il manifesto 18.10.17
Xi Jinping, dal decennio d’oro alla discontinuità
di Simone Pieranni
Xi
Jinping costituisce uno storico punto di discontinuità nella recente
storia cinese. La Cina del «decennio d’oro», il periodo che va dal 2002
al 2012, era un paese contraddistinto da una crescita a doppia cifra, in
grado di organizzare Olimpiadi a Pechino nel 2008 e l’Expo a Shanghai
nel 2010 – entrambi eventi da considerarsi ben riusciti. Analogamente
era il paese che, a seguito dell’epoca delle Riforme volute da Deng,
aveva saputo inserirsi nei meccanismi economici mondiali, guidando la
propria economia in modo pianificato e sapendola difendere da pericolose
ingerenze esterne, tanto che la crisi finanziaria del 2008 colpì
Pechino solo di rimbalzo mettendo in difficoltà il suo modello legato
all’esportazione. Quella Cina era un paese guidato dal Partito
comunista, non senza polemiche sui temi dei diritti umani, ma di cui
veniva riconosciuta la capacità di una dirigenza di tecnocrati in grado
di fare andare la locomotiva cinese nella direzione voluta. Si parlava,
non a caso, di «dirigenza» in modo generico: l’allora numero uno Hu
Jintao non era certo nei radar dei media internazionali; in pochi
ricordano il suo contributo teorico dello «sviluppo scientifico» del
socialismo cinese data la sua figura grigia, diluita nella «guida
collettiva» del partito.
Dal 2012 tutto questo è cambiato: alla
segreteria del Partito e alla presidenza della Repubblica popolare è
arrivato Xi Jinping. Il suo nome, allora, venne identificato come
«segnale di continuità» con il passato.
La realtà ha dimostrato il
contrario, fin dall’inizio: quella che doveva essere una successione
«pacifica» ha portato alla luce del sole una lotta terribile all’interno
del partito. Ne fece le spese Bo Xilai, legato a una camarilla ultra
nazionalista; oggi Bo è in carcere, condannato all’ergastolo, mentre Xi
Jinping, dopo questo Congresso, sarà probabilmente il leader più forte
che la Cina abbia mai avuto.
E se è scontata la sua nomina a
guidare il paese per i prossimi cinque anni, esistono serie possibilità
che il suo mandato possa arrivare a 15 anni. Ha attirato su di sé più
cariche di Mao Zedong e con la campagna anticorruzione si è presentato
come il risolutore del male dei mali della Cina guadagnando sostegno e
credibilità popolare. Ha posto sotto di sé militari, sicurezza nazionale
ed economia. È stato nominato «cuore» del partito comunista e il
«pensiero di Xi Jinping», così come il «pensiero di Mao Zedong» e la
«teoria di Deng Xiaoping» finirà nella carta costituzionale del partito
comunista, divenendo una linea guida associata al suo nome finché il
Partito esisterà. Di fatto Xi Jinping non è solo l’uomo più potente
della Cina ora, ma è l’uomo più potente dalla nascita della Repubblica
popolare.
Questo accentramento dei poteri ha avuto come direttrici
tanto la politica interna, quanto – e soprattutto – quella estera. Il
«nuovo sogno cinese», ovvero la volontà di riportare il paese al posto
che gli compete, al centro del mondo, «la rinascita della nazione
cinese», un mix di tentativi immaginifici molto simili al soft power
(calcio, cinema ad esempio) insieme allo smart power (progetti di
acquisizione economica tout court) costituisce il fulcro attraverso il
quale Xi Jinping ha rimesso la Cina al centro di trame mondiali. Xi
Jinping ha disegnato per il futuro una «globalizzazione alla cinese»,
costituita dalla Nuova via della seta; si tratta di una globalizzazione
paternalistica, sicuramente egemonica e per quanto nazionalistica, molto
distante dalla muscolarità americana. Internamente Xi Jinping ha spinto
su innovazione, robotica, intelligenza artificiale, big data e su una
maggiore compenetrazione tra pubblico e privato, arrivando a desiderare
una partecipazione statale anche nelle aziende fiore all’occhiello del
rinnovato «made in China», non più solo fake, ma campioni del mondo
dell’e-commerce (Alibaba) o delle app (Wechat).
Chi può fermarlo?
Secondo il Wall Street Journal in una Cina di questo genere il pericolo
potrebbe arrivare dai miliardari. Ma Xi ha già dimostrato di sapere come
gestirli: arrestandoli. Che Cina sarà dunque: un paese sempre più
improntato ad allargare il più possibile la classe media e a fare pesare
il proprio ruolo internazionale. Ma nelle mani di una sola persona,
come non accadeva da tempo.