Il Sole 30.10.17
Statali, alla scuola il conto maggiore della crisi
Dal 2010 buste paga reali scese del 12,8% - In controtendenza le Authority (+7,6%) e Palazzo Chigi
di Gianni Trovati
Dal
2010 lo stipendio medio reale nella scuola ha perso il 12,4% del
proprio potere d’acquisto, e quello dei tecnici dell’università ha
lasciato per strada l’11,8%. Nello stesso periodo, la busta paga tipo
nelle Autorità indipendenti (Antitrust, Privacy, Energia eccetera) è
cresciuta del 7,6%, negli enti pubblici come l’eterno abolendo Cnel o
DigitPa (oggi agenzia per l’Italia digitale) è aumentata del 7% mentre
Palazzo Chigi non segna impennate, ma riesce comunque a difendersi dal
carovita: e a conservare il +23,5% raggranellato prima della crisi.
Insomma: nella pubblica amministrazione la cultura non paga, l’autonomia
sì.
I censimenti dell’Aran, l’agenzia che rappresenta la Pa come
datore di lavoro, sull’evoluzione degli stipendi negli uffici pubblici
offrono un termometro concreto per misurare gli effetti della crisi di
finanza pubblica nei diversi rami della nostra amministrazione.
All’appuntamento con il rinnovo dei contratti, bloccato dal 2010,
imposto dalla Corte costituzionale nel luglio 2015, celebrato
dall’accordo governo-sindacati nel novembre 2016 e ora finanziato dalla
manovra che questa settimana inizia il proprio cammino al Senato, arriva
insomma una pubblica amministrazione solo apparentemente monolitica.
Ora
i tavoli sono aperti e i soldi sono in arrivo. Il pubblico impiego è
l’unico settore a ricevere dalla legge di bilancio un finanziamento
aggiuntivo scritto in miliardi (1,7) e non in milioni. Il super-assegno,
che unito ai soldi messi da parte nelle ultime due leggi di bilancio
porta a 2,85 miliardi l’accantonamento complessivo dedicato al tema, non
basterà a placare tutti i maldipancia, perché Regioni ed enti locali
dovranno trovare nei propri bilanci una somma quasi analoga per i
dipendenti propri e della sanità. Ma ora bisogna passare ai fatti. E non
sarà semplice.
Il rinnovo deve chiudere una sorta di “era
glaciale”, che oltre ai contratti nazionali ha bloccato gli stipendi
individuali e limitato al minimo i rinnovi degli organici. Ma il lungo
inverno ha avuto effetti diversi da settore a settore. Dove il blocco
delle buste paga individuali è stato totale, senza sconti, il potere
d’acquisto del dipendente-medio è sceso in modo più secco, spinto al
ribasso anche dai pensionamenti che hanno fatto uscire dal sistema gli
stipendi cresciuti con l’anzianità, sostituendoli con (pochi)
neo-assunti privi di scatti.
Ma in altre aree il freddo non si è
sentito più di tanto, come mostra l’incrocio fra le retribuzioni medie e
l’inflazione del periodo. Scuola, Regioni, enti locali, ministeri,
sanità ed enti di ricerca hanno pagato alla crisi un prezzo più o meno
pesante, mentre in generale è andata molto meglio alle aree più piccole,
da centinaia di dipendenti e spesso coperte dallo scudo efficace
dell’autonomia. La regola ha funzionato splendidamente nelle Authority,
in alcuni enti pubblici minori, ma anche sul territorio. Nei monitoraggi
Aran pubblicati in pagina il dato non c’è, ma i conti della Ragioneria
(che mostrano la media complessiva per settore senza distinguere
dipendenti e dirigenti) offrono sul punto un numero chiaro: nell’Italia
ordinaria lo stipendio medio di Regioni ed enti locali si ferma a 29.057
euro lordi all’anno, dove l’Autonomia è “speciale” diventa speciale
anche la busta paga: 35.345 euro, cioè il 21,6% in più.
Le
trattative per i rinnovi contrattuali si dovranno occupare anche di
queste vite parallele fra i comparti, a partire dal caso della scuola:
il settore di gran lunga più numeroso all’interno della pubblica
amministrazione, che ha pagato il pegno maggiore alle misure anti-crisi.
Nel tentativo di tamponare le buste paga leggere degli insegnanti è
stata creata la carta del docente, con il bonus da 500 euro all’anno per
acquistare libri, software o partecipare a corsi di formazione. Anche
il destino di questo strumento si incrocia però con il rinnovo
contrattuale: nella scuola la riscrittura delle intese nazionali costa
1,6 miliardi, e la ricerca di risorse guarda in tutte le direzioni,
compreso il bonus e i 200 milioni da distribuire in base al “merito”. A
scuola è atteso anche il primo passo che avvicinerà gli stipendi dei
presidi a quelli degli altri dirigenti pubblici, con un aumento che
entro il 2020 dovrebbe arrivare a 400 euro (come anticipato sul Sole 24
Ore del 18 ottobre) e che fa storcere il naso agli insegnanti.
Un
altro tema bollente per il tavolo dei contratti, dopo che il governo si è
finora opposto all’idea di concentrare tutto sui contratti, per una
ragione politica ma anche per un motivo tecnico. Se assorbisse bonus e
premi, il nuovo contratto finirebbe per dare meno degli 85 euro lordi
promessi dall’intesa, replicando nella scuola il caso 80 euro.