internazionale 21.10.2017
Asia e Pacifico
Il Giappone alle urne senza opposizione
Il premier Shinzō Abe ha indetto a sorpresa elezioni anticipate per il 22 ottobre. Ma un risultato è già chiaro prima del voto: la fine del fronte progressista e di sinistra
di Koichi Nakano, The New York Times, Stati Uniti
Quando alla fine di settembre il primo ministro giapponese Shinzō Abe ha sciolto il parlamento e indetto elezioni lampo per il 22 ottobre, sembrava aver preso la decisione da una posizione di forza. L’opposizione era allo sbaraglio, la popolarità di Abe di nuovo in ascesa e la sua aggressività almeno in apparenza giustificata dall’atteggiamento sempre più bellicoso della Corea del Nord. In realtà, quella decisione era un segno di debolezza. Mostrava la vulnerabilità politica di Abe e anche, cosa ancora più preoccupante per il paese, una crisi di rappresentatività nella politica giapponese. Qualunque sarà il risultato delle elezioni, cresce il divario tra le politiche concrete che gli elettori vorrebbero e il nuovo sistema bipartitico conservatore che sembra delinearsi, con l’opposizione progressista e di sinistra sempre meno influenti. Alcuni costituzionalisti hanno espresso dei dubbi sulla legittimità della decisione di Abe e neppure l’opinione pubblica sembra averla apprezzata: secondo un sondaggio dell’agenzia di stampa Kyodo, più del 60 per cento degli intervistati la giudica discutibile. Il premier sembrerebbe aver agito soprattutto nei suoi interessi, cercando di eludere i tentativi del parlamento di chiedergli conto di due scandali che lo riguardano: è accusato di nepotismo e del presunto insabbiamento di alcune attività delle Forze di autodifesa (l’esercito giapponese) in Sud Sudan. A giugno Abe ha chiuso la seduta ordinaria del parlamento poco dopo aver fatto approvare una discussa legge antiterrorismo che concede alla polizia ampi poteri di sorveglianza a scapito delle libertà dei cittadini. L’opposizione ha chiesto la convocazione di una seduta straordinaria, Abe ha ignorato la richiesta per più di tre mesi e quando infine ha riconvocato il parlamento il 28 settembre, l’ha sciolto subito issando le elezioni con più di un anno di anticipo. L’atteggiamento evasivo di Abe è apparso ancora più sospetto considerato che, con i suoi alleati, il premier controlla più dei due terzi dei seggi in entrambe le camere. In realtà, le schiaccianti maggioranze di Abe hanno fondamenta piuttosto deboli. Alle ultime elezioni politiche il suo Partito liberaldemocratico (Pld) ha conquistato solo un quarto dei voti degli aventi diritto. Il Pld ha comunque ottenuto una vittoria schiacciante, ma solo grazie al sistema uninominale secco (in base al quale si assegna no i due terzi dei seggi della camera bassa), a un’opposizione divisa e a un’affluenza alle urne molto bassa. Gli elettori non hanno lanciato un segnale chiaro di sostegno al programma di Abe, che propone di rendere il Giappone “più forte” sul piano economico e militare, con un tono decisamente nazionalista che glorifica il passato del paese. Nel 2015 Abe ha dovuto affrontare dure critiche dopo la proposta di disegni di legge che avrebbero legalizzato l’autodifesa collettiva (il diritto di intervenire in soccorso di stati terzi sotto attacco) minando seriamente la costituzione pacifista del Giappone. Le leggi sulla sicurezza sono state approvate ma hanno continuato a provocare divisioni, così come i tentativi di Abe di aumentare la possibilità d’azione delle forze armate all’estero. Secondo un sondaggio del quotidiano yomiuri Shimbun, all’inizio di ottobre il 42 per cento degli intervistati disapprovava la proposta di Abe di inserire nella costituzione l’esistenza delle Forze di autodifesa (il 35 per cento era favorevole). A fine luglio, nel bel mezzo degli scandali, il consenso per il governo era crollato al 26 per cento. Alla fine della prima settimana di ottobre era intorno al 37 per cento. Perciò come fa Abe a restare al potere se le sue politiche sono così impopolari? Il segreto è in larga misura l’assenza di alternative. Il Partito democratico, di centro, principale partito dell’opposizione, è stato screditato dopo aver dimostrato incompetenza durante la sua unica e breve esperienza di governo, tra il 2009 e il 2012. Dopo che il disastro nucleare di Fukushima nel 2011 ha stimolato un nuovo attivismo di base, il Partito democratico (Pd) si è alleato con gruppi della società civile e partiti di sinistra più piccoli. La strategia ha funzionato e gli ha fatto ottenere vittorie importanti alle elezioni per la camera alta del 2016, ma ha anche provocato un crescente risentimento tra i conservatori del Pd. e i successi del partito non potevano compensare una delle più persistenti debolezze dell’opposizione: la mancanza di un leader convincente. Il 1 settembre il conservatore Seiji Maehara è stato eletto alla guida del Pd ma, percepito come un personaggio del passato, non riesce a convincere l’opinione pubblica. ed ecco entrare in scena Yuriko Koike, la governatrice di Tokyo, populista ed esperta di mezzi d’informazione, che con il suo partito ha inferto una sonora sconfitta ad Abe alle elezioni per la municipalità di Tokyo lo scorso luglio. Il giorno che Abe ha annunciato lo scioglimento della camera bassa, Koike ha inaugurato un nuovo partito, il Kibō no tō (Partito della speranza). Poi, a sorpresa, ha stretto un accordo con Maehara in base al quale, in sostanza, il Kibō no tō dovrebbe inglobare il Pd. Per un momento Koike sembrava lanciata a sfidare Abe. Quando però la campagna elettorale stava per cominciare, Koike ha annunciato, senza troppe spiegazioni, che non si sarebbe candidata. Questa decisione ha segnato un’altra vittoria per Abe, anche in questo caso concessa da un rivale: a quel punto, infatti, Koike aveva già ucciso l’alleanza tra progressisti e sinistra. Il gioco di Koike Koike sostiene di aver creato il Partito della speranza per “resettare il Giappone”. Il Kibō no tō si basa su una piattaforma politica fatta di argomenti accattivanti ma vaghi, alcuni in contrasto con le posizioni apertamente conservatrici di Koike: è contro l’energia nucleare, i cavi elettrici sospesi e la febbre da fieno, tra le altre cose. Koike non è esattamente un’avversaria politica per Abe, essendo stata ministra della difesa nel suo primo governo, nel 2007. ed è anche per questo che, quando Koike ha deciso di non candidarsi alle elezioni del 22 ottobre, è sembrato chiaro che il suo obiettivo non era tanto prendere il posto di Abe quanto rafforzarsi per concludere un accordo con lui dopo il voto. Alla fine della scorsa settimana diversi sondaggi prevedevano una vittoria schiacciante del Pld, attribuendogli 300 dei 465 seggi nella camera bassa. Il Kibō no tō era molto distante e il consenso di Koike è crollato dopo che si è ritirata dalla gara elettorale. Questo però non ha importanza, visto che il lavoro è stato già fatto. Il Pd è quasi morto. Lo zoccolo duro del partito è candidato con il Kibō no tō e gran parte dell’ala progressista ha deciso di creare il rikken minshutō (Partito democratico costituzionale) con il Partito comunista e il Partito socialdemocratico. Il programma di questa nuova formazione è contrastare Abe in particolare sulle riforme costituzionali. È una causa molto popolare, ma forse il partito è troppo giovane per poter sperare in risultati importanti in queste elezioni. Perciò già prima del voto un risultato è chiaro: le elezioni decreteranno la scomparsa della sinistra progressista.
ugim
Koichi Nakano insegna scienze politiche alla Sophia university di Tokyo.
L’opinione
L’ombra degli scandali
Il primo ministro Shinzō Abe ha indetto elezioni anticipate per il 22 ottobre, più di un anno prima della fine della legislatura. Il sospetto che con questa decisione Abe voglia evitare di dover rendere conto di due scandali che rischiano di metterlo in seria difficoltà è molto forte. “Oltre a temi chiave come la legge sulla sicurezza nazionale, le riforme economiche e il futuro dell’energia nucleare in Giappone, una questione fondamentale in vista del voto è se Abe abbia dato spiegazioni esaustive sugli scandali che coinvolgono due istituti scolastici legati a lui e a sua moglie”, scrive l’Asahi Shimbun in un lungo editoriale. Gli scandali riguardano una scuola privata di stampo nazionalista di proprietà di un amico di Akie Abe, la moglie del premier, che avrebbe ricevuto una donazione dalla first lady e avrebbe acquistato a prezzo agevolato un terreno dello stato; e l’approvazione di un nuovo un corso di laurea in veterinaria in un istituto diretto da un amico intimo di Abe, in una zona strategica speciale creata dal governo. Il primo ministro non ha dato spiegazioni soddisfacenti e ha evitato di riferire in parlamento sulle due vicende, e alcune domande fondamentali rimangono senza risposta: “Il governo ha riservato un trattamento di favore a persone vicine al premier o a sua moglie? Il governo gestisce le questioni amministrative in maniera equa e imparziale?”. Come il premier adempirà alle sue responsabilità è una questione centrale in queste elezioni, conclude l’Asahi. Anche lo Yomiuri Shimbun sottolinea l’importanza di fare chiarezza per dissipare i dubbi dei cittadini. “Senza la fiducia dell’opinione pubblica non è possibile portare avanti le politiche di governo senza ostacoli”, scrive il quotidiano conservatore, criticando il fatto che, al di là delle testimonianze di funzionari del governo che assicurano l’assenza di irregolarità, non ci sono registrazioni scritte delle riunioni sulle due vicende. “Dopo la dura sconfitta subita dal suo partito a Tokyo, Abe aveva promesso di dare spiegazioni dettagliate. È quello che deve fare adesso”.