il manifesto 3.10.17
L’immaginario stragista dell’«americano tranquillo» e la regolarità agghiacciante dei «mass shooting»
American Psycho. Trump ha elogiato la polizia e compianto l’atto di «pura malvagità». Non una parola sul «gun control»
di Luca Celada
LOS
ANGELES Gli ultimi casinò sulla strip, prima che Las Vegas boulevard
diventi l’autostrada per Los Angeles, sono il Mandalay e il Luxor con la
sua piramide di vetro brunito e la sfinge di gesso. Di fronte a
quest’ultimo albergo a tema antico egizio c’è lo spiazzo scelto
dall’ultimo cecchino per compiere la sua strage.
I PRIMI
BOLLETTINI della polizia sono rimbalzati poco dopo mezzanotte, ora del
Pacifico, e sono continuati nella notte fino a registrare «la peggior
strage nella moderna storia degli Stati uniti». Il lugubre record
sorpassa quello precedente, appena dello scorso giugno, quando sono
state ammazzate 49 persone in un locale notturno gay a Orlando, in
Florida.
Uno stillicidio luttuoso di statistiche che torna a
sottolineare come i mass shooting ricorrano con un’agghiacciante
regolarità che torna a porre l’esasperante questione delle cause di una
autoctona psicopatologia sociale. Nella fenomenologia degli omicidi di
massa il cui catalogo ogni anno si arricchisce di tetre statistiche, nel
mirino finiscono vittime innocenti colpite in scuole, locali pubblici,
mezzi di trasporto, chiese.
L’ASSURDA tassonomia delle mortifere
violenze di massa prevede di solito il nichilismo di un «lupo solitario»
che armato fino ai denti spara metodicamente sulla moltitudine
indifesa. Nella classifica rientrano i «semplici» omicidi plurimi e le
stragi di massa che ricalcano ogni volta modalità prevedibili: una delle
prime stragi moderne avveniva quando 5 anni fa un cecchino si
asseragliava in un campanile sul campus dell’università del Texas ad
Austin uccidendo 15 passanti sottostanti, la stessa dinamica di
domenica.
IN QUASI OGNI CASO l’autore (sempre maschio) non offre
spunti che segnalino in precedenza i suoi propositi. Un altro elemento
canonico delle stragi americane sono le interviste del giorno dopo ad
amici e vicini che esprimono lo stupore e sottolineano la consueta
normalità dell’assassino.
Anche Stephen Paddock, 64 anni, era il
solito «uomo tranquillo». Ma in ultimo questo film dal tragico epilogo
sul Vegas Strip c’è qualcosa di più – scene di altri immaginari
americani. Dillinger: il padre di Paddock era un rapinatore seriale di
banche, condannato a vent’anni e finito sulla lista dei most wanted Fbi
in seguito ad una fuga dal penitenziario.
E C’È UN PIZZICO di
Truman Show: Paddock ritiratosi a vita privata dopo una carriera da
ragioniere alla Lockheed Martin, abitava a Mesquite, sul confine fra
Nevada e Arizona.
Si tratta di una retirement community come ce ne
sono a migliaia sparse negli hinterland brulli del sudovest americano.
«Comunità pianificate» per pensionati vietate agli under 55 e ai
bambini, grappoli di villini prefabbricati e climatizzati circondati da
surreali aiuole verdi lambite dal deserto con doppio garage e accesso
al campo da golf d’ordinanza
PADDOCK RIENTRA quindi apparentemente
nella «categoria di normale strage suburbana» come ha precisato lo
sceriffo di Las Vegas annunciando che l’evento non aveva «matrici
terroriste» (leggi: l’autore non era musulmano). Un distinzione di
discutibile interesse per le vittime e i loro famigliari ma di grande
importanza per alcuni, compreso l’attuale presidente americano.
Per
Trump che ha costruito la propria ascesa anche sulla denuncia del
«terrorismo radicale islamico» e l’uso rituale della frase come
grimaldello contro il «buonismo» degli avversari la distinzione è
cruciale. Il suo briefing del mattino dopo è stato lapidario e lontano
dalla bellicosità esibita in modo consueto dopo casi di attentati
islamici anche lontani (Londra, Nizza) quando suole tuonare su pugno di
ferro e scontro di civiltà. Su Las Vegas ha solo invocato col tono
sobrio del predicatore, la solidarietà con le vittime, elogiato le forze
dell’ordine e compianto l’atto di «pura malvagità».
MOLTI ALTRI
POLITICI hanno addotto il lutto per evitare commenti specifici ma è
certo che gli uffici stampa della National Rifle Association stiano già
lavorando per anticipare ogni possibile appello per limitare la marea di
armi da fuoco in cui è sommerso il paese che detiene l’assoluto primato
mondiale delle violenze.
Oltre che efficientissima lobby per
l’industria delle armi, la Nra è partito politico ombra allineato su
posizioni trumpiste (come la polemica contro la contestazione degli
atleti: il sito ufficiale attualmente apre con un appello a «stare in
piedi per la bandiera»). In otto anni Barack Obama venne ripetutamente
chiamato a esprimere il cordoglio post-stragi. Il culmine fu la
sparatoria alla scuola elementare di Sandy Hook a Newtown Connecticut.
L’UCCISIONE
di venti bambini spinse Obama e il congresso a tentare di passare norme
lievemente più severe. Non servì a nulla e per molti quel fallimento è
conferma che nulla potrà mai cambiare, tantomeno con l’attuale governo.
Rimane
solo inevitabile l’ultima, solita considerazione in questo paese che
registra ad oggi, solo nel 2017, 11.572 morti per arma da fuoco (il 10%
di questi per mano della polizia).
Come diceva Michael Moore in
Bowling for Columbine – parafrasando proprio un slogan della Nra: «Non
sono le pistole ad uccidere ma gli americani che le impugnano».