il manifesto 6.10.17
Sinistra e governo, essere divisivi è la premessa contro l’irrilevanza
di Michele Prospero
In
certi momenti si deve essere divisivi, pena l’irrilevanza. Se non
prevale nel Mdp chi spinge verso una nitida differenziazione, e prepara
così le condizioni per uscire dal governo, si sprofonda in un
chiacchiericcio che alla lunga stanca. I tempi stringono e, per
aggregare le forze in un largo progetto unitario, serve una disincantata
capacità di rottura. Senza operazioni costose (che attirano l’accusa
prezzolata di essere per il tanto peggio) ma indispensabili di fuga, non
si va lontano nella strategia.
Nessuna composizione di soggetti
molteplici è destinata al successo se rimane il semplice frutto di una
ingegneria elettorale. Se la lista comune si configura come un’alchimia
di forze messe insieme da federatori peraltro riluttanti, il suo cammino
stentato conduce al naufragio. E’ inevitabile disperdere ogni potenza
dietro parole vacue di chi nello scontro si fa predicatore di unità, nel
momento dell’abbandono recita la litania della responsabilità. Non si
può lanciare una sfida rimanendo nell’indeterminatezza di una battaglia
terminologica per stabilire se essere alternativi o sfidanti rispetto al
Pd.
Deve essere chiara una regola elementare della lotta
politica. Senza un movimento reale, cui dare uno sbocco nella
rappresentanza politica, le sigle inventate alla vigilia del voto
restano progetti evanescenti. Il problema è perciò di agganciare la
proposta politica unitaria a un ventaglio con alcuni grandi temi che
mobilitano i soggetti. Se questa individuazione di poche ma
riconoscibili idee-forza manca, non si procede di un palmo nella
conquista del consenso. L’irrilevanza sarà una conseguenza scontata di
pure incollature di sigle con scarsa propensione al conflitto politico.
Due
grandi questioni oggi continuano a creare fratture nella società e
quindi a scatenare dissensi: la lotta alla precarietà, che il Jobs Act
ha istituzionalizzato come condizione umana permanente, e la battaglia
per una legge elettorale conforme alla costituzione, che il governo
allontana con nuove manipolazioni truffaldine. Su queste due grandi
cesure deve inserirsi la sinistra unita per cercare il suo spazio che in
potenza, malgrado l’insipienza tattica diffusa, è ancora consistente.
Questi
due assi programmatici invocano una coerente radicalità. Nulla è più
dannoso di un continuo distinguo lessicale che tende ad ammorbidire i
toni per paura di colpire nel segno. Se alle parole di rottura e
autonomia felicemente sfuggite di senno si affiancano suggestioni per il
gran ritorno a casa, il progetto crolla all’istante, perché minato da
una contraddizione insanabile. Non c’è più tempo per rinvii: quando
serve, bisogna graffiare. La chiarezza della proposta, e la risolutezza
nelle operazioni che la sorreggono, è la condizione per il successo.
Chiunque
comprende che una sinistra autonoma, per decollare come credibile
candidatura riconosciuta da una fetta di società, deve essere percepita
come divisiva. Staccare una delle sue componenti dal governo, è
un’operazione inevitabile, se si intende crescere nello spazio politico
affollato.
Esitare nel taglio con l’esecutivo equivale a perire
nella assoluta irrilevanza. Positive sono per questo le dimissioni di
Bubbico, le limpide parole di Speranza e D’Alema. Non si deve tornare
indietro rispetto all’abbandono della maggioranza. Se a marzo il Mdp
arriva come passiva componente del governo in carica, la lista unitaria è
spacciata.
Se si balbetta nel seguire la geometrica condotta
indispensabile per raccogliere i frutti di una radicalizzazione che ha
giustificato una scissione, si smarriscono energie vitali.
Incomprensibile,
per chi cerca l’autonomia, sarebbe rimanere ancora agli ordini del
governo che medita alchimie elettorali per sbarazzarsi degli sfidanti.
Bisogna essere divisivi, non ci sono alternative all’attacco frontale.
Persino
Berlusconi ha sfiorato un inopinato successo nel 2013 quando ha
differenziato, prima del letargo imposto dal generale inverno, le sue
sorti da quelle del governo Monti. Essere responsabili significa oggi
abbandonare il governo della precarietà e della manipolazione della
costituzione per condurre le battaglie che aspettano interpreti
credibili perché fortemente divisivi.