venerdì 6 ottobre 2017

il manifesto 6.10.17
Sinistra e governo, essere divisivi è la premessa contro l’irrilevanza
di Michele Prospero

In certi momenti si deve essere divisivi, pena l’irrilevanza. Se non prevale nel Mdp chi spinge verso una nitida differenziazione, e prepara così le condizioni per uscire dal governo, si sprofonda in un chiacchiericcio che alla lunga stanca. I tempi stringono e, per aggregare le forze in un largo progetto unitario, serve una disincantata capacità di rottura. Senza operazioni costose (che attirano l’accusa prezzolata di essere per il tanto peggio) ma indispensabili di fuga, non si va lontano nella strategia.
Nessuna composizione di soggetti molteplici è destinata al successo se rimane il semplice frutto di una ingegneria elettorale. Se la lista comune si configura come un’alchimia di forze messe insieme da federatori peraltro riluttanti, il suo cammino stentato conduce al naufragio. E’ inevitabile disperdere ogni potenza dietro parole vacue di chi nello scontro si fa predicatore di unità, nel momento dell’abbandono recita la litania della responsabilità. Non si può lanciare una sfida rimanendo nell’indeterminatezza di una battaglia terminologica per stabilire se essere alternativi o sfidanti rispetto al Pd.
Deve essere chiara una regola elementare della lotta politica. Senza un movimento reale, cui dare uno sbocco nella rappresentanza politica, le sigle inventate alla vigilia del voto restano progetti evanescenti. Il problema è perciò di agganciare la proposta politica unitaria a un ventaglio con alcuni grandi temi che mobilitano i soggetti. Se questa individuazione di poche ma riconoscibili idee-forza manca, non si procede di un palmo nella conquista del consenso. L’irrilevanza sarà una conseguenza scontata di pure incollature di sigle con scarsa propensione al conflitto politico.
Due grandi questioni oggi continuano a creare fratture nella società e quindi a scatenare dissensi: la lotta alla precarietà, che il Jobs Act ha istituzionalizzato come condizione umana permanente, e la battaglia per una legge elettorale conforme alla costituzione, che il governo allontana con nuove manipolazioni truffaldine. Su queste due grandi cesure deve inserirsi la sinistra unita per cercare il suo spazio che in potenza, malgrado l’insipienza tattica diffusa, è ancora consistente.
Questi due assi programmatici invocano una coerente radicalità. Nulla è più dannoso di un continuo distinguo lessicale che tende ad ammorbidire i toni per paura di colpire nel segno. Se alle parole di rottura e autonomia felicemente sfuggite di senno si affiancano suggestioni per il gran ritorno a casa, il progetto crolla all’istante, perché minato da una contraddizione insanabile. Non c’è più tempo per rinvii: quando serve, bisogna graffiare. La chiarezza della proposta, e la risolutezza nelle operazioni che la sorreggono, è la condizione per il successo.
Chiunque comprende che una sinistra autonoma, per decollare come credibile candidatura riconosciuta da una fetta di società, deve essere percepita come divisiva. Staccare una delle sue componenti dal governo, è un’operazione inevitabile, se si intende crescere nello spazio politico affollato.
Esitare nel taglio con l’esecutivo equivale a perire nella assoluta irrilevanza. Positive sono per questo le dimissioni di Bubbico, le limpide parole di Speranza e D’Alema. Non si deve tornare indietro rispetto all’abbandono della maggioranza. Se a marzo il Mdp arriva come passiva componente del governo in carica, la lista unitaria è spacciata.
Se si balbetta nel seguire la geometrica condotta indispensabile per raccogliere i frutti di una radicalizzazione che ha giustificato una scissione, si smarriscono energie vitali.
Incomprensibile, per chi cerca l’autonomia, sarebbe rimanere ancora agli ordini del governo che medita alchimie elettorali per sbarazzarsi degli sfidanti. Bisogna essere divisivi, non ci sono alternative all’attacco frontale.
Persino Berlusconi ha sfiorato un inopinato successo nel 2013 quando ha differenziato, prima del letargo imposto dal generale inverno, le sue sorti da quelle del governo Monti. Essere responsabili significa oggi abbandonare il governo della precarietà e della manipolazione della costituzione per condurre le battaglie che aspettano interpreti credibili perché fortemente divisivi.