lunedì 16 ottobre 2017

Internazionale 13.10.2017
Il socio misterioso
Una piccola compagnia aerea cinese è diventata un enorme conglomerato che oggi controlla l’aeroporto di Francoforte e la Deutsche Bank. Ma non è chiaro chi sia il proprietario
di Christoph Giesen, Meike Schreiber e Kai Strittmatter, Suddeutsche Zeitung, Germania


L a compagnia cinese Hainan Air Group (Hna) vola ancora. Anche all’isola tropicale di Hainan, un tempo selvaggio sud del selvaggio oriente, dove, poco più di trent’anni fa, tutto è cominciato. Lì i più temerari potevano fare cose che nel resto del paese avrebbero suscitato allarme. A Pechino ci imbarchiamo su un aereo Hna, atterriamo sull’isola all’aeroporto Hna e lungo la strada verso Haikou, la capitale, superiamo un cantiere dopo l’altro dell’Hna immobiliare. In città ci registriamo in un hotel Hna, mangiamo in un ristorante Hna. E cerchiamo anche di parlare con qualcuno della sede centrale dell’Hna. Dal 31° piano c’è una vista meravigliosa su Eco Pearl: un’isola ecologica in costruzione, che dovrebbe essere autosufficiente e avere anche un porto per gli yacht, su cui l’azienda ha investito un paio di miliardi. La struttura della sede centrale dovrebbe ricordare un budda seduto, ma non gli somiglia molto. Da qui il colosso dei trasporti aerei, del settore immobiliare, della finanza e del turismo amministra un impero economico globale. Il fondatore del gruppo, Chen Feng, 64 anni, dice di essere un buddista convinto. Quando, un paio di anni fa, il Boston Globe gli ha chiesto quali erano gli obiettivi della sua azienda, lui ha risposto: “Per prima cosa la compassione. Poi l’illuminazione e la saggezza, e infine fornire un servizio all’umanità intera”. Chissà se l’umanità è pronta a riceverlo. Le domande sono molte (a chi appartiene l’azienda? Da dove vengono tutti i suoi soldi?) e le risposte languono. Dobbiamo accontentarci di frasi generiche degli addetti stampa, come: “L’Hna si sta impegnando per rendere il mondo un posto migliore per tutti”. Desiderio irrinunciabile L’Hna è emersa in pochissimo tempo, come altre multinazionali cinesi che oggi comprano aziende in giro per il mondo. Ma nessun’altra è così aggressiva. Ha mantenuto il suo nome originario anche se ormai ha preso la forma di un conglomerato attivo a livello globale. Un’azienda che fattura quanto la Siemens o la Bmw, ma la cui struttura rimane un mistero. Nel 1993 il volume d’affari dell’Hna era di circa 17 milioni di dollari, oggi è di 90 miliardi. È una società volutamente impenetrabile, che ha investito più di 40 miliardi di dollari all’estero. Possiede una parte della catena di alberghi Hilton, ha acquisito un’azienda statunitense che vende prodotti informatici all’ingrosso e il fornitore svizzero di servizi aeroportuali Swissport. In Germania ha salvato l’aeroporto di Francoforte-Hahn. E all’inizio dell’anno è entrata nel gruppo Deutsche Bank, le cui azioni, nell’autunno del 2016, erano precipitate ai minimi storici. Da maggio del 2017 l’Hna possiede il 9,9 per cento delle azioni della banca tedesca, ed è quindi il suo principale investitore. Ora sta valutando se comprare il gruppo assicurativo Allianz, che in borsa vale 83 miliardi di euro. Chen Feng sembra lontano dall’invito buddista a rinunciare ai desideri, considerati da questa filosofia orientale la fonte di ogni sofferenza. Al forum economico mondiale di Davos del 2014, ha confessato che il suo sogno era vedere l’Hna tra le cinquanta aziende più grandi del mondo. Quest’anno si è classificata tra le prime cento. Finora, però, il 2017 non è stato un buon anno per l’azienda, che si trova improvvisamente in mezzo a diverse bufere, sia in Cina sia all’estero. Un tempo era il simbolo dell’inarrestabile crescita della Cina (George Soros aiutò la compagnia aerea con un finanziamento iniziale), ora sembra più il centro di un romanzo giallo: una multinazionale che va avanti a credito e ha al vertice un fantoccio che nel giro di una notte ha ceduto le sue azioni a una fondazione benefica. Senza contare le accuse di corruzione e di nepotismo e i legami con la politica. Nella trama c’è tutto. All’inizio dell’anno Miles Kwok, un miliardario cinese in esilio a New York, ha accusato il gruppo Hna di essere uno strumento nelle mani di wang Qishan, il braccio destro del presidente xi Jinping e quindi il secondo uomo più potente della Cina. Non c’è nessuna prova a sostegno delle accuse di Kwok, che a sua volta è un personaggio piuttosto ambiguo, ma ora molti negli Stati Uniti cominciano a interessarsi alla struttura opaca dell’Hna: chi si nasconde davvero dietro l’azienda? Finora le banche statali cinesi avrebbero prestato all’Hna 60 miliardi di dollari, molto più di quello che in genere è consentito alle banche di stato, il cui compito è finanziare le politiche del governo. L’Hna ufficialmente è un’impresa privata, ma cosa significa questo nella Cina di xi Jinping, dove le cellule di partito vivono una seconda vita nei consigli d’amministrazione e da lì continuano a decidere le politiche economiche del paese? Si sa che in Cina senza le amicizie giuste nessuno fa strada. La Bank of America ha deciso di non fare più affari con l’Hna. “Ci sono troppe cose che non sappiamo, e non vogliamo correre rischi”, ha scritto il responsabile per l’area asiatica in un’email ai colleghi. A settembre anche la banca d’affari Gold-man Sachs, in genere disponibile a trattare con nuovi clienti, ha seguito la stessa linea: di fronte al possibile ingresso in borsa di un’affiliata cinese dell’Hna, la banca statunitense avrebbe espresso timori per l’assetto proprietario. Inizialmente in Germania l’arrivo dell’Hna era stato accolto con entusiasmo. A due ore da Francoforte si esce dall’autostrada e si prende una strada provinciale piena di curve, si superano colline e paesini con case dai tetti spioventi e si arriva a un certo punto a Hahn, vicino a Hunsrück. Lì c’è un aeroporto che è stato a lungo un cruccio per i politici locali. Finché non è arrivato qualcuno a salvarlo: l’Hna. A inaugurare questa nuova era in un giorno assolato di fine agosto ci ha pensato randolf Stich, il segretario di stato del ministero dell’interno del land renania-Palatinato. Per le celebrazioni si aspettavano il primo aereo cargo in arrivo da xian e il nuovo investitore, l’Hna. Alla fine, però, non sono arrivati né il Boeing 747 proveniente dalla Cina (aveva un ritardo) né il nuovo amministratore dell’aeroporto mandato dall’Hna, wang Hexin (aveva avuto un contrattempo). I dipendenti dell’Hna presenti hanno parlato del rapporto di sostenibilità dell’azienda e Stich ha sottolineato che il gruppo cinese era un partner con “grande esperienza”: il conto (15,1 milioni di euro per assicurarsi l’aeroporto), era stato saldato subito. Da qui al 2020 l’Hna punta a limitare le perdite. Christoph Goetzmann, direttore operativo dell’aeroporto di Francoforte-Hahn, ha detto che chi “fa il proprio dovere” riceverà le informazioni sulla proprietà e sui metodi di finanziamento dell’azienda. Per l’aeroporto questi dati erano comunque “del tutto irrilevanti”. Goetzmann è un uomo dell’Hna. Una storia positiva Anche a Berlino i soldi dell’Hna sono stati accettati volentieri quando a febbraio del 2017 l’azienda è entrata nella Deutsche Bank, che si trovava in una situazione d’emergenza. Le polemiche non sarebbero mancate se per salvare la banca fosse dovuto intervenire lo stato, per di più nell’anno delle elezioni. Felix Hufeld, il capo del Bain, l’autorità federale tedesca per la vigilanza sulle banche, che dipende dal ministero delle finanze, aveva accolto l’investitore cinese parlando di “una storia positiva”, sottolineando che non c’era nessuna “lista nera” degli investitori. A sua volta, in primavera la banca ha dichiarato: “Siamo aperti a ogni soggetto interessato a investimenti di lungo periodo”. Prima del suo ingresso nella Deutsche Bank, Hufeld e l’ispettore bancario Raimund Röseler si erano fatti un’idea dell’Hna andando a incontrare Cheng Feng in Cina. Ora però c’è preoccupazione. È difficile capire cosa vogliano i cinesi dalla Deutsche Bank: buone opportunità di mercato e cambi favorevoli, o anche accesso al potere, ai finanziamenti, alle informazioni? Il fatto che le azioni della banca tedesca si siano minacciosamente riavvicinate ai valori del 2016 potrebbe spiegarsi in vari modi. Ma molti nella sede centrale dell’istituto di credito, a Francoforte, collegano questa nuova debolezza all’ingresso nella banca del grande azionista. Ci sono poi quelli che danno battaglia, come Jan Bayer. Ci ha dato appuntamento in un bar poco distante dalla torre della Deutsche Bank, proprio davanti agli uffici degli storici avvocati della banca. Anche Bayer è un avvocato, indossa una giacca a vento e un maglione scuro. Da anni è ai ferri corti con la Deutsche Bank ed è stato tra i primi a capire che la faccenda Hna poteva essere usata per fare pressioni sulla banca: da allora ci si è aggrappato con i denti e legge ogni testo o articolo sul gruppo cinese. Insieme ad altri avvocati e azionisti ha fatto causa alla Deustche Bank. Per la banca tedesca non è la prima causa, ma questa volta è diverso: in più di cento pagine Bayer cerca di convincere i giudici che i cinesi hanno interessi comuni con i secondi maggiori azionisti, sceicchi del Qatar. La legge lo proibisce e se l’accusa riesce a provarlo, gli investitori rischiano la revoca del diritto di voto al consiglio d’amministrazione. “Non si sa chi controlli di fatto l’Hna”, dice Bayer. tutto farebbe pensare “a un sistema piramidale per il riciclaggio di capitali dalla Cina. Il castello di carte dovrebbe crollare appena una banca si ritira”. Ma ci sono anche i supervisori della Banca centrale europea (Bce), che al momento non sanno che pesci prendere. Da settimane la Bce sta provando a sottoporre l’Hna e gli investitori del Qatar a una procedura di controllo sugli azionisti. L’obiettivo è stabilire se gli investitori della Deutsche Bank sono affidabili e soprattutto da dove arrivano i loro capitali. La cosa certa è che Chen Feng si definisce il presidente del gruppo e che si è dimostrato sempre creativo quando si è trattato di trovare nuovi finanziamenti, una qualità decisiva nella giungla del capitalismo cinese. Il serpente e l’elefante Figlio di funzionari pubblici, Chen Feng è nato nella provincia dello Shanxi, la provincia del carbone, ma è cresciuto a Pechino. All’inizio della rivoluzione culturale fu costretto a lasciare la scuola e si arruolò nell’aeronautica. Nell’isola di Hainan atterrò nel 1989, dopo il massacro di Tiananmen, per lavorare nella sede della Banca mondiale a Haikou. Quell’anno aiutò anche l’amministrazione della provincia a fondare una compagnia aerea: la Hainan Airlines. Le autorità stanziarono 1,4 milioni dollari, il resto riuscì a metterlo insieme Chen Feng: 37 milioni di dollari con cui furono comprati due boeing, così è nata la prima linea aerea cinese a maggioranza privata. Nel 1995 Chen Feng volò a New York e convinse George Soros a investire 25 milioni di dollari. Era solo l’inizio. “Molte imprese cinesi crescono rapidamente, a un ritmo sconosciuto in Europa o negli Stati Uniti”, dice Victor Shih, docente di economia politica a San Diego. “È difficile trovare un’azienda più aggressiva dell’Hna”. Quasi tutte le aziende e le quote che il gruppo cinese acquisisce sono subito usate come garanzia per aprire nuove linee di credito. E non una volta sola. “Se ha per le mani un miliardo di dollari, l’Hna va da cinque banche diverse e cerca di ottenere un miliardo da ognuna. Se le cose vanno bene può portarsi a casa cinque miliardi”. È una moltiplicazione di fondi straordinaria, che può riuscire solo in un paese come la Cina, a un’azienda con la necessaria copertura politica. È così che, come dicono in Cina, “un serpente può ingoiare un elefante”. Non si tratta di un rischio troppo grande per le banche? “No”, dice Shih, “perché spesso gli istituti di credito non finanziano direttamente le linee di credito, ma fanno solo da mediatori”. Tra i loro clienti. Il denaro con cui l’Hna inanzia i suoi round di acquisti proviene da diverse fonti: l’investimento nella Deutsche Bank è stato finanziato dalla banca svizzera Ubs. Fino a qualche mese fa, le banche statali cinesi erano state di manica larga, ora però questa generosità è finita. Con i guanti bianchi In Cina, dove non c’è uno stato di diritto, nemmeno l’azienda più ricca può sentirsi al sicuro. Gli uomini del presidente xi Jinping temono, a ragione, che molte aziende cinesi investano all’estero solo per mettere i loro milioni, o miliardi, al sicuro. temendo una fuga di capitali, Pechino ha chiuso i rubinetti per le acquisizioni all’estero. A differenza di altre grandi aziende cinesi come Dalian wanda o Anbang, finora l’Hna era sorprendentemente uscita indenne dalle campagne del governo. E questo anche se raccoglie miliardi nel sistema delle banche ombra, cioè fuori dal mercato regolare. Per esempio, facendo comprare a investitori o correntisti i cosiddetti wealth management products, chiamati anche “armi finanziarie di distruzione di massa” a causa dei gravi rischi che comportano. È così che l’Hna riesce a trovare soldi in fretta e senza limiti. Non è illegale, ma costa caro. Negli ultimi anni l’Hna ha raccolto diversi miliardi dalle banche ombra. “Le strutture opache dell’Hna sono state costruite per nascondere il vero assetto proprietario”, dice Victor Shih. “Non c’è dubbio che qualche politico potente protegga il gruppo”. Questo politico appartiene alla famiglia del secondo uomo più potente della Cina, wang Qishan, come ha affermato il miliardario Miles Kwok dal suo esilio newyorchese? Wang Qishan in Cina è il nemico numero uno della corruzione, è lo sceriffo del presidente xi Jinping. Wang e Chen Feng, il capo dell’Hna, si conoscono dagli anni ottanta, quando sono stati colleghi per un breve periodo. Non c’è nessuna prova a sostegno delle dichiarazioni di Kwok, ma il fuoco incrociato tra lui e l’Hna ha tenuto molti cinesi con il iato sospeso per mesi. L’Hna ha fatto causa a Kwok e la polizia cinese ha passato le indagini all’Interpol. È difficile stabilire chi dice la verità. La cosa certa è che la stessa Hna non fa molto per allontanare i sospetti. Fino a qualche mese fa il suo maggior azionista non era il fondatore Chen Feng ma un uomo di nome Guan Jun: un perfetto sconosciuto. Stando all’indirizzo riportato nei documenti, Guan Jun risiede a sud di Pechino, in una zona di palazzi malridotti. Qui dovrebbe vivere l’uomo che possiede il 30 per cento dell’Hna, circa il doppio delle quote di Chen Feng? L’Hna dev’essersi resa conto che la faccenda era poco credibile. Alla fine di luglio del 2017 il misterioso Guan Jun ha improvvisamente comunicato di aver ceduto la sua quota. Adam tan, amministratore delegato dell’Hna, ha spiegato che Guan Jun non avrebbe mai davvero posseduto le azioni, ma si sarebbe limitato a “tenerle per l’azienda”. L’Hna ha fatto sapere che “Guan Jun non è più azionista della società. Non lavora per il gruppo né rappresenta la società”. recentemente Guan Jun è apparso in un video. Sui 35 anni, con un forte accento pechinese, l’uomo ha negato di essere imparentato o vicino a qualche pezzo grosso cinese. “Io e mio padre ci siamo molto arrabbiati”, ha detto nel video. Sui suoi rapporti con l’Hna o su come fosse diventato un “guanto bianco”, come in Cina si chiamano i prestanome, nemmeno una parola. Un dettaglio non da poco: le azioni di Guan Jun sono andate alla Hainan Cihang charity foundation di New York. L’Hna appartiene dunque in gran parte a una fondazione benefica. Ma a chi fa del bene?
unv