Internazionale 13.10.2017
Il socio misterioso
Una piccola
compagnia aerea cinese è diventata un enorme conglomerato che oggi
controlla l’aeroporto di Francoforte e la Deutsche Bank. Ma non è chiaro
chi sia il proprietario
di Christoph Giesen, Meike Schreiber e Kai Strittmatter, Suddeutsche Zeitung, Germania
L
a compagnia cinese Hainan Air Group (Hna) vola ancora. Anche all’isola
tropicale di Hainan, un tempo selvaggio sud del selvaggio oriente, dove,
poco più di trent’anni fa, tutto è cominciato. Lì i più temerari
potevano fare cose che nel resto del paese avrebbero suscitato allarme. A
Pechino ci imbarchiamo su un aereo Hna, atterriamo sull’isola
all’aeroporto Hna e lungo la strada verso Haikou, la capitale, superiamo
un cantiere dopo l’altro dell’Hna immobiliare. In città ci registriamo
in un hotel Hna, mangiamo in un ristorante Hna. E cerchiamo anche di
parlare con qualcuno della sede centrale dell’Hna. Dal 31° piano c’è una
vista meravigliosa su Eco Pearl: un’isola ecologica in costruzione, che
dovrebbe essere autosufficiente e avere anche un porto per gli yacht,
su cui l’azienda ha investito un paio di miliardi. La struttura della
sede centrale dovrebbe ricordare un budda seduto, ma non gli somiglia
molto. Da qui il colosso dei trasporti aerei, del settore immobiliare,
della finanza e del turismo amministra un impero economico globale. Il
fondatore del gruppo, Chen Feng, 64 anni, dice di essere un buddista
convinto. Quando, un paio di anni fa, il Boston Globe gli ha chiesto
quali erano gli obiettivi della sua azienda, lui ha risposto: “Per prima
cosa la compassione. Poi l’illuminazione e la saggezza, e infine
fornire un servizio all’umanità intera”. Chissà se l’umanità è pronta a
riceverlo. Le domande sono molte (a chi appartiene l’azienda? Da dove
vengono tutti i suoi soldi?) e le risposte languono. Dobbiamo
accontentarci di frasi generiche degli addetti stampa, come: “L’Hna si
sta impegnando per rendere il mondo un posto migliore per tutti”.
Desiderio irrinunciabile L’Hna è emersa in pochissimo tempo, come altre
multinazionali cinesi che oggi comprano aziende in giro per il mondo. Ma
nessun’altra è così aggressiva. Ha mantenuto il suo nome originario
anche se ormai ha preso la forma di un conglomerato attivo a livello
globale. Un’azienda che fattura quanto la Siemens o la Bmw, ma la cui
struttura rimane un mistero. Nel 1993 il volume d’affari dell’Hna era di
circa 17 milioni di dollari, oggi è di 90 miliardi. È una società
volutamente impenetrabile, che ha investito più di 40 miliardi di
dollari all’estero. Possiede una parte della catena di alberghi Hilton,
ha acquisito un’azienda statunitense che vende prodotti informatici
all’ingrosso e il fornitore svizzero di servizi aeroportuali Swissport.
In Germania ha salvato l’aeroporto di Francoforte-Hahn. E all’inizio
dell’anno è entrata nel gruppo Deutsche Bank, le cui azioni,
nell’autunno del 2016, erano precipitate ai minimi storici. Da maggio
del 2017 l’Hna possiede il 9,9 per cento delle azioni della banca
tedesca, ed è quindi il suo principale investitore. Ora sta valutando se
comprare il gruppo assicurativo Allianz, che in borsa vale 83 miliardi
di euro. Chen Feng sembra lontano dall’invito buddista a rinunciare ai
desideri, considerati da questa filosofia orientale la fonte di ogni
sofferenza. Al forum economico mondiale di Davos del 2014, ha confessato
che il suo sogno era vedere l’Hna tra le cinquanta aziende più grandi
del mondo. Quest’anno si è classificata tra le prime cento. Finora,
però, il 2017 non è stato un buon anno per l’azienda, che si trova
improvvisamente in mezzo a diverse bufere, sia in Cina sia all’estero.
Un tempo era il simbolo dell’inarrestabile crescita della Cina (George
Soros aiutò la compagnia aerea con un finanziamento iniziale), ora
sembra più il centro di un romanzo giallo: una multinazionale che va
avanti a credito e ha al vertice un fantoccio che nel giro di una notte
ha ceduto le sue azioni a una fondazione benefica. Senza contare le
accuse di corruzione e di nepotismo e i legami con la politica. Nella
trama c’è tutto. All’inizio dell’anno Miles Kwok, un miliardario cinese
in esilio a New York, ha accusato il gruppo Hna di essere uno strumento
nelle mani di wang Qishan, il braccio destro del presidente xi Jinping e
quindi il secondo uomo più potente della Cina. Non c’è nessuna prova a
sostegno delle accuse di Kwok, che a sua volta è un personaggio
piuttosto ambiguo, ma ora molti negli Stati Uniti cominciano a
interessarsi alla struttura opaca dell’Hna: chi si nasconde davvero
dietro l’azienda? Finora le banche statali cinesi avrebbero prestato
all’Hna 60 miliardi di dollari, molto più di quello che in genere è
consentito alle banche di stato, il cui compito è finanziare le
politiche del governo. L’Hna ufficialmente è un’impresa privata, ma cosa
significa questo nella Cina di xi Jinping, dove le cellule di partito
vivono una seconda vita nei consigli d’amministrazione e da lì
continuano a decidere le politiche economiche del paese? Si sa che in
Cina senza le amicizie giuste nessuno fa strada. La Bank of America ha
deciso di non fare più affari con l’Hna. “Ci sono troppe cose che non
sappiamo, e non vogliamo correre rischi”, ha scritto il responsabile per
l’area asiatica in un’email ai colleghi. A settembre anche la banca
d’affari Gold-man Sachs, in genere disponibile a trattare con nuovi
clienti, ha seguito la stessa linea: di fronte al possibile ingresso in
borsa di un’affiliata cinese dell’Hna, la banca statunitense avrebbe
espresso timori per l’assetto proprietario. Inizialmente in Germania
l’arrivo dell’Hna era stato accolto con entusiasmo. A due ore da
Francoforte si esce dall’autostrada e si prende una strada provinciale
piena di curve, si superano colline e paesini con case dai tetti
spioventi e si arriva a un certo punto a Hahn, vicino a Hunsrück. Lì c’è
un aeroporto che è stato a lungo un cruccio per i politici locali.
Finché non è arrivato qualcuno a salvarlo: l’Hna. A inaugurare questa
nuova era in un giorno assolato di fine agosto ci ha pensato randolf
Stich, il segretario di stato del ministero dell’interno del land
renania-Palatinato. Per le celebrazioni si aspettavano il primo aereo
cargo in arrivo da xian e il nuovo investitore, l’Hna. Alla fine, però,
non sono arrivati né il Boeing 747 proveniente dalla Cina (aveva un
ritardo) né il nuovo amministratore dell’aeroporto mandato dall’Hna,
wang Hexin (aveva avuto un contrattempo). I dipendenti dell’Hna presenti
hanno parlato del rapporto di sostenibilità dell’azienda e Stich ha
sottolineato che il gruppo cinese era un partner con “grande
esperienza”: il conto (15,1 milioni di euro per assicurarsi
l’aeroporto), era stato saldato subito. Da qui al 2020 l’Hna punta a
limitare le perdite. Christoph Goetzmann, direttore operativo
dell’aeroporto di Francoforte-Hahn, ha detto che chi “fa il proprio
dovere” riceverà le informazioni sulla proprietà e sui metodi di
finanziamento dell’azienda. Per l’aeroporto questi dati erano comunque
“del tutto irrilevanti”. Goetzmann è un uomo dell’Hna. Una storia
positiva Anche a Berlino i soldi dell’Hna sono stati accettati
volentieri quando a febbraio del 2017 l’azienda è entrata nella Deutsche
Bank, che si trovava in una situazione d’emergenza. Le polemiche non
sarebbero mancate se per salvare la banca fosse dovuto intervenire lo
stato, per di più nell’anno delle elezioni. Felix Hufeld, il capo del
Bain, l’autorità federale tedesca per la vigilanza sulle banche, che
dipende dal ministero delle finanze, aveva accolto l’investitore cinese
parlando di “una storia positiva”, sottolineando che non c’era nessuna
“lista nera” degli investitori. A sua volta, in primavera la banca ha
dichiarato: “Siamo aperti a ogni soggetto interessato a investimenti di
lungo periodo”. Prima del suo ingresso nella Deutsche Bank, Hufeld e
l’ispettore bancario Raimund Röseler si erano fatti un’idea dell’Hna
andando a incontrare Cheng Feng in Cina. Ora però c’è preoccupazione. È
difficile capire cosa vogliano i cinesi dalla Deutsche Bank: buone
opportunità di mercato e cambi favorevoli, o anche accesso al potere, ai
finanziamenti, alle informazioni? Il fatto che le azioni della banca
tedesca si siano minacciosamente riavvicinate ai valori del 2016
potrebbe spiegarsi in vari modi. Ma molti nella sede centrale
dell’istituto di credito, a Francoforte, collegano questa nuova
debolezza all’ingresso nella banca del grande azionista. Ci sono poi
quelli che danno battaglia, come Jan Bayer. Ci ha dato appuntamento in
un bar poco distante dalla torre della Deutsche Bank, proprio davanti
agli uffici degli storici avvocati della banca. Anche Bayer è un
avvocato, indossa una giacca a vento e un maglione scuro. Da anni è ai
ferri corti con la Deutsche Bank ed è stato tra i primi a capire che la
faccenda Hna poteva essere usata per fare pressioni sulla banca: da
allora ci si è aggrappato con i denti e legge ogni testo o articolo sul
gruppo cinese. Insieme ad altri avvocati e azionisti ha fatto causa alla
Deustche Bank. Per la banca tedesca non è la prima causa, ma questa
volta è diverso: in più di cento pagine Bayer cerca di convincere i
giudici che i cinesi hanno interessi comuni con i secondi maggiori
azionisti, sceicchi del Qatar. La legge lo proibisce e se l’accusa
riesce a provarlo, gli investitori rischiano la revoca del diritto di
voto al consiglio d’amministrazione. “Non si sa chi controlli di fatto
l’Hna”, dice Bayer. tutto farebbe pensare “a un sistema piramidale per
il riciclaggio di capitali dalla Cina. Il castello di carte dovrebbe
crollare appena una banca si ritira”. Ma ci sono anche i supervisori
della Banca centrale europea (Bce), che al momento non sanno che pesci
prendere. Da settimane la Bce sta provando a sottoporre l’Hna e gli
investitori del Qatar a una procedura di controllo sugli azionisti.
L’obiettivo è stabilire se gli investitori della Deutsche Bank sono
affidabili e soprattutto da dove arrivano i loro capitali. La cosa certa
è che Chen Feng si definisce il presidente del gruppo e che si è
dimostrato sempre creativo quando si è trattato di trovare nuovi
finanziamenti, una qualità decisiva nella giungla del capitalismo
cinese. Il serpente e l’elefante Figlio di funzionari pubblici, Chen
Feng è nato nella provincia dello Shanxi, la provincia del carbone, ma è
cresciuto a Pechino. All’inizio della rivoluzione culturale fu
costretto a lasciare la scuola e si arruolò nell’aeronautica. Nell’isola
di Hainan atterrò nel 1989, dopo il massacro di Tiananmen, per lavorare
nella sede della Banca mondiale a Haikou. Quell’anno aiutò anche
l’amministrazione della provincia a fondare una compagnia aerea: la
Hainan Airlines. Le autorità stanziarono 1,4 milioni dollari, il resto
riuscì a metterlo insieme Chen Feng: 37 milioni di dollari con cui
furono comprati due boeing, così è nata la prima linea aerea cinese a
maggioranza privata. Nel 1995 Chen Feng volò a New York e convinse
George Soros a investire 25 milioni di dollari. Era solo l’inizio.
“Molte imprese cinesi crescono rapidamente, a un ritmo sconosciuto in
Europa o negli Stati Uniti”, dice Victor Shih, docente di economia
politica a San Diego. “È difficile trovare un’azienda più aggressiva
dell’Hna”. Quasi tutte le aziende e le quote che il gruppo cinese
acquisisce sono subito usate come garanzia per aprire nuove linee di
credito. E non una volta sola. “Se ha per le mani un miliardo di
dollari, l’Hna va da cinque banche diverse e cerca di ottenere un
miliardo da ognuna. Se le cose vanno bene può portarsi a casa cinque
miliardi”. È una moltiplicazione di fondi straordinaria, che può
riuscire solo in un paese come la Cina, a un’azienda con la necessaria
copertura politica. È così che, come dicono in Cina, “un serpente può
ingoiare un elefante”. Non si tratta di un rischio troppo grande per le
banche? “No”, dice Shih, “perché spesso gli istituti di credito non
finanziano direttamente le linee di credito, ma fanno solo da
mediatori”. Tra i loro clienti. Il denaro con cui l’Hna inanzia i suoi
round di acquisti proviene da diverse fonti: l’investimento nella
Deutsche Bank è stato finanziato dalla banca svizzera Ubs. Fino a
qualche mese fa, le banche statali cinesi erano state di manica larga,
ora però questa generosità è finita. Con i guanti bianchi In Cina, dove
non c’è uno stato di diritto, nemmeno l’azienda più ricca può sentirsi
al sicuro. Gli uomini del presidente xi Jinping temono, a ragione, che
molte aziende cinesi investano all’estero solo per mettere i loro
milioni, o miliardi, al sicuro. temendo una fuga di capitali, Pechino ha
chiuso i rubinetti per le acquisizioni all’estero. A differenza di
altre grandi aziende cinesi come Dalian wanda o Anbang, finora l’Hna era
sorprendentemente uscita indenne dalle campagne del governo. E questo
anche se raccoglie miliardi nel sistema delle banche ombra, cioè fuori
dal mercato regolare. Per esempio, facendo comprare a investitori o
correntisti i cosiddetti wealth management products, chiamati anche
“armi finanziarie di distruzione di massa” a causa dei gravi rischi che
comportano. È così che l’Hna riesce a trovare soldi in fretta e senza
limiti. Non è illegale, ma costa caro. Negli ultimi anni l’Hna ha
raccolto diversi miliardi dalle banche ombra. “Le strutture opache
dell’Hna sono state costruite per nascondere il vero assetto
proprietario”, dice Victor Shih. “Non c’è dubbio che qualche politico
potente protegga il gruppo”. Questo politico appartiene alla famiglia
del secondo uomo più potente della Cina, wang Qishan, come ha affermato
il miliardario Miles Kwok dal suo esilio newyorchese? Wang Qishan in
Cina è il nemico numero uno della corruzione, è lo sceriffo del
presidente xi Jinping. Wang e Chen Feng, il capo dell’Hna, si conoscono
dagli anni ottanta, quando sono stati colleghi per un breve periodo. Non
c’è nessuna prova a sostegno delle dichiarazioni di Kwok, ma il fuoco
incrociato tra lui e l’Hna ha tenuto molti cinesi con il iato sospeso
per mesi. L’Hna ha fatto causa a Kwok e la polizia cinese ha passato le
indagini all’Interpol. È difficile stabilire chi dice la verità. La cosa
certa è che la stessa Hna non fa molto per allontanare i sospetti. Fino
a qualche mese fa il suo maggior azionista non era il fondatore Chen
Feng ma un uomo di nome Guan Jun: un perfetto sconosciuto. Stando
all’indirizzo riportato nei documenti, Guan Jun risiede a sud di
Pechino, in una zona di palazzi malridotti. Qui dovrebbe vivere l’uomo
che possiede il 30 per cento dell’Hna, circa il doppio delle quote di
Chen Feng? L’Hna dev’essersi resa conto che la faccenda era poco
credibile. Alla fine di luglio del 2017 il misterioso Guan Jun ha
improvvisamente comunicato di aver ceduto la sua quota. Adam tan,
amministratore delegato dell’Hna, ha spiegato che Guan Jun non avrebbe
mai davvero posseduto le azioni, ma si sarebbe limitato a “tenerle per
l’azienda”. L’Hna ha fatto sapere che “Guan Jun non è più azionista
della società. Non lavora per il gruppo né rappresenta la società”.
recentemente Guan Jun è apparso in un video. Sui 35 anni, con un forte
accento pechinese, l’uomo ha negato di essere imparentato o vicino a
qualche pezzo grosso cinese. “Io e mio padre ci siamo molto arrabbiati”,
ha detto nel video. Sui suoi rapporti con l’Hna o su come fosse
diventato un “guanto bianco”, come in Cina si chiamano i prestanome,
nemmeno una parola. Un dettaglio non da poco: le azioni di Guan Jun sono
andate alla Hainan Cihang charity foundation di New York. L’Hna
appartiene dunque in gran parte a una fondazione benefica. Ma a chi fa
del bene?
unv