Il Sole 18.10.17
Ma il renminbi globale resta un sogno lontano
di Gianluca Di Donfrancesco
Per
giocare fino in fondo il ruolo di superpotenza, Pechino ha bisogno
anche di una valuta globale. È per questo che si è impegnata per portare
la «moneta del popolo» nel paniere delle valute dell’Fmi, affiancando
dollaro, euro, yen e sterlina. L’obiettivo, raggiunto lo scorso anno, ha
segnato un tappa importante nel processo di internazionalizzazione
dello yuan, che però ha via via perso slancio.
Oggi, il 64% delle
riserve valutarie mondiali è denominato in dollari, poco più dell’1% in
yuan, che rappresenta meno del 2% dei pagamenti internazionali, in
discesa dal 2,8% dell’agosto 2015. Negli ultimi due anni, l’uso dello
yuan nei mercati obbligazionari mondiali si è ridotto del 50% circa e i
depositi in yuan a Hong Kong, il suo principale mercato offshore, sono
scesi di altrettanto rispetto ai massimi di fine 2014.
Alla base
del rallentamento c’è il nuovo - e più orientato al mercato - regime di
cambio adottato a settembre del 2015. Secondo Donald Amstad, Director
Fixed Income Asia di Aberdeen Standard Investments, «i regolatori hanno
gestito male l’introduzione del nuovo meccanismo, che fa riferimento a
un paniere di valute anziché solo al dollaro. Non hanno avvisato il
mercato e hanno allentato il controllo sullo yuan, che è crollato
proprio mentre il dollaro era in fase rialzista. Risparmiatori, società e
istituzioni hanno portato capitali fuori dalla Cina e le riserve sono
diminuite a un passo di 50-60 miliardi di dollari al mese. Questo ha
esacerbato il timore di deprezzamento dello yuan, innescando un circolo
vizioso». E per fermarlo, Pechino ha introdotto rigidi controlli di
capitale.
La crisi ha infatti cambiato le priorità di Pechino.
«L’obiettivo - spiega Fabiana Fedeli, Senior Portfolio Manager Emerging
Markets di Robeco - è diventato controllare il deflusso di capitale e
l’impatto sulla valuta. Così il Governo ha rallentato l’apertura del
mercato dei capitali domestico, che è una condizione essenziale per
l’internazionalizzazione del renminbi».
Pechino non ha però
rinunciato. A rilanciare il tema è stato l’uomo che più ha spinto per la
liberalizzazione dello yuan, il governatore della Banca centrale
cinese, Zhou Xiaochuan. A pochi giorni dal 19° Congresso del Partito
comunista, Zhou ha ricordato che «nessun Paese può avere un’economia
aperta, se mantiene un rigido controllo dei capitali». «La Cina -
sostiene Xu Sitao, Chief Economist di Deloitte Cina - aspira ancora a
fare del renminbi una valuta in grado di rivaleggiare con dollaro, euro e
yuan. Il problema è a quale velocità». «Una valuta globale - aggiunge
Amstad - serve a Pechino per avere più forza in politica estera. Il
governatore della Banca centrale ci crede e noi pensiamo che anche il
presidente Xi Jinping la voglia, ma non a tutti i costi: se significasse
provocare una crisi finanziaria interna, Pechino si fermerebbe. La
prossima tappa avverrà durante una fase di debolezza del dollaro e sarà
più graduale. Difficilmente vedremo cambiamenti forti e improvvisi come
quelli di due anni fa».
Gli ostacoli sul percorso non sono pochi.
Per Amstad, «in primo luogo, sarà necessaria una riduzione della leva
finanziaria. Poi c’è una questione di credibilità. Dato che la Cina è
sempre intervenuta sul mercato, ci vorrà una lunga fase di gestione
credibile del mercato dei capitali prima che gli investitori si
convincano». La fiducia dei mercati è «la chiave» anche per Fedeli: «Un
mercato valutario aperto, che consenta di esportare capitali dalla Cina,
con facilità e senza ritardi, è una condizione necessaria, ma proprio
il bisogno di bilanciare l’internazionalizzazione della valuta con la
capacità di controllare le fughe di capitale renderà il processo più
lento di quanto la forza commerciale della Cina potrebbe consentire».
Non
va poi dimenticato, sottolinea Amstad, che «ai cinesi la stabilità del
tasso di cambio piace». E piace al punto che, per Xu Sitao, l’ostacolo
principale resta proprio il «disagio nei confronti delle fluttuazioni di
mercato, soprattutto sul tasso di cambio. Giusto o no, un renminbi
stabile è percepito come un segnale di fiducia».