domenica 1 ottobre 2017


internazionale 30.9.2017    
L’intesa tra Italia e Libia per fermare i migranti
Il governo italiano è accusato di essersi accordato con i traicanti di esseri umani per impedire le partenze da Sabrata, la città sulla costa libica. L’inchiesta di Le Monde
di Frédéric Bobin e Jérôme Gautheret, Le Monde, Francia

A l largo delle coste libiche regna una strana calma: ad agosto di quest’anno sono state soccorse in mare 3.900 persone, contro le 21mila dello stesso periodo del 2016, un’improvvisa diminuzione. Nei primi otto mesi del 2017 il numero di imbarcazioni che hanno attraversato il mare tra la Libia e l’Italia è diminuito del 20 per cento rispetto al 2016. Il 4 settembre la Moas, l’ong fondata nel 2014 da una coppia italo-statunitense con sede a Malta, ha deciso di sospendere le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo. La sua nave, la Phoenix, è diretta in Asia, per soccorrere nel mare delle Andamane i rohingya che cercano di sfuggire alle persecuzioni in Birmania. Nel comunicato che annunciava la partenza della Phoenix l’ong l’ha spiegato: “Non vogliamo diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non c’è la garanzia di essere accolti in porti e luoghi sicuri”. Ancora più esplicitamente: “Oggi non è chiaro cosa sta succedendo in Libia”. Anche se il governo italiano aferma che la diminuzione dei salvataggi è dovuta al nuovo equipaggiamento fornito alla guardia costiera libica con i fondi europei e al richiamo all’ordine delle ong, accusate di favorire con la loro presenza in mare le traversate, è evidente che la spiegazione di questo calo va cercata sul versante libico. E più precisamente a Sabrata, la città costiera della Tripolitania diventata il principale punto di partenza dei migranti diretti a Lampedusa, a trecento chilometri di distanza. Da quando è entrato in carica, nel dicembre del 2016, il ministro dell’interno italiano Marco Minniti non ha risparmiato gli sforzi per fermare il lusso di migranti. Ha moltiplicato gli incontri con i leader libici, garantendo a tutti di voler “ascoltare i loro bisogni” e di volerli “aiutare”. Alcuni in Libia si chiedono se per raggiungere i suoi scopi non abbia anche preso contatti con i gruppi armati o con i traicanti, rischiando di raforzare o legittimare milizie vicine al crimine organizzato. “Esiste un accordo tra gli italiani e la milizia di Ahmed Dabbashi”, conferma a Le Monde in un colloquio telefonico un personaggio molto importante di Sabrata, che ha chiesto di restare anonimo. 
E precisa: “Chi prima faceva il trafficante, oggi combatte il traffico di esseri umani”. Ahmed Dabbashi, soprannominato Al Ammu (lo zio), è a capo della brigata dei martiri Anas Dabbashi – dal nome di un cugino ucciso nel corso della rivoluzione del 2011 – che fino a luglio controllava il traffico dei migranti in partenza da Sabrata. Dabbashi è il rampollo di una famiglia potente della città, che tra i suoi componenti ha anche un ex ambasciatore alle Nazioni Unite e l’ex leader locale del gruppo Stato islamico. Dabbashi è così potente che il governo italiano aveva stretto con lui un accordo per garantire la sicurezza dell’impianto del gas dell’Eni a Mellitah, a ovest di Sabrata. La collaborazione di Dabbashi sarebbe il motivo principale della diminuzione dei lussi migratori verso l’Italia. Secondo il Corriere della Sera, alcuni responsabili della polizia libica hanno dichiarato che Dabbashi ha avuto contatti con funzionari italiani prima di ricevere cinque milioni di dollari per bloccare le partenze delle imbarcazioni. Ci si ritorcerà contro Il sindaco di Sabrata, Hassen Dhawadi, non nega l’esistenza di questi contatti. “Personalmente posso capire che gli accordi con Dabbashi del governo di Tripoli guidato da Fayez al Sarraj abbiano aspetti ambigui.”, ha dichiarato al quotidiano italiano. “Con la milizia di Dabbashi c’era poco da fare. Il modo migliore era integrarla, comportandosi in maniera pragmatica. Cosa che i servizi d’informazione italiani e Minniti, con il quale mi sono incontrato più volte in Libia e a Roma, hanno ben intuito”. La rivelazione dei metodi usati da Roma in Tripolitania ha provocato delle polemiche in Italia. “Ci siamo messi in un pasticcio che ci si ritorcerà contro. Siamo nelle mani delle milizie, di quelli che ieri erano i trafficanti e oggi gestiscono l’anti-traffico”, ha detto Emma Bonino, ex ministra degli esteri. Il governo di Roma smentisce. Il 9 settembre Marco Minniti ha deinito queste accuse “infondate”. Questi risultati saranno duraturi? Non è la prima volta che una città costiera della Tripolitania blocca in modo brutale l’accesso al mare. Era già successo a Zuwara, città berbera situata in prossimità della frontiera con la Tunisia, ino al 2015 considerata la “capitale” libica del traffico di migranti. L’estate di quell’anno un naufragio che aveva provocato duecento morti scatenò la protesta contro i trafficanti. Il consiglio municipale affidò a una milizia di uomini dal volto coperto il compito di sopprimere il traffico. I risultati a Zuwara furono immediati, ma le reti criminali si spostarono un po’ più a est, a Sabrata, che da allora si è imposta come il punto principale per le partenze. Dopo la “chiusura” di Sabrata si ripeterà lo stesso processo? A Zuwara cominciano già a esserci delle tensioni. “Gli abitanti sono frustrati perché il comune non ha ricevuto alcun aiuto per la sua lotta contro i trafficanti”, dice indignato un cittadino di Zuwara al telefono. “Perché gli abitanti di Sabrata vengono aiutati e noi no? Qualcuno potrebbe sentirsi incoraggiato a riprendere il trafico”. Bisogna considerarlo un segnale? Alla fine di agosto un’imbarcazione con a bordo 120 migranti è affondata al largo delle coste tunisine. Secondo l’unico sopravvissuto, recuperato dalla Mezzaluna rossa tunisina, erano partiti da Zuwara. Di recente in altre località libiche sono riprese alcune attività relative alla tratta di migranti. La nave Aquarius ha soccorso dei migranti partiti da Khoms e da Garabulli, a est di Tripoli, due località che potrebbero diventare nuovi centri per le partenze. A Sabrata la situazione resta poco chiara. Lo “zio” è affidabile? “Potrebbe cambiare idea da un momento all’altro”, avverte una fonte locale. Soprattutto è l’unico capo a essere coinvolto nell’accordo. Altri due importanti trafficanti di esseri umani, il “dottore” Mossab Abu grein e un altro soprannominato Mohamed “Al Bible”, i suoi principali rivali, restano in disparte. Per questo sulle spiagge di Sabrata continua a regnare la confusione. “Non c’è nessuna milizia a impedire alle imbarcazioni di salpare”, dice al telefono un migrante senegalese che aspetta di essere imbarcato per raggiungere l’Italia. In compenso la maggior parte dei gommoni viene intercettata una volta al largo, e non sempre dalla guardia costiera, per poi essere rimandata sulla terraferma. “Lì ci torturano per costringerci a pagare per un’altra partenza”, spiega il giovane senegalese. L’estorsione ai danni dei migranti prosegue indisturbata, sotto la copertura dell’argine imposto ai lussi migratori. I trafficanti, legati o meno allo “zio”, non dicono mai ai migranti che la rotta via mare è chiusa. Al contrario, l’illusione viene alimentata per mantenere il racket. A Sabrata sono sempre i trafficanti a dettare legge, ma le statistiche non lo dicono, non ancora.