il manifesto 3.10.17
L’indipendenza può ancora attendere, ora «bisogna mediare»
Referendum
catalogna. Resta alta la tensione, il Sì ha vinto ma il presidente
catalano Puigdemont prende tempo e non proclama l’addio alla Spagna. E
oggi sciopero generale, ma i due maggiori sindacati, Ccoo e Ugt, si
smarcano
di Luca Tancredi Barone
BARCELLONA Dopo
la tempesta di domenica, ieri la tensione in Catalogna è rimasta alta.
Ma arrivano timidi segnali di pace. Il governo catalano, che fino a
domenica sera era sembrato intenzionato a procedere direttamente con la
dichiarazione unilaterale di indipendenza, dopo una riunione dei suoi
ministri ha lanciato un segnale: «C’è bisogno di mediare». Il presidente
catalano Carles Puigdemont ha chiarito che «né io né il governo
catalano stiamo dichiarando l’indipendenza», e che chiede la «mediazione
reale e sincera» fra governo spagnolo e governo catalano da parte di
mediatori internazionali. E ha concluso chiedendo che gli agenti della
Policia nacional e della Guardia civil lascino la Catalogna.
Catalan
President Carles Puigdemont (C) is flanked by Barcelona mayor Ada Colau
and Vice President Oriol Junqueras as they stand with people in Plaza
Sant Jaume during a protest called by pro-independence groups for
citizens to gather at noon in front of city halls throughout Catalonia,
in Barcelona, Spain October 2, 2017. REUTERS/Juan Medina
UN MODO
PER PRENDERE tempo davanti a chi vorrebbe che nella sessione di domani
il Parlament catalano dichiarasse già l’indipendenza come, in teoria,
previsto dalla legge annullata dal Tribunale Costituzionale spagnolo. I
risultati quasi definitivi – sempre che possano essere affidabili, date
le condizioni precarie in cui si è votato domenica – li ha dati il
governo catalano: 2 milioni 262mila persone avrebbero votato, i Sì il
90% circa, i no 7.8%, bianchi e nulli quasi il 3%. Secondo il governo
catalano, non è chiaro basandosi esattamente su quali dati, 770mila
persone non avrebbero potuto votare per la repressione della polizia.
Girona
è stata la città con la partecipazione più alta, al 53% (e anche con la
maggiore percentuale di Sì, 94.86%) poco sopra al 52.83% di Lleida; a
Tarragona invece la percentuale più bassa di votanti, 40.62%, poco sotto
Barcellona dove si è recato ai seggi il 40.78% degli aventi diritto,
qui i Sì hanno incassato l’88.57%.
Sia come sia, i dati sono
interessanti, se li diamo per buoni. Vuol dire che, nonostante tutto
quello che è successo negli ultimi anni, il numero di indipendentisti è
rimasto più o meno costante dal 2014: 2 milioni di persone, sui 5 e
mezzo di votanti. Una percentuale molto importante, ma certamente non
maggioritaria.
Il governo catalano ha anche quantificato i danni
al materiale scolastico dovuto all’intervento degli agenti mandati dal
governo spagnolo: circa 300mila euro. Se il numero dei feriti civili
arriva quasi a 900, curiosamente ieri il ministero degli interni
spagnolo aveva decuplicato il numero di agenti feriti. Domenica erano
39, e ieri più di 400.
IN GIORNATA, ci sono state proteste
spontanee nei luoghi di lavoro: alle 12, molti lavoratori sono usciti
per mostrare il loro rifiuto della violenza e l’appoggio
all’indipendenza. Per oggi gli indipendentisti hanno dichiarato uno
sciopero generale di protesta, insieme alla Cgt e ad altre tre sigle dei
sindacati minori: curioso, in un certo senso, perché fomentato dal
governo e da molte istituzioni pubbliche, che infatti hanno chiesto ai
lavoratori di rimanere a casa, ma senza togliergli lo stipendio. Per
questo i due grandi sindacati Ugt (l’Unión General de Trabajadores) e
Ccoo (Comisiones Obreras) pur condividendo le mobilitazioni contro «gli
eccessi» della polizia, si smarcano dallo sciopero di oggi perché «in
nessun caso appoggeremo posizioni che avallino la dichiarazione
unilaterale di indipendenza». Una posizione indubbiamente coraggiosa
dato il clima che si registra: lo sciopero di oggi potrebbe avere un
successo elevatissimo, con gli animi ancora caldi dopo i fatti di
domenica.
LA SINDACA DI BARCELLONA Ada Colau ha chiarito che la
dichiarazione unilaterale di indipendenza sarebbe «un grave errore» –
stessa posizione di Podemos, che ha chiarito non è stato «un referendum
legale e con garanzie e non se ne possono trarre conclusioni per la
Catalogna». Il comune ha chiesto la collaborazione cittadina per
denunciare violazioni dei diritti umani e si è messo a disposizione per
denunciare le violenze più gravi come i casi di aggressione sessuale che
sono avvenuti dopo le cariche.
A MADRID invece le cose vanno più
lente. Il Congresso non ascolterà Rajoy (che lo ha chiesto) fino al 10
ottobre. Rajoy intanto ha sondato gli altri partiti: ha parlato con
Albert Rivera (Ciutadanos) che chiede direttamente l’applicazione
dell’articolo 155 della Costituzione per togliere le competenze alla
Catalogna, e con il socialista Pedro Sánchez, che pur criticando le
cariche della polizia e annunciandogli che chiederà spiegazioni e
responsabilità, ha mantenuto l’appoggio al governo chiedendogli di
aprire «un negoziato immediato». Rajoy non ha parlato né con il
segretario di Podemos Pablo Iglesias, né con Alberto Garzón di Izquierda
Unida.
Oltre alla dichiarazione della Commissione europea, che
sottolinea che la questione catalana è una vicenda interna, e che il
referendum non era costituzionale, ma stigmatizza l’uso della violenza
(«che non può essere uno strumento in politica»), notevoli sono state le
prese di posizione del Commissario per i diritti umani dell’Onu e della
stessa Amnesty International che hanno criticato il governo spagnolo e
chiedono un’inchiesta imparziale sulla violenza della polizia.
L’Eurocamera mercoledì, su richiesta di Verdi e Sinistra, discuterà di
Catalogna.