Il Sole 20.10.17
Consiglio di Stato. Il lungo tempo trascorso dalla commissione dell’illecito non esclude la repressione
L’abuso edilizio non si prescrive
«Affidamenti incolpevoli» e successive vendite non sono influenti
di Guglielmo Saporito
Il
Consiglio di Stato in adunanza plenaria interviene sulla repressione
degli abusi edilizi, allontanando le speranze di chi confidava in una
sanatoria di fatto per il solo trascorrere di diversi decenni
dall'abuso. Le sentenze del 17 ottobre n. 8 e n. 9 eliminano la
possibilità che una lunga inerzia dei Comuni, o una serie di successive
vendite, possano aver peso. In questo modo si restituiscono al
legislatore ed alle amministrazioni comunali ampi poteri di intervento
sugli abusi, anche se non necessariamente con sistemi demolitori.
Di
fatto, i giudici indeboliscono solo la difesa dei proprietari che si
fondava sul decorso del tempo, sull' “affidamento incolpevole” e sullo
stratificarsi di titoli di proprietà. Nel caso deciso dalla pronuncia
9/2017 si discuteva di un edificio realizzato nel Comune di Fiumicino
oltre 30 anni prima dell'ordinanza di demolizione: l'ultimo proprietario
confidava appunto sulla prescrizione, che i giudici hanno escluso in
quanto si discuteva di tutela del territorio.
Una sorte analoga
(sentenza 8/2017) riguarda il proprietario di un edificio nel Comune di
Giovinazzo (Bari) che nel 1999 aveva trasformato in bar un locale
destinato al custode di un impianto industriale, grazie ad una falsa
dichiarazione. La falsità aveva causato l'annullamento della
trasformazione edilizia (da alloggio in pubblico esercizio), a distanza
di decenni dall'abuso anche se poco tempo dopo l'accertamento della
falsità della dichiarazione del privato. Secondo i giudici, quando nel
1999 il Comune barese aveva emesso il proprio provvedimento favorevole
al privato stesso, incorrendo in errore causato dal privato, non era a
conoscenza della falsa dichiarazione e quindi non era in grado di
reprimere l'abuso. La falsità era emersa solo decenni dopo, ed era stata
subito sanzionata annullando il titolo fraudolentemente ottenuto. In
questo caso, secondo i giudici va tenuto presente che il Comune non si è
trovato dinanzi un abusivismo integrale, che poteva subito reprimere,
ma era stato indotto in errore consentendo l'apertura del bar. Una volta
emerso l'errore, il Comune avrebbe dovuto sanzionare l'abuso in un
tempo ragionevolmente breve. Ciò perché vi deve essere un adeguato
interesse pubblico all'eliminazione della situazione illegittima, cioè
si deve intervenire con rapidità per evitare il consolidarsi di
situazioni.
Ma rapidità, secondo la Plenaria, non significa
necessariamente rispettare il termine di 18 mesi (articolo 21 nonies,
legge 241/1990), bensì quello decennale previsto ad esempio
dall'articolo 39 del Dpr 380/2001, con momento iniziale coincidente con
la scoperta della falsità commessa dal privato.
Con queste
precisazioni, spetta ora al legislatore (disegno di legge Falanga ed
altri) governare l'abusivismo senza che siano eccepibili posizioni
consolidate; anche i Comuni potranno graduare piani di recupero o altri
sistemi di intervento, poiché il Consiglio di Stato ha azzerato il
rilievo di pluridecennali, diffuse omissioni.