 1 ottobre 2017

La Stampa 1.10.17
Una ridicola carnevalata che minaccia l’Europa e crea altre fratture in Spagna
Gli indipendentisti potranno dire che ha prevalso il “Si” a prescindere dalla partecipazione e nonostante la mancanzadi trasparenza
di Juan Luis Cebrian

La prima volta che ho avuto l’opportunità di imbucare il mio voto in un’urna è stata in occasione del referendum che la dittatura franchista aveva organizzato nel dicembre del 1966 per ratificare la Legge Organica dello Stato, nome scelto per il patetico intento di istituzionalizzare il regime attorno a qualcosa che potesse sembrare una Costituzione. Poiché stavo facendo il militare, ho votato portando l’uniforme di soldato e seguendo gli ordini ricevuti, sotto serie minacce di essere arrestato se avessi fatto diversamente. Ovviamente ho votato «no», senza alcuna speranza che potesse servire a qualcosa, e così mi sono allineato, secondo i risultati ufficiali, con lo scarso 1,5% del censimento che esprimeva il suo rifiuto di fronte a quella carnevalata franchista organizzata con tutto il cinismo del mondo in nome della democrazia.
Alcuni giorni prima del voto, un giornalista europeo mi aveva chiesto, tra l’ingenuo e il sarcastico, dove si trovava l’ufficio del «No», perché voleva fare un reportage sui pro e i contro della proposta. «Quell’ufficio non esiste - risposi - l’unica propaganda permessa è per il “Sì”, promosso dagli organi ufficiali, con soldi pubblici e la massiccia presenza della tv statale, l’unica esistente». La presunta consultazione, aggiunsi, non era tale, non esprimeva la volontà degli spagnoli e sarebbe finita per non servire a nulla quando il dittatore fosse morto, cosa che poi sarebbe successa.
Le immagini di quell’epoca mi tornano irrimediabilmente alla memoria, considerate tutte le differenze, che forse non saranno tante in molti aspetti, rispetto al voto convocato oggi in maniera apertamente illegale da parte del governo autonomo catalano. Quest’ultimo e quello di Madrid si sono ingarbugliati in una polemica di profili quasi ridicoli, se non mettessero a rischio la stabilità politica spagnola. Mentre la Generalitat insiste che ci sarà il referendum, Rajoy si è stufato di dire che non si celebrerà. Ed entrambi potrebbero proclamare la loro vittoria al tramonto. Alcuni diranno che, nonostante gli ostacoli dei tribunali e la repressione di Madrid, sono riusciti a far sì che una massa considerevole di cittadini si avvicinasse alle urne o almeno cercasse di farlo: cioè, che la consultazione si è celebrata, salvo nei casi in cui è stato impedito dalle forze pubbliche. Altri, che non c’è stato il referendum perché, appunto, non poteva esserci.
Alcuni collegi saranno aperti, alcune urne saranno riempite ed evidentemente non si prevede l’abbondanza di voti negativi, quindi gli indipendentisti potranno dire, se lo vorranno, che avrà vinto il «Sí» a prescindere dalla partecipazione e nonostante l’assoluta mancanza di trasparenza.
È impossibile non riconoscere che le proteste per le strade superano di gran lunga qualsiasi previsione del governo di Madrid, anche se, in realtà, sembrerebbe non aver previsto quasi nulla in questo caso. La goffaggine del pubblico ministero, l’assenza della politica, l’incapacità statica del presidente hanno anche molte colpe in questo monumentale sbaglio, nel quale si mischiano l’indipendentismo con il diritto a decidere, e nel quale la gente si alza e riempie gli spazi pubblici con un’aria festaiola, come se fossimo a Rio de Janeiro, ma anche indignata, e con un obiettivo diverso dall’indipendenza: far fuori il governo Rajoy e le politiche del Partito popolare.
La sfida indipendentista non attenta più di tanto all’unità spagnola, che non verrà rotta, ma alla stabilità del processo politico ed economico e anche alla sopravvivenza stessa dello Stato. La carnevalata indipendentista, come quella franchista del ’66, non produrrà gli effetti desiderati da coloro che l’hanno ideata e promossa. Non ci sarà l’indipendenza in Catalogna come conseguenza della consultazione. Ma i danni creati, abbastanza visibili, saranno profondi: divisione e confronti tra i catalani; diffidenza mutua tra Catalogna e resto d’Europa; crescita dell’ispanofobia nella Comunità autonoma e logoramento della democrazia spagnola. Saremo di fronte, come se non bastasse, al rigermogliare del nazionalismo spagnolo, fomentato dalla destra al potere; alla frammentazione della sinistra, già accusata dopo il disordine interno che hanno prodotto gli attuali leader del Psoe; e a un rinvigorimento delle pulsioni conservatrici e del centralismo, considerevolmente dannosi per il futuro di tutto il Paese. Cattive notizie per gli spagnoli. Anche per gli europei in generale.
*Presidente del quotidiano spagnolo «El País» e membro della Real Academia Española
Traduzione di Pablo Lombó Mulliert