martedì 17 ottobre 2017

La Stampa 17.10.17
Cadorna, il più odiato dagli italiani
Dal nuovo libro di Alessandro Barbero: un ritratto del “generale di marmo”
di Alessandro Barbero

Comandante e autocrate dell’esercito era il capo di Stato Maggiore, il conte Luigi Cadorna, per lo più designato da giornalisti e subalterni semplicemente come «il Capo». Su di lui si sono dette così tante cose contraddittorie che oggi è difficile abbozzarne in poche righe un ritratto. Oggetto dell’entusiasmo di chi lo dipingeva come un grande soldato e un uomo indispensabile al Paese, divenne poi, dopo Caporetto, il simbolo di tutto quello che c’era stato di arcaico, di meccanico, di troppo autoritario, e perfino di crudele nella gestione dell’esercito.
I soldati lo avevano in poca simpatia e lo citavano in canzonette irriverenti («Il general Cadorna / ha detto alla regina: / se vuol veder Trieste / la guardi in cartolina»). Fra gli ufficiali in trincea aveva fama di iettatore: «Nominare Cadorna in un crocchio di camerati sollevava un coro di esclamazioni e produceva uno scompiglio di braccia e di mani che cercavano lo scongiuro in un pezzo di ferro o negli attributi maschili», attesta un ufficiale della brigata Alessandria, che sarà annientata a Caporetto. I politici lo amavano poco, per la sua insofferenza di ogni intromissione parlamentare e governativa, spinta a tal punto da farlo sospettare di tentazioni autoritarie. «Rare volte mi è capitato di trovare tanto odio accumulato su una sola persona», commentò un generale dopo la sua destituzione all’indomani di Caporetto.
Nel 1917 Cadorna aveva 67 anni. Suo padre Raffaele aveva comandato le truppe italiane alla presa di Roma, il 20 settembre 1870; suo figlio Raffaele comanderà dal luglio 1944 il Corpo Volontari della Libertà, prima di sedere alla Camera per tre legislature nelle file della Democrazia cristiana. Rigido cattolico, con due figlie monache, Cadorna serviva la monarchia risorgimentale dei Savoia senza pregiudizi, o cercando di non averne. Il 6 marzo 1917, dopo aver nominato il generale Capello al comando della Zona Gorizia, scriveva alla moglie: «Capello è giunto oggi e non sta nella pelle dalla gioia. È molto intelligente ed energico ed è subito entrato nelle mie idee... Al Capello ho dato Badoglio come desiderava. Così sono in pieno tre puntini! Almeno non diranno che ho delle prevenzioni!» - dove i tre puntini stavano ovviamente per il simbolo massonico. Nell’Italia dell’epoca, massoni e clericali erano schierati su fronti opposti, ma nell’esercito di Cadorna quei pregiudizi non dovevano trovare spazio.
Luigi Cadorna è stato criticato per la scarsa intuizione psicologica e l’indifferenza al morale della truppa, per la convinzione fors’anche ottusa che l’esercito dovesse obbedire e basta, e che per ottenere l’obbedienza bastasse la disciplina, col risultato che nell’esercito italiano si fucilavano gli uomini, talvolta anche senza processo, molto più facilmente di quanto non accadesse in tutti gli altri eserciti del fronte occidentale. Quest’immagine di ottusa ferocia gli è rimasta incollata fino ad oggi: di recente lo scrittore Ferdinando Camon ha iniziato una violenta campagna d’opinione perché sia cambiato il nome alle vie e piazze che in diverse città italiane sono dedicate a Cadorna. Ai contemporanei la durezza del Capo pareva meno urtante, anzi pochi la rilevavano. Un ufficiale che combatté a Caporetto rimase colpito dal contrasto fra il suo aspetto affabile e la verità dell’uomo: «Il generalissimo ha quello speciale sorriso buono che hanno sempre, come una maschera, gli uomini severi».
Del sorriso di Cadorna parla anche il colonnello Angelo Gatti, capo dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore: «Quando ride mostra la dentiera grossa, in disordine, pulita ma disuguale, come quella di un vecchio cavallo. Ha la testa fatta curiosamente: è grossa, con una grossa bozza rilevata sulla fronte; poi, nel mezzo della testa, depressa. È vivacissimo, parla volentieri: è sempre pieno di energie e di fede». Gatti non è un adulatore e scrive per sé, annotando che «il Capo è certamente molto sensibile alla lode o al biasimo», e che è attento a quello che scrivono i giornali. Parlando dei bollettini del Comando Supremo, il colonnello segnala che «il Capo ha una immaginazione vivace», e sebbene si affretti ad aggiungere che è una «dote, questa, principale di ogni grande condottiero», il contesto lascia in dubbio se si tratti proprio d’una qualità.
Dove Gatti esprime l’opinione forse più condivisa all’epoca, è nell’ammirazione per la fermezza di Cadorna, e nella convinzione che senza essere un genio sia però l’uomo giusto al posto giusto, anche perché nessun altro saprebbe starci - un giudizio, notiamolo, condiviso dal nemico, secondo cui Cadorna era «il più grande tra gli italiani». Quando si cerca di spiegare di che sostanza è fatto, i paragoni ricorrenti sono il granito e il marmo. «Il nostro Capo, non ostante che la sua opera militare possa discutersi, è certamente un monumento granitico, per quanto riguarda la saldissima costituzione morale». L’unico che potrebbe prendere il suo posto è proprio Capello, annota Gatti nel giugno 1917; «ma Capello, se pure vale intellettualmente Cadorna, e sotto certi aspetti militari (conoscenza degli uomini, ecc.) valga forse di più, non gli è certamente uguale nella “quadratura” generale. Capello [...] è del cemento armato: con questo si può fare tanta roba; Cadorna è del marmo: forse si può fare meno cose con esso, ma più nobili e grandi”.