Il Sole Domenica 1.10.17
L’Italia che sedusse Pablo
Le Scuderie del Quirinale e Palazzo Barberini celebrano i cento anni del soggiorno di Picasso nel Bel Paese
di Ada Masoero
Il
viaggio in Italia del 1917 fu, per Picasso, una vera epifania. Ancor
prima di partire l’artista era ben consapevole che l’avventura rivoltosa
del cubismo, che aveva fatto di lui una star internazionale, si andava
esaurendo. Era perciò in cerca di nuova linfa. Non solo: acuto (e
spregiudicato) com’era, Picasso non poteva non aver avvertito l’ostilità
che ormai serpeggiava nei confronti delle battaglie avanguardiste. Ora
che la guerra metteva il mondo di fronte a tante atrocità, quelle loro
battaglie formali apparivano futili, sorpassate, e l’arte cercava
rassicurazioni nel ritorno al reale.
L’Italia fu generosa con lui.
Arrivato a Roma, con un Jean Cocteau smanioso di fama, che lo presentò
come un trofeo al celebre impresario dei Ballets Russes Sergej Djagilev,
perché con lui mettesse a punto il progetto per le scenografie, i
costumi e il sipario del balletto Parade (ideato dallo stesso Cocteau,
con musiche di Erik Satie); alloggiato in quell’angolo di paradiso che
era - ed è - l’Hotel de Russie, Picasso si abbandonò alle dolcezze della
vita romana, e mentre visitava i musei e i tesori della città,
s’innamorava di Olga Khokhlova, la danzatrice dei Ballets Russes che
l’anno successivo sarebbe diventata sua moglie. Di lì, con Cocteau e con
il coreografo Léonide Massine, si sarebbe spinto a Napoli e Pompei,
dove avrebbe trovato nuove e non meno potenti fonti d’ispirazione.
La
mostra rigorosa e bellissima – curata da Olivier Berggruen e Anunciata
von Liechtenstein per il progetto “Picasso-Méditerranée” del Musée
Picasso di Parigi, e prodotta da Ales e MondoMostre Skira con le
Gallerie Nazionali di Arte Antica - che a cent’anni da allora celebra a
Roma quel viaggio-rivelazione, fra il centinaio di capolavori che
espone, esibisce prove inconfutabili, se mai ce ne fosse ancora bisogno,
di ciò che Picasso attinse qui e a Napoli: il piccolo e luminoso Deux
femmes courant sur la plage (Due donne che corrono sulla spiaggia),
1922, immagine-guida della rassegna, evoca e rielabora infatti, seppure
declinandola in una chiave panica e gioiosa, una drammatica figura della
Stanza di Eliodoro di Raffaello in Vaticano, e la grandiosa sanguigna
su tela Trois femmes à la fontaine (Tre donne alla fontana), 1921, cita
visibilmente nella composizione l’affresco ercolanense Colloquio di
donne, visto nel Museo Archeologico di Napoli. Si potrebbe continuare
con l’affresco pompeiano di Teseo e il Minotauro (anch’esso a Napoli, di
cui Picasso acquistò una riproduzione fotografica), che nella recente
esposizione del Museo di Capodimonte su Parade è stato accostato a un
suo dipinto del 1906, ma che è fonte evidente del giovane stante del
superbo La flûte de Pan (Il flauto di Pan), 1923, mentre la figura
seduta evoca nella postura delle gambe il marmo della Niobide morente,
visto da Picasso a Roma.
La mostra non si sofferma però sui
“prestiti” puntuali, ma pone piuttosto l’accento sull’approccio
sperimentale di Picasso, che seppe intessere spunti tratti dall’arte
“alta” come dalla Commedia dell’Arte o dalla vita animata delle strade
popolari di Roma e Napoli: tutti stimoli che in due soli mesi lo
liberarono dalle secche della crisi dell'ultimo cubismo.
E sono
proprio alcune opere del tardo cubismo, tra 1914 e 1916 (con una “coda”
nel 1918: Picasso amava depistare, intrecciando i suoi percorsi) ad
aprire la mostra, che subito entra nel vivo dell’influenza della
Commedia dell’Arte con i suoi Arlecchini dalle tante facce, anche
stilistiche: uno, Arlequin et femme au collier (Arlecchino e donna con
la collana), ancora cubista, vide la luce proprio a Roma nel 1917, come
pure L’Italienne (in realtà una fioraia ciociara, tratta dalle cartoline
che circolavano allora a Roma; ma attenzione: l’opera arriverà solo fra
qualche tempo), mentre già l’anno successivo Picasso ritrarrà Olga in
un celebre dipinto, come avrebbe potuto fare Ingres.
In una mostra
di soli capolavori sono però le ultime due sale del primo piano gli
scrigni più preziosi, quelli in cui la classicità prende il sopravvento e
ci consegna un mondo “antico” sì, ma radicalmente reinventato da questo
padre della modernità.
Il piano superiore riserva altri
sortilegi: intorno alle bacheche con i documenti originali del viaggio
in Italia, molti dei quali inediti, ritrovati proprio in occasione di
questa mostra, scorrono i lavori su carta, non meno preziosi, da gustare
in un percorso che richiede tempo e attenzione, sapendo che se ne sarà
ripagati con abbondanza. Insieme, è esposto l’unico costume originale
giunto sino a noi del balletto Parade: l’occasione del viaggio in
Italia. Non poteva perciò mancare il sipario di Parade che, troppo
grande per gli spazi delle Scuderie, ha trovato ospitalità nelle
Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini, nel Salone di
Parata affrescato da Pietro da Cortona. E qui il gigantesco “telero”,
con la sua neo-figurazione di tono favolistico (costumi e fondali del
balletto, invece, erano ancora cubisti) può essere finalmente visto con
agio: persino il salone da ballo della Reggia di Capodimonte era,
infatti, insufficiente per gustarlo appieno. In esso Picasso mette in
scena un omaggio appassionato a un’Italia colorata, nobile e popolare al
tempo stesso -così come allora era vissuta dagli stranieri- in cui
convivono le rovine classiche e la Commedia dell’Arte, la convivialità
da osteria e il circo, sullo sfondo, iconico e imprescindibile, del
Vesuvio.
Picasso. Tra Cubismo e Neoclassicismo 1915-1925 , Roma,
Scuderie del Quirinale e Palazzo Barberini, fino al 21 gennaio 2018.
Catalogo Skira