Il Sole Domenica 1.10.17
Se non ci fossero stati i bolscevichi...
di Emilio Gentile
Può
uno storico usare l’immaginazione nel ricostruire un evento storico,
considerando cosa sarebbe accaduto nel divenire della storia, se
quell’evento non fosse accaduto?
La proverbiale frase: “la storia
non si fa con i se” altro non è che una sublime banalità. Il “se” ha una
sua dignità nel lavoro dello storico, se lo storico non è un profeta
con gli occhi volti al passato, come lo definiva Novalis; né un teologo,
che con gli occhi di Dio vede in anticipo il fine del divenire storico;
né un ideologo, che considera inevitabile ogni accadimento, come
inevitabilmente ciascun vagone di un treno corre sugli stessi binari
verso una meta prestabilita. Uno storico serio non può evitare di
pensare quale sarebbe stato il corso della storia se un fatto non fosse
accaduto. Perché in ogni momento della storia, quel che avviene, avviene
sempre in un complesso intreccio di circostanze e di situazioni, di
impreviste e imprevedibili iniziative di azione, individuali e
collettive. La scelta di agire in un senso piuttosto che in un altro,
con il risultato che ne consegue, può generare un diverso corso di
avvenimenti. E in tale intreccio, il caso, o la fortuna che dir si
voglia, come l’amore nelle relazioni umane, può esercitare la sua
capricciosa sovranità.
L’uso del “se” non è soltanto il
divertimento di un sogno, come dice Michael Walzer: è un necessario
esercizio della razionalità critica nella interpretazione della storia.
Esso consente allo storico di comprendere meglio la complessità dei
fattori che intervengono negli accadimenti, dove alla fine è l’azione
umana che decide un corso piuttosto che un altro. Le cosiddette forze
profonde che operano nella storia condizionano l’azione umana, ma in
ultima analisi, la Grande Guerra, la Seconda guerra mondiale, la guerra
contro l’Asse del Male non è stata scatenata da anonime forze profonde,
ma da chi ha scelto e deciso di dichiarare la guerra e ha fatto sparare
il primo colpo. Così è anche per le rivoluzioni.
Se è uno storico
serio, farà ovviamente un uso serio della sua immaginazione, attenendosi
alla realtà dei fatti accaduti per immaginare realisticamente un corso
alternativo al divenire storico rispetto a “come sono veramente andate
le cose”. C’è pertanto differenza nel modo di usare il “se” nella
storia.
Uno storico serio non si domanderà con l’immginazione cosa
sarebbe accaduto se Paolo VI avesse convertito alla bontà le Brigate
rosse che assassinarono Aldo Moro. Ma potrà seriamente domandarsi che
cosa sarebbe accaduto in Russia, in Europa e nel mondo, se Lenin non
fosse riuscito a tornare a Pietrogrado il 3 aprile 1917 per dare inizio,
con la sua rivoluzione, a un fenomeno politico planetario, alla pari
del cristianesimo e dell’islamismo, animato da un proprio impulso
religioso, fino a diventare l’unica universale fra le religioni
politiche dell’era contemporanea.
Fu molto accidentato, per nulla
predeterminato, continuamente insidiato da eventi imprevisti e
imprevedibili, il cammino di Lenin per arrivare alla conquista
bolscevica del potere, alla proclamazione del primo Stato comunista
della storia, alla vittoria nella guerra civile, alla costruzione del
primo regime a partito unico e alla successiva proliferazione di partiti
comunisti in tutto il mondo, che attraverso la Terza Internazionale
divennero fedeli sodali della Russia sovietica e dei suoi governanti
totalitari per oltre mezzo secolo.
All’inizio del 1917, a
quarantasette anni, Lenin malinconicamente pensava che non avrebbe mai
visto scoppiare la rivoluzione socialista che da trent’anni considerava
inevitabile. E quando arrivò alla Stazione Finlandia di Pietrogrado, la
notte del 3 aprile, non aveva un piano prestabilito di azione per
conquistare il potere, salvo la sua feroce determinazione a conquistarlo
dopo oltre trent’anni di attesa e di preparazione alla rivoluzione.
Citando Napoleone, il capo del bolscevismo era solito dire “On s’engage
et puis on voit”. Fu per la sua inflessibile volontà d’insurrezione,
insieme alla straordinaria abilità di Trotckij nel realizzarla, che il
25 ottobre i bolscevichi conquistarono il potere. Ma fino all’ultimo
momento, il loro proposito poteva essere vanificato da un accidente,
come, per esempio, l’arresto di Lenin mentre si recava in tram e a piedi
al Palazzo Smolny, quartier generale per il colpo di Stato bolscevico.
La
rivoluzione bolscevica e tutto il processo storico che da essa fu
generato fu una continua smentita delle premesse e delle promesse
teoriche di Marx e di Lenin, salvo l’annientamento sociale, e persino
fisico, della classe borghese e l’abolizione del capitalismo libero.
Prima
del suo ritorno in Russia, Lenin e i bolscevichi erano una sparuta
minoranza nel vasto movimento del socialismo marxista europeo, orientato
ovunque a seguire, nell’azione pratica, la teoria marxista della
rivoluzione socialista come portato inevitabile della crisi del
capitalismo nei paesi dove il capitalismo aveva già raggiunto lo stadio
della sua maturità. È realistico immaginare che, senza la rivoluzione
bolscevica e la nascita dell’Urss, il socialismo marxista europeo
avrebbe proseguito il cammino all’interno della società e dello Stato
borghese, per modificarlo, anche profondamente, senza sconvolgimenti
insurrezionali. Senza nascita dell’Urss e del movimento comunista
internazionale, il successo del socialismo europeo dopo la Prima guerra
mondiale sarebbe stato molto simile al successo della socialdemocrazia
europea dopo la Seconda guerra mondiale.
Nello stesso senso, è
realistico immaginare che, senza la frantumazione della sinistra
proletaria in Italia e in Germania per effetto della Terza
Internazionale, il fascismo e il nazismo non avrebbero conquistato il
potere, o lo avrebbero conquistato con maggiori difficoltà. Ma è altresì
realistico immaginare che anche senza il bolscevismo, ci sarebbero
stati probabilmente il fascismo e il nazismo perché l’impeto del loro
successo non fu la paura del bolscevismo, ma la volontà di conquista del
potere da parte di nazionalisti rivoluzionari nati dalla Grande Guerra,
che odiavano la democrazia liberale e nutrivano ambizioni imperiali.
Così come è realistico immaginare che anche senza il comunismo sovietico
ci sarebbero state lotte per l’indipendenza nelle colonie contro
l’imperialismo europeo.
Senza il totalitarismo generato dalla
rivoluzione bolscevica, la lotta per l’eguaglianza, accompagnata dagli
immani massacri che in suo nome sono stati commessi da tutti i
comunismi, non sarebbe apparsa come una lotta contro la libertà.