La Stampa 18.10.17
Xi Jinping apre il Congresso del Rinascimento cinese
La
leadership del Partito Comunista da oggi riunita nella capitale: avanti
con le riforme economiche E il presidente lancia l’agenda dei prossimi
trent’anni: fuori dalla povertà 30 milioni di persone
di Francesco Radicioni
«Voi
avete il vostro modello, noi abbiamo il nostro». Chi vive in Cina si
sente spesso ripetere questa frase. Dopo l’ultima crisi finanziaria
globale e le contraddizioni delle democrazie occidentali, il senso di
queste parole ha preso nuove sfumature. Oggi, per molti cinesi, il
messaggio è che - in fondo - il modello politico ed economico della
Repubblica popolare sia migliore.
Il 19° Congresso del Partito
comunista - che si apre questa mattina nella Grande Sala del Popolo nel
cuore di Pechino - sarà l’occasione per il presidente Xi Jinping di
rilanciare questa visione, oltre che per consolidare il proprio potere
al vertice della Repubblica popolare. Salito al potere nel 2012, da
allora il presidente cinese è riuscito ad accentrare nelle sue mani
tanto potere come non si vedeva da decenni a Pechino. In questi anni, Xi
ha stravolto alcune dinamiche e tradizioni con cui è stata governata la
Cina nell’ultimo quarto di secolo, facendo della sua carismatica
presidenza l’inizio di una nuova fase politica che si propone di
cambiare il volto del Paese per i prossimi trent’anni. Fin da subito, Xi
Jinping ha chiarito che il suo ambizioso progetto prevede il «grande
rinascimento della nazione cinese» entro il 2049. Al di là del
linguaggio paludato, il traguardo è proprio quello di rendere i cinesi
più sicuri del proprio sistema economico, politico e culturale.
Quando
questa mattina Xi Jinping prenderà la parola davanti ai 2287 delegati,
rappresentanti di oltre 89 milioni di iscritti, nella sua relazione
risuoneranno gli slogan che hanno caratterizzato la retorica della
leadership cinese di questi ultimi anni. Forte enfasi sarà posta sulla
trasformazione della Cina in una «società moderatamente prospera» entro
il 2020: il che significa portare fuori dalla povertà altri 30 milioni
di persone. «La sfida più difficile di tutte», l’ha definita Xi alla
vigilia del Congresso. Nei prossimi cinque anni la Repubblica popolare
dovrà anche muovere i primi passi nella costruzione di un nuovo modello
economico - riassunto nel piano Made in China 2025 - che punti su
innovazione, produzioni ad alto valore aggiunto e tutela dell’ambiente.
Il primo mandato di Xi Jinping è stato anche quello della «nuova
normalità» e del rallentamento della crescita economica: passata dal
7,9% del 2012 al 6,7% dello scorso anno. È anche probabile che Xi
Jinping torni a sottolineare l’importanza della riforma delle imprese di
Stato. Difficile però che le riforme economiche saranno quelle che ci
si aspetta in Occidente. Pechino è consapevole del «ruolo decisivo»
svolto dalle forze del mercato nel portare la Cina fuori dal
sottosviluppo: il 60% della crescita economica e l’80% dei posti di
lavoro viene dal settore privato. Allo stesso tempo, la leadership
cinese è anche convinta che debba essere la politica a governare
l’economia, per far così fronte ai rischi legati al debito, alle
incertezze sui mercati finanziarie e alla massiccia fuga di capitali.
Insomma, controllo sulla società e stabilità nelle scelte di politica
economica, non saranno sacrificati sull’altare delle liberalizzazioni.
Xi tornerà anche a rivendicare i successi nella campagna contro la
corruzione che ha punito centinaia di migliaia di funzionari, ma che è
stata usata anche per metter fine alla carriera di alcuni astri nascenti
sulla scena politica di Pechino che rischiavano di fare ombra al
«nucleo» del Partito. Sul fronte interno restano aperte le sfide
rappresentate dalla turbolenta periferia della Repubblica Popolare:
Tibet, Xinjiang, Taiwan e il movimento democratico di Hong Kong. Il
grande rinascimento della Cina passa anche dalla svolta che Xi ha
imposto al ruolo internazionale del colosso asiatico. In Cina non si era
mai visto un presidente così globetrotter – in questi anni è volato in
America Latina e in Medioriente, in Africa e in Asia centrale – oltre
che così attivo sui principali dossier della politica estera. Pilastro
della politica estera di Pechino rimane però la Belt and Road:
l’iniziativa economica e strategica promosso da Xi Jinping nel 2013 e
che si propone di collegare il continente Euroasiatico attraverso una
capillare rete di infrastrutture. Un piano Marshall con caratteristiche
cinesi, secondo alcuni. Un’iniziativa che ha consentito a Pechino di
rafforzare le relazioni con alcuni Paesi della regione, compresi alcuni
dei principali alleati degli Stati Uniti in Asia.