il manifesto 6.10.17
Il Rosatellum piegato ai più piccoli
Legge
elettorale. Per venire incontro alle richieste di tutti e stendere una
rete di protezione in vista dei voti segreti in aula, il nuovo sistema
di voto smentisce gli annunci del Pd. Dall'abbassamento della soglia di
sbarramento al recupero dei perdenti, i renziani inseguono Forza Italia e
Alfano, ma anche governatori, micro partiti e singoli fuori controllo
di Andrea Fabozzi
Una
fatica tenere in piedi il Rosatellum-bis. Malgrado l’alleanza a quattro
tra Pd, Forza Italia, Lega e Ap possa contare su una circostanza
fortunata. Alla camera, dove il regolamento consente i voti segreti (e
saranno tanti, una novantina), ha dalla sua un margine ampio, circa 400
voti su 630. Al senato, dove invece i margini sono assai più stretti
(una trentina di voti in più), niente scrutini segreti. Eppure condurre
in porto una legge elettorale con il parlamento che vede ormai la fine è
impresa complicata; in questa fase si fanno già le liste e ogni singolo
deputato tende a guardare al suo destino prima e più che a quello del
partito. Così anche il passaggio della nuova legge in commissione, in
teoria senza problemi perché gli emendamenti sono pochi e la maggioranza
è ampia, si rivela faticoso. Il Rosatellum deve cambiare e piegarsi per
raccogliere il massimo di consensi trasversali. Il Pd si dimostra assai
flessibile.
Una giornata intera di votazioni in commissione
affari costituzionali non è bastata, oggi si replica e prima di sabato
non si chiude. Tutto per mandare in aula martedì prossimo un testo a
prova di franchi tiratori. Nuove norme discutibili entrano, vecchi
difetti resistono e persino peggiorano. Eccoli.
Forza Italia ha
ottenuto l’allargamento dei collegi proporzionali e di conseguenza la
loro riduzione: prima erano quasi ottanta, adesso saranno 60 o un paio
in più. Il numero esatto non si conosce, perché la legge fissa i criteri
(abbastanza rigidi) ma tocca al governo e a una commissione provvedere
al disegno concreto dei collegi. Il relatore Fiano (Pd) ha riformulato
un emendamento Sisto (Fi) in modo che il partito di Berlusconi, che si
sente forte solo in una parte del paese, il nord grazie all’accordo con
la Lega, possa fare il pieno dei seggi nelle sue roccaforti. Ognuno dei
60 collegi eleggerà adesso fino a 8 deputati. Ma le liste bloccate per
il proporzionale devono (lo ha imposto la Corte costituzionale) restare
corte, massimo 4 nomi. Il che espone al rischio di liste insufficienti,
con troppo pochi candidati rispetto agli eletti (successe nel 2001 per
colpa delle liste civetta) se in un collegio una lista dovesse superare
il 50% (è successo, e di nuovo bisogna tornare al 2001 quando si votò
con il Mattarellum, cui questa legge si ispira). In questo caso si
rimedierebbe pescando gli eletti in altri collegi o in altre liste, con
tanti saluti alle intenzioni degli elettori. E non solo, perché il
relatore Fiano potrebbe accogliere due emendamenti (Pd e Fi) che
prevedono il recupero dei migliori perdenti nelle sfide uninominali. Un
po’ com’era al senato nel Mattarellum. Ma così scolora ulteriormente
quella quota di maggioritario (37%) che per i renziani è il vanto della
legge.
I collegi grandi poi, in casi limite, potrebbero produrre
un risultato paradossale. Perché i candidati per ogni lista così sono
pochi: 240 al proporzionale e 231 all’uninominale. Considerando che si
vuole allargare a quattro le possibilità di pluricandidature, in teoria
un partito come Forza Italia potrebbe candidare alla camera anche solo
120 persone in tutto il paese. E 120 sono anche i seggi che, sulla base
dei sondaggi, potrebbe conquistare. Ovvero tutti eletti. È un caso
limite, lo ripetiamo, ma aiuta a sostanziare le accuse di chi parla di
«fabbrica di nominati».
Altra novità è l’abbassamento della soglia
di sbarramento. L’emendamento Lupi (Ap) sarà votato oggi e prevede che
anche i partiti che restano sotto il 3% a livello nazionale possono
conquistare seggi in senato se superano quel limite in almeno tre
regioni. Dovranno essere regioni grandi per dare diritto a un seggio con
una percentuale bassa. Alfano può contarci in Sicilia, Mdp
probabilmente in Emilia, più che in Umbria. L’emendamento, che Forza
Italia non voleva, potrebbe servire anche a una nascente lista di
governatori regionali. Non a caso è stata respinta la proposta di
buonsenso di estendere anche ai governatori l’incompatibilità con il
mandato parlamentare che è già dei sindaci. Contemporaneamente il
presidente pugliese Emiliano ha benedetto il tentativo di Renzi di
ricostruire una coalizione. Resta comunque per tutte le prossime «false»
coalizioni (perché senza simbolo né programma né leader comune) il
vantaggio delle liste a perdere: quelle che con appena l’1% dei voti
regaleranno consensi agli alleati maggiori.
Così come resta il
divieto di voto disgiunto, una costante delle proposte renziane di
questa stagione. Perché permette di fare campagna per il voto utile. In
questo caso c’è una perversione in più, perché non si è trovato un
meccanismo razionale per consentire il trasferimento del voto unico dal
candidato uninominale alla lista di partito, se il candidato è sostenuto
da una coalizione. La soluzione del Rosatellum è di dividere quel voto
tra le liste della coalizione, proporzionalmente alla loro consistenza.
Un sistema che abbiamo paragonato all’8 per mille che favorisce la
Chiesa più grande. Invece di abolirlo, Pd e Forza Italia, golosi di quei
consensi piovuti dall’alto, hanno escogitato una soluzione grottesca:
questo complicato meccanismo sarà riportato all’esterno della scheda
elettorale. In una formulazione che (al momento) occupa sei righe di
testo. Così non saranno solo gli scrutatori a impiegare il doppio del
tempo nelle operazioni di spoglio, anche i cittadini avranno bisogno di
mettersi comodi nelle cabine elettorali. Un’assurdità, un’«imprudenza»,
anche per la minoranza orlandiana del Pd che chiede modifiche in aula.
Eppure non è da questo genere di obiezioni politiche che il Rosatellum
dovrà guardarsi, quanto invece dai franchi tiratori.