lunedì 16 ottobre 2017

Internazionale 13.10.2017
La follia americana
di Dave Eggers, Medium, Stati Uniti


Il 22 agosto Donald Trump è andato a Phoenix per un comizio. In città c’erano militanti di destra e antifascisti armati, manifestanti pacifici e centinaia di poliziotti. e sono emerse tutte le tensioni che attraversano gli stati Uniti, scrive Dave Eggers

A Phoenix, nel raggio di pochi isolati in centro, c’erano quindicimila sostenitori di Trump e diecimila persone che manifestavano contro di lui. C’erano i Bikers for Trump (motociclisti per Trump) e una sezione del John Brown gun club, un gruppo antifascista armato di pistole e fucili semiautomatici. C’erano gruppi di sollevatori di pesi con magliette che inneggiavano a Trump. C’erano uomini in giubbotti smanicati con stampata la bandiera della confederazione sudista, e c’era un’enorme gallina gonfiabile che somigliava a Donald Trump. C’era un uomo con un megafono che per tutto il pomeriggio ha ripetuto che gli omosessuali andranno all’inferno, che chi guida ubriaco dovrebbe morire e che le donne con la gonna meritano di essere stuprate. C’erano anarchici, antifascisti e centinaia di poliziotti armati. erano passati dieci giorni dal raduno neonazista di Charlottesville, il paese era in lutto e nel pieno dell’epoca più folle della sua storia. In Arizona c’erano 40 gradi e sembrava che facesse ancora più caldo. È un miracolo che quel giorno a Phoenix non sia morto nessuno. Il 16 agosto Trump aveva annunciato che avrebbe tenuto un comizio a Phoenix. sarebbe stato un raduno come quelli che faceva durante la campagna elettorale. Girava voce che avesse tre motivi per farlo: il primo era che Jef Flake, uno dei rappresentanti dell’Arizona al senato, aveva scritto un libro molto critico nei confronti del presidente, e Trump voleva metterlo in imbarazzo andando in visita nel suo stato e sfidandolo davanti ai suoi elettori; il secondo motivo era che Joe arpaio, ex sceriffo della contea di Maricopa, era stato condannato a sei mesi di carcere perché, ignorando la sentenza di un giudice, aveva continuato ad arrestare persone sulla base del semplice sospetto che fossero immigrati irregolari: Trump, si diceva, voleva concedergli la grazia in pubblico e in modo teatrale; la terza ragione era che Trump voleva parlare del suo progetto di costruire un muro al confine tra Arizona e Messico. la sera dell’11 agosto e la mattina del 12, qualche giorno prima che uscisse la notizia del comizio di Phoenix, i nazionalisti bianchi e i neonazisti si erano radunati a Charlottesville, in Virginia. I manifestanti di estrema destra, i loro avversari e gli esponenti di un’organizzazione paramilitare locale avevano portato scudi, mazze, bastoni e, poiché in Virginia è consentito girare per strada con armi in vista, decine di pistole e fucili. C’erano stati degli scontri a emancipation park. Il 12 agosto Richard W. Preston, grande mago dei Confederate white knights (cavalieri bianchi confederati), un gruppo riconducibile al ku klux klan, era stato filmato mentre gridava “ehi, negro” a Corey long, un nero che era arrivato a emancipation park con una bomboletta da usare come lanciafiamme. Preston gli aveva puntato una pistola alla testa e poi aveva sparato un colpo a terra, accanto ai suoi piedi. In seguito sarebbe stato accusato dell’unico reato che a quanto pare aveva commesso: aver aperto il fuoco a meno di trecento metri da una scuola. Dopo che la polizia aveva disperso la manifestazione della destra, due manifestanti, Daniel Patrick Borden e Alex Michael Ramos, erano stati accusati di lesioni aggravate per aver picchiato Deandre Harris, un nero di vent’anni. mentre militanti di destra e di sinistra lasciavano la zona, James Alex Fields, un bianco di vent’anni, si era lanciato con la sua auto contro un gruppo di persone che manifestavano per la pace, l’uguaglianza e l’armonia tra bianchi e neri. Una donna di 32 anni, Heather Heyer, era rimasta uccisa e altre 19 persone ferite. Quella notte erano morti anche due poliziotti dopo che il loro elicottero era precipitato mentre sorvolava il raduno. In tutto erano morte tre persone e venti erano rimaste ferite. ma con centinaia di persone armate di pistole e fucili semiautomatici in mezzo a centinaia di manifestanti e nel caos totale, le cose sarebbero potute andare molto peggio.Dopo Charlottesville, e dopo le critiche ricevute da Trump per come la città aveva reagito alle violenze, Greg Stanton, il sindaco di Phoenix, aveva preso la decisione senza precedenti di chiedere al presidente di non recarsi nella sua città. “l’America sta soffrendo”, aveva scritto Stanton in un articolo sul Washington post. “e sta soffrendo soprattutto perché Trump ha gettato benzina sulle tensioni razziali. Temo che, visitando Phoenix il 22 agosto, il presidente voglia accendere un fiammifero”. Doug Ducey, il governatore repubblicano dell’Arizona, aveva fatto sapere che avrebbe accolto Trump all’aeroporto ma non avrebbe partecipato al comizio. Pur sapendo che il comizio di Phoenix avrebbe attirato i suprematisti bianchi e i loro avversari, e che chiunque tra i 25mila manifestanti previsti avrebbe potuto essere armato (anche in Arizona è consentito girare per strada armati), non aveva annullato l’evento. pur sapendo che un uragano si stava avvicinando al golfo del Messico e che avrebbe colpito la costa degli stati Uniti poco dopo il comizio, Trump non aveva annullato l’evento. Catherine H. Miranda, senatrice democratica del parlamento dell’Arizona, aveva dichiarato: “Consigliamo vivamente al presidente di visitare Charlottesville per portare conforto alla città”. ma Trump non era andato a Charlottesville per portare conforto. non era rimasto a Washington per monitorare quello che sarebbe diventato uno degli uragani più devastanti degli ultimi decenni. aveva deciso di andare a Phoenix. Fila interminabile a metà mattinata la temperatura aveva già superato i 38 gradi. A mezzogiorno erano 41. La città era completamente immobile e quasi deserta, a parte qualcuno che faticosamente si spostava da un edificio con l’aria condizionata all’altro. Il Phoenix convention center, un centro congressi nel cuore della città, era tranquillo. all’angolo tra Washington street e second street, un uomo reggeva un cartellone con la scritta “police lives matter”, le vite dei poliziotti contano. Alle due sono arrivati centinaia di sostenitori di Trump che si sono messi in ila lungo second street. Il centro congressi avrebbe aperto alle quattro, e il presidente avrebbe parlato alle sette. le persone in ila non indossavano tuniche bianche né camicie brune. erano in pantaloncini e maglietta, sedevano su sedie di tela e si rinfrescavano sventolando bandierine americane. Sembravano dirette a un barbecue patriottico o a una partita di baseball. erano soprattutto bianchi, ma c’erano anche uomini e donne neri, asiatici e ispanici, molti anziani e bambini. non gridavano, non intonavano slogan e parlavano poco. Quasi tutti si limitavano a stare in ila e a cercare di rinfrescarsi e di non disidratarsi. Ma erano in pochi. Il centro congressi può contenere tra le 19mila le 29mila persone, ma alle tre c’erano solo cinquecento sostenitori di Trump. Forse il presidente aveva sbagliato i suoi calcoli, forse in Arizona non c’erano molte persone disposte a sentirlo parlare dopo la tragedia di Charlottesville. Mi sono diretto verso il Civic space park, dove il puente human rights movement, un’associazione locale che si batte per i diritti degli immigrati senza documenti, aveva organizzato una manifestazione. lungo il tragitto sono passato davanti al campus dell’Arizona state university, dove centinaia di studenti in pantaloncini e sandali si spostavano da un’aula all’altra o aspettavano l’autobus con gli auricolari nelle orecchie. osservando il campus non si sarebbe detto che in città stesse per succedere qualcosa. nel Civic space park una cinquantina di persone di tutti i colori e le età erano in piedi o sedute sotto gli alberi. C’erano casse d’acqua impilate in piramidi sbilenche. Qualcuno stava ancora scrivendo i cartelli per la manifestazione. Un nero corpulento indossava una maglietta con la scritta: “nah – Rosa Parks, 1965”. sul prato e intorno al gruppo c’erano alcuni senzatetto accovacciati sotto gli alberi. Un uomo a torso nudo era seduto su un sacco a pelo lacero e ogni tanto lanciava ordini incomprensibili. Ho parlato con alcuni degli organizzatori della manifestazione, mi hanno detto che volevano andare al centro congressi alle 16.30. Gli ho spiegato che ci ero appena stato e che c’era poca gente. Se le porte aprono alle quattro, ho detto, dopo mezz’ora saranno già tutti dentro. sono tornato al centro congressi e ho avuto conferma della mia ipotesi. alle elezioni presidenziali Trump ha conquistato l’Arizona con un margine ridotto, e il sondaggio più recente indicava che il 52 per cento degli abitanti dell’Arizona non era soddisfatto del suo operato. C’era la possibilità che il calo di popolarità di Trump e il caldo insopportabile – ormai eravamo a 42 gradi – soffocassero qualsiasi desiderio che le persone potessero ancora avere di vedere Donald Trump salire su un palco e dire tutto quello che gli passava per la testa. all’ingresso del centro c’erano le stesse persone che avevo visto alle due. le porte erano ancora chiuse. sono passato davanti a loro e ho proseguito su second street. la ila arrivava alla fine dell’isolato. C’erano coppie di anziani bianchi, gruppi di uomini di mezza età con le magliette Trump-pence. Uomini e donne che indossavano polo rosa uguali. Una donna su una sedia a rotelle. Un uomo con un cartello che diceva “vecchio messicano per Trump”. Ho girato l’angolo e la ila continuava. Scendeva giù per Washington street per un isolato. alle spalle del centro congressi c’era una fila di camion della spazzatura arancioni, presumibilmente messi lì per proteggere le persone in coda da un possibile attacco con un’automobile. ho camminato lungo la coda fino a dove pensavo finisse, ma in realtà era solo interrotta dall’incrocio, e subito dopo continuava fino all’altro lato di Washington street. poi scendeva lungo una strada laterale e risaliva. ho cercato la fine della ila per mezz’ora, senza trovarla. Continuavano ad arrivare persone, che sembravano più tranquille di quelle – apparentemente più appassionate – arrivate ore prima. non portavano cartelli né altri oggetti. non avrebbero potuto. su Washington street c’era uno schermo con l’elenco delle cose che non si potevano portare nel centro congressi: aerosol, munizioni, animali che non fossero cani guida, zaini, borse e cartelli, biciclette, palloni, borse frigo, droni e altri oggetti volanti, esplosivi, armi da fuoco, contenitori di vetro e metallo, puntatori laser, spray al peperoncino, pacchi, bastoni da selfie, strutture, supporti per cartelli, pistole giocattolo, armi di ogni tipo, qualsiasi altro oggetto potesse costituire un potenziale pericolo. Tutti questi divieti davano un netto vantaggio ai contestatori di Trump, che si erano radunati sulla scalinata tra Third street e Washington street per affrontare i sostenitori del presidente. Avevano cartelli, megafoni, tamburi e costumi. C’era una donna con un cartello che diceva “forza Mueller!” (Robert Mueller è il procuratore speciale che sta indagando sui rapporti tra i funzionari russi e il comitato elettorale di Trump) e un uomo con una maglietta con la scritta “Bernie fucking Sanders”. Un altro era vestito da suora e aveva un cartello che diceva: “mi avevano detto che ci sarebbe stata una festa… accidenti. È la festa sbagliata”. In altre zone della città, la polizia aveva fatto un ottimo lavoro, garantendo che gli americani per Trump restassero lontani dagli americani contro Trump. nella maggior parte dei casi le fazioni erano piazzate ai due lati di grandi strade protette da barriere, ma in quell’angolo non c’erano barriere né poliziotti e i due gruppi potevano entrare in contatto. Questo rendeva ancora più surreale e tragico assistere ai loro scambi geniali e quasi imbarazzati. la posizione della scalinata e il modo in cui si era formata la fila rendevano quasi teatrale la comparsa dei sostenitori di Trump davanti ai manifestanti dello schieramento opposto. mentre i primi scendevano da Washington street verso Third street, un muro li nascondeva agli occhi dei contestatori e nascondeva i contestatori ai loro. poi, superato quel muro, i sostenitori di Trump – con le loro magliette rosse e i pantaloncini bianchi, i berretti dei reduci dalle guerre all’estero e le sedie a rotelle – si trovavano improvvisamente davanti l’immagine di una folla di altri americani che sventolavano cartelli e gridavano slogan e in cui li accusavano di essere nazisti e fascisti. I sostenitori di Trump guardavano quella folla apparsa all’improvviso e, se riuscivano a superare la sorpresa, sorridevano e tiravano fuori i telefoni per fotografarla. e i manifestanti, quando vedevano che i loro avversari erano quasi tutti disarmati e inoffensivi, che non avevano cartelli né armi né niente, rimanevano senza parole. era una cosa strana. In quell’incontro ravvicinato tra i due gruppi stava succedendo qualcosa. Un riconoscimento. avevano l’imbarazzante consapevolezza di essere per molti aspetti simili. I trumpiani non avevano la schiuma alla bocca e non dicevano cose razziste. erano madri, padri e adolescenti, famiglie che per qualche motivo tolleravano il comportamento miserabile del loro presidente. I contestatori di Trump erano sconcertati. sembrava strano urlare “nazisti” a due anziani con le magliette gialle o a tre boyscout. Così, pur avendo i sostenitori di Trump a pochi centimetri di distanza, non dicevano quasi mai niente. poi è successo qualcosa di particolarmente strano: un ragazzo che era tra i contestatori ha cominciato a gridare “Usa! Usa!”. non è uno slogan comune tra quelli che manifestano contro Trump, visto che in genere è associato ai giovani bianchi ubriachi, perciò pochissimi di quelli che erano con lui si sono uniti al coro. I sostenitori di Trump che erano in fila all’inizio erano confusi, ma poi hanno cominciato anche loro a scandire “Usa! Usa!”. È probabile che i due gruppi avessero idee diverse sul significato di quella sigla, ma è stato comunque un momento di relativa armonia in una giornata cupa. Gli stati Uniti sono l’unico paese industrializzato che consente ai civili di portare armi da fuoco a una manifestazione di protesta. È evidente che questo costituisce un pericolo per tutti i presenti, poliziotti compresi. L’Arizona non pone limiti al possesso di armi, quindi la polizia non può vietare a nessun essere umano, purché abbia un porto d’armi valido, di arrivare a una manifestazione come quella di Phoenix con un’arma e munizioni sufficienti per uccidere altri cento esseri umani. Il fatto che quel giorno le persone più armate fossero anarchici della classe operaia bianca sottolinea la follia della vita in America nell’era di Trump. Intorno alle cinque ho notato, dall’altra parte del centro congressi, gruppetti di ragazzi e ragazze con vestiti color verde militare e giubbotti antiproiettile. sul petto portavano la scritta “John Brown gun club”. sembrava che avessero armi semiautomatiche. mi sono avvicinato a uno di loro, un uomo alto con la barba color ruggine, e gli ho chiesto come si chiamava. ha detto di chiamarsi John Brown. “È vero?”, gli ho chiesto indicando quello che sembrava un ar-15, un fucile leggero d’assalto. lo portava a tracolla e teneva l’indice sul grilletto. Infilati nella cintura aveva altri due caricatori. “sissignore”, ha detto. “In Arizona è consentito portare armi in luoghi pubblici, e quindi anche a Phoenix”. sudava copiosamente e, anche se cercava di apparire molto sicuro di sé, sembrava nervoso e parlava a scatti. “la nostra è un’organizzazione che difende la comunità”, ha detto. “Siamo antirazzisti. siamo contro i nazionalisti bianchi”. appartenevano a un’associazione chiamata redneck revolt, che ha sezioni in tutto il paese. Sul suo sito, il gruppo dice di opporsi “allo stato-nazione e alle sue forze armate che proteggono i ricchi e potenti”. I suoi iscritti vanno sempre più spesso alle manifestazioni dei nazionalisti bianchi, e sono l’immagine speculare dei bianchi delusi che hanno determinato la vittoria di Trump in Pennsylvania, Michigan e Ohio. “la partecipazione dei lavoratori bianchi a organizzazioni statali e paramilitari e a formazioni come il ku klux klan, i minutemen, l’esercito degli stati Uniti e il Council of conservative citizens danneggia la lotta per la libertà di tutti”, si legge sul loro manifesto. “Tenendo conto di questo conflitto speriamo di incoraggiare un movimento dei lavoratori bianchi che vada verso la totale liberazione di tutti i lavoratori, indipendentemente da fattori come il colore della pelle, la religione, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o qualsiasi altro elemento di divisione usato dai padroni e dai politici per dividere i movimenti che lottano per la libertà sociale, politica ed economica”. a pochi passi da John Brown, due agenti cercavano di creare una distanza di sicurezza tra un muro di manifestanti e un uomo con il megafono che agitava un cartello con la scritta “Tutti i veri musulmani sono jihadisti”. era lo stesso tizio che sosteneva che le donne con la gonna meritano di essere stuprate. ha parlato tutto il giorno senza riscuotere consensi. ho chiesto all’uomo che diceva di chiamarsi John Brown come stava reagendo la polizia alla presenza di miliziani armati al centro di Phoenix. “senza dubbio ci stanno tenendo d’occhio”, ha detto. Un discorso sconnesso per tutto il giorno la polizia si era comportata in modo tranquillo e professionale. la maggior parte degli agenti indossava l’uniforme d’ordinanza e si muoveva tra la gente senza dare mai la sensazione di voler reagire in modo eccessivo. sorvegliavano la folla dai tetti e da un parcheggio aperto all’angolo tra la second street e monroe street. sembrava che, nonostante la presenza di militanti armati e il sole cocente di agosto, la chimica di quella particolare giornata favorisse rapporti relativamente tranquilli e amichevoli. non c’erano neonazisti o almeno non in gran numero. In realtà in giro non si vedeva nessuno di destra armato. Inaspettatamente, quelli che sembravano cercare lo scontro erano soprattutto gli oppositori di Trump. ho visto solo una scritta vagamente minacciosa portata da un sostenitore del presidente, che è rimasto seduto quasi tutto il giorno in un bar all’aperto davanti al centro congressi con il suo cartellone appoggiato al tavolo che diceva: “se non fate casino, non faremo casino”. Quasi tutti i manifestanti erano lì per sfidare gli uomini, le donne e i bambini arrivati per assistere al comizio. alle cinque del pomeriggio cinquemila persone erano schierate davanti al centro congressi. poi i sostenitori di Trump che erano rimasti in ila nonostante il caldo sono finalmente arrivati all’angolo tra second street e monroe street, dove c’era un posto di controllo. subito dopo essere stati perquisiti sono stati incanalati come bestiame diretto al macello, e si sono trovati davanti cinquemila manifestanti che gli urlavano contro dall’altra parte della strada. “siete nazisti o no?”, gridavano. Un gruppo di ragazzi ha cominciato a prenderli di mira uno per uno, criticando il loro aspetto fisico e il modo in cui erano vestiti. “Devi fare un po’ di ginnastica, amico”, hanno gridato a un uomo sovrappeso con una maglietta di Trump che non riusciva a coprirgli tutta la pancia. per tutta risposta i trumpiani sorridevano e scattavano foto ai contestatori – tutti facevano fotografie, e faceva un strano effetto – e ogni tanto mostravano il dito medio. poi sparivano dentro il centro congressi. Trump ha cominciato a parlare alle sette, e la maggior parte dei contestatori ha aspettato fuori, dietro le barriere. C’erano buone probabilità che il presidente concedesse la grazia ad Arpaio, e in quel caso c’era il rischio che i manifestanti diventassero più aggressivi. ma nel frattempo aspettavano. si rinfrescavano con l’acqua fornita dai frati che erano davanti alla basilica di st. Mary, suonavano i tamburi e controllavano i telefoni per vedere se c’erano notizie di quello che stava succedendo all’interno. Una donna sola sulla sessantina, che non pesava più di cinquanta chili, era ferma sul marciapiede con un cartello che diceva “abbracci gratis”, e faceva ottimi affari. Trump ha tenuto un discorso sconnesso in cui ha lasciato intendere che avrebbe graziato Arpaio e sembrava chiedere l’approvazione della folla (che gliel’ha data ma senza entusiasmo). ha accusato i mezzi d’informazione di mentire e di essere ingiusti nei suoi confronti; ha insultato i due senatori repubblicani dell’Arizona, Jef Flake e John mcCain; ha incoraggiato i suoi sostenitori a chiedere l’arresto di Hillary Clinton; non ha parlato dei dieci marinai statunitensi appena morti in una collisione con una petroliera; non ha parlato dei due agenti morti a Charlottesville; ha detto che a Phoenix c’erano pochi contestatori, ma in realtà erano almeno diecimila; ha riscritto la storia della sua reazione ai fatti di Charlottesville, omettendo proprio le parole che avevano provocato l’indignazione di buona parte del paese e del mondo. Intorno alle otto e un quarto il comizio stava finendo. Polizia fuori controllo C’erano ancora 38 gradi, l’aria era impregnata dell’odore di incenso, sudore e asfalto bollente. Durante tutto il giorno più di cinquanta persone si erano sentite male per il caldo, però su monroe street c’erano ancora duemila manifestanti che aspettavano l’uscita dei sostenitori di Trump per insultarli. ma sarebbero rimasti delusi. “Guardate”, ha detto qualcuno. ero all’angolo tra monroe street e Third street, appoggiato alla barriera davanti al centro congressi. ho alzato gli occhi e ho visto una passerella di vetro che collegava l’edificio a sud con quello a nord. era a una decina di metri di altezza, un corridoio trasparente che attraversava Third street, ed era pieno di persone che uscivano rapidamente dal centro congressi. Dalla nostra posizione li vedevamo, e la delusione di quelli che erano dietro le barriere è stata profonda. ma il resto dei manifestanti, schierati lungo monroe street fino a second street, non poteva vedere quella fuga ordinata. Continuavano ad aspettarli. I poliziotti in assetto antisommossa e armati di scudi erano fermi in mezzo alla strada e guardavano la scena con aria distaccata. per tutto il giorno si erano comportati in modo sensato e professionale. si erano spostati tranquillamente da un gruppo di manifestanti all’altro e, almeno per quanto avevo visto, avevano trattato tutti in modo civile e gioviale. all’improvviso, anche se l’atteggiamento e le dimensioni della folla non erano cambiate, il numero dei poliziotti è aumentato. Dal centro congressi ne sono usciti una ventina in assetto antisommossa, e altri dieci sono arrivati su delle biciclette che hanno piazzato tra loro e i manifestanti. lungo monroe street si vedevano almeno altri settanta agenti, tutti con le maschere antigas. l’atmosfera è cambiata. Vedendo l’atteggiamento sempre più minaccioso della polizia, i manifestanti hanno cominciato a ricordare agli agenti il loro diritto a manifestare. “È una protesta pacifica”, ripetevano. “al servizio di chi siete? Chi state proteggendo?”. Vicino a me un’anziana afroamericana ha cominciato a provocare uno degli agenti in piedi dietro alla sua bicicletta. “ehi tu, piccolino. sei proprio un ometto”, ha detto. “potrei nasconderti sotto la mia gonna. Immagino che porti tutto quell’armamentario per compensare la tua altezza…”. era divertente. È andata avanti così per cinque minuti. e l’agente non ha reagito. nessuno di loro ha reagito. era stata una giornata tranquilla, e lo era ancora. erano stati tutti ragionevoli. per tutto il giorno nessuno aveva fatto stupidaggini, anche se c’erano i presupposti della follia. Intorno alle otto e mezza ho guardato verso second street e ho visto del fumo. non si capiva come fosse cominciato. Quasi subito i venti poliziotti che erano da quella parte dell’isolato sono diventati ombre che si stagliavano su una nebbia bianca. Non sembravano preoccupati per il fumo, e nessuno si muoveva, quindi ho immaginato che fossero stati loro a provocarlo. Indossavano caschi e maschere antigas, e nessuno di loro sembrava allarmato o agitato. poi, dal marciapiede dove c’erano i manifestanti, è partita una bottiglia d’acqua – una sola – che dopo aver percorso un arco tra la nebbia è caduta in mezzo ai poliziotti. Ero a 15 metri di distanza e ho visto chiaramente che non ci sono state altre provocazioni. A quel punto si è scatenato l’inferno. Un agente in tenuta antisommossa è uscito da dietro la barriera, ha puntato una pistola sopra le teste dei manifestanti e ha sparato. È stato come uno scoppio di tuono. la gente ha cominciato a urlare e a correre in tutte le direzioni. lui si è girato e ha sparato in direzione di Third street. Un altro tuono ha squarciato il cielo, forte come un colpo di cannone. mi sono girato verso il ragazzo che era accanto a me. era un bianco con i ricci color sabbia e gli occhi azzurri. “Hai visto qualcosa?”, gli ho chiesto. “niente”, ha detto, e se n’è andato. La polizia non aveva lanciato nessun avvertimento. Nell’aria sono rimbombati almeno altri quattro tuoni. non si capiva cosa fossero quei rumori. Bombe? non circolavano informazioni. si è creata una calca. nel giro di qualche secondo le migliaia di manifestanti che erano sulla monroe sono scappati, ne restavano solo poche decine. poi si è sentito un rumore secco. poteva provenire da un fucile o da un petardo. ancora nessuna informazione dalla polizia. “Oh mio dio, oh mio dio”, gridava una donna. Sulle nostre teste ronzavano gli elicotteri. Mi sono spostato di corsa dietro alle barriere per vedere cosa stava succedendo su monroe street. La strada era avvolta da una nebbia bianca. I poliziotti l’hanno attraversata in ordine sparso, hanno aperto la barriera dalla parte dei contestatori e si sono inoltrati tra quello che restava della folla. Davanti all’herberger theater center, venti agenti disposti a cuneo, tutti in assetto antisommossa e con gli scudi trasparenti, stavano avanzando come soldati spartani verso due manifestanti. Uno era un afroamericano alto e magro, che aveva alzato le mani sopra la testa in segno di resa. accanto a lui c’era una donna dai lunghi capelli scuri, anche lei con le braccia alzate. non si capiva se avessero intenzione di arrestarli. Forse era stato uno di loro a lanciare la bottiglia che aveva scatenato la reazione. a pochi passi di distanza c’era un candelotto da cui usciva un fumo giallo. Il gas si è propagato e ha coperto la scena di un velo giallo pallido. Dato che non c’era stato nessun avvertimento da parte della polizia, e considerando che il fumo bianco precedente, per quanto ne sapevo, si era rivelato innocuo, ho dato per scontato che anche questo fosse inoffensivo. Qualcuno tra la folla ha gridato: “Gas lacrimogeno!”, ma mi sembrava illogico e improbabile. Il gas lacrimogeno contiene un agente chimico che causa problemi di respirazione, attacchi di cuore e aborti. È considerato così pericoloso che la convenzione sulle armi chimiche del 1993 ne ha vietato l’uso in guerra. l’accordo è stato firmato da quasi tutti i paesi, compresi gli stati Uniti. mi sembrava impossibile che la polizia di Phoenix usasse un gas tossico contro cittadini statunitensi che manifestavano, anche se uno di loro aveva lanciato una bottiglia d’acqua. accanto a me c’era una ragazza. abbiamo ignorato il gas giallo e ci siamo avviati verso il nero e la donna con le mani alzate. Un uomo anziano ci è passato accanto correndo e ha detto: “Quel gas vi metterà fuori combattimento. non c’è da scherzarci”. Occhi in fiamme abbiamo continuato ad andare verso l’uomo e la donna minacciati dalla falange di poliziotti. C’era il pericolo che, in quel caos, potessero subire delle violenze. mentre ci avvicinavamo agli agenti che avanzavano, un colpo di vento ha spostato la nuvola gialla e improvvisamente c’eravamo dentro. L’effetto del gas lacrimogeno sugli occhi e i polmoni non è immediato. Ci sono voluti tre secondi prima che i miei occhi cominciassero a bruciare come se si stessero sciogliendo. all’improvviso si sono chiusi e le lacrime mi hanno inondato la faccia, mentre i miei dotti lacrimali cercavano di reagire espellendo il vapore che copriva gli occhi e la pelle. mi sono fermato e piegato in due. Quando il gas mi è arrivato alla gola e ai polmoni, non riuscivo più a respirare. era come inalare plastica fusa con una cannuccia. Davanti a un agente chimico, il corpo lotta e si ribella provocando spasmi. Soffocavo, tossivo, starnutivo. Mi colava il naso e sentivo una stretta al petto. Aprivo e chiudevo gli occhi freneticamente, e mentre incespicavo lungo Third street per allontanarmi dal fumo, vedevo dei flash di quello che mi stava succedendo intorno. Nei giardini dell’herberger center c’erano sculture a grandezza naturale di uomini, donne e bambini che danzavano. Nella nebbia giallastra, quelle figure sembravano vittime dell’eruzione di Pompei rimaste immobili mentre agitavano le braccia. lungo tutta la strada persone reali erano in ginocchio, correvano, soffocavano. Due uomini stavano aiutando una donna anziana che sembrava disorientata e confusa, non riusciva più a camminare. L’hanno fatta sedere sul marciapiede, ma da monroe street arrivava ancora il fumo giallo. l’hanno sollevata di nuovo e si sono avviati verso Van Buren street. Nella nebbia gialla ho intravisto la ragazza che era accanto a me davanti al teatro. Un ragazzo con gli occhiali cerchiati di nero le stava sciacquando gli occhi con una bottiglia d’acqua. lei ha alzato lo sguardo, con il viso bagnato ma l’espressione sollevata. Aveva recuperato la vista. nella bottiglia era rimasto un goccio d’acqua, e il ragazzo ha sciacquato gli occhi anche a me. L’effetto è stato immediato. Il gas mi bruciava ancora la gola e i polmoni, ma almeno vedevo. sono corso giù per Third street e ho raggiunto la donna anziana. ho cercato di offrirle dell’acqua per sciacquarsi gli occhi. non ha capito e mi ha allontanato. Tutto intorno, la gente cercava di pensare, respirare, vedere. si ammassava sulle soglie delle case. sono passate di corsa due ragazze con una maglietta gialla su cui era scritto “osservatore legale”. “Cosa è successo?” ho chiesto. Non ne avevano idea. “ho visto solo una bottiglia d’acqua”, ha detto una di loro. Gli elicotteri ronzavano sulle nostre teste puntando fari potentissimi sulla folla, come luci psichedeliche che proiettavano ombre frastagliate. Un altoparlante invitava le persone che erano ancora in strada a disperdersi. Era la prima comunicazione dalla polizia. non avevano ordinato alla folla di disperdersi prima di lanciare i candelotti di gas lacrimogeno. Non c’era stato nessun avvertimento. ora il gas scendeva rapidamente lungo Third street, avvolgendo l’isolato. Quelli che si erano fermati a sciacquarsi gli occhi e a riprendere fiato hanno ricominciato a correre. si premevano camicie, fazzoletti e asciugamani sulla bocca. Buona parte della strada era ancora aperta al traffico. le macchine e gli autobus si dirigevano ignari verso monroe street, verso il gas. Un manifestante con una bandana sulla bocca si è piazzato in mezzo alla strada per dire agli automobilisti di tenere i finestrini chiusi e di spegnere l’aria condizionata. “C’è gas lacrimogeno nell’aria!”, gridava. alcune decine di persone si erano riunite davanti a un ristorante hooters, all’angolo tra Third street e Van Buren street. “Avete visto qualcosa?”, chiedevano. Nessuno riusciva a capire cosa avesse spinto la polizia a reagire. Nel ristorante decine di persone, che avevano tutta l’aria di essere oppositori di Trump, guardavano in tv la diretta di quello che stava succedendo. Fuori, in mezzo alla strada, un uomo bianco agitava una bandiera neonazista più grande di lui. Non riusciva a farla aprire e sventolare come voleva, la stoffa continuava ad avvolgerglisi intorno. Un taxi a pedali a tre ruote è emerso dalla nebbia gialla. “Non vedo un cavolo!”, gridava il guidatore. Sotto assedio per tutta l’ora successiva abbiamo visto come sarebbe apparso il centro di Phoenix durante una guerra o se fosse stata proclamata la legge marziale. La calma e la relativa civiltà che avevano regnato fino a poco prima erano sparite. La polizia aveva acceso una scintilla su una miscela potenzialmente esplosiva. a quel punto sembrava che potesse succedere di tutto. In giro c’erano venticinque uomini del John Brown gun club, tutti pesantemente armati, c’erano un po’ di Bikers for Trump, c’erano gruppi di ragazzi che morivano dalla voglia di menare le mani: ne ho incrociati quattro su Van Buren street, uno dei quali indossava la giacca dei confederati. Qualsiasi fanatico avrebbe potuto cogliere l’occasione per sfogare la sua rabbia con una pistola. o con una macchina. Come a Charlottesville, c’erano molti manifestanti che camminavano e correvano sui marciapiedi. per un martire dei suprematisti bianchi era un posto pieno di potenziali bersagli. a quel punto tutte le persone che incrociavamo potevano rappresentare un pericolo. Ci lanciavamo occhiate per cogliere eventuali segnali. nell’oscurità giallastra mi sono passati vicino due ragazzi. Indossavano magliette di Trump a rovescio. Gli elicotteri volavano in cerchio illuminando i gruppi di persone che correvano lungo le strade e i marciapiedi per cercare di arrivare a casa o di nascondersi. nessuno si idava più di nessuno. ormai sembrava che chiunque potesse fare qualsiasi cosa.
La polizia aveva acceso una scintilla su una miscela esplosiva
L’autore
Dave Eggers è uno scrittore statunitense. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Eroi della frontiera (mondadori 2017).

Da sapere
Giorni di tensione
11 agosto 2017 Gruppi di estrema destra si radunano a Charlottesville, in Virginia, per protestare contro la rimozione della statua di Robert E. Lee, generale del sud schiavista durante la guerra civile. Il giorno dopo attivisti di destra e di sinistra si scontrano nelle strade. Un’auto investe un gruppo di antifascisti, uccidendo Heather Heyer, una donna di 32 anni. Il presidente Donald Trump viene criticato per non aver preso le distanze dai gruppi di estrema destra. 22 agosto Trump tiene un comizio in un centro congressi a Phoenix, in Arizona. Fuori migliaia di persone manifestano contro il presidente e i suoi sostenitori. Ci sono anche alcune decine di persone con fucili semiautomatici. nel pomeriggio, senza che ci siano state provocazioni, la polizia carica i contestatori del presidente usando gas lacrimogeni e spray al peperoncino. 8 ottobre Circa cinquanta persone guidate dal suprematista bianco Richard Spencer marciano per le strade di Charlottesville urlando slogan come “non prenderete il nostro posto”.