il manifesto 31.10.17
Cospiratori e bugiardi: gli uomini di Trump si consegnano all’Fbi
Stati
uniti. Ma l’ex direttore della campagna elettorale Manafort e il
consigliere Gates si dichiarano innocenti. Riciclaggio, evasione e
cospirazione tra i dodici capi di imputazione: il super procuratore
Mueller procede tramite vicende collaterali al Russiagate. Papadopolous
smascherato: aveva mentito ai federali sui tempi delle comunicazioni con
Mosca
di Marina Catucci
NEW YORK Paul Manafort,
ex direttore della campagna elettorale di Trump, e il suo partner
d’affari ed ex consigliere di Trump, Rick Gates, alle 8 di ieri mattina
si sono presentati alla sede dell’Fbi di Washington per consegnarsi ed
evitare le manette.
A carico di Manafort ci sono 12 capi di
imputazione, nessuno dei quali connesso con l’attività politica:
riciclaggio, evasione fiscale, violazione delle regole che disciplinano
la professione di lobbista.
Usando questi capi di imputazione, il
procuratore Robert Mueller ha confermato le previsioni riguardo la
tattica che avrebbe usato: non andare direttamente al cuore del
Russiagate (le collusioni tra Mosca e i collaboratori di Trump), ma
approcciare vicende collaterali. Secondo analisti e esperti di diritto
americani anche l’accusa di «cospirazione contro gli Usa fino al 2017»
va inserita in un contesto di violazioni tributarie.
Ciò non
alleggerisce la posizione di Manafort, da anni nel mirino dei servizi
segreti americani a causa dei suoi rapporti con Putin e il presidente
ucraino filo-russo Viktor Yanukovych, defenestrato nel 2014 durante la
rivolta di Maidan.
Ciò che l’Fbi contesta a Manafort e Gates sono
violazioni commesse dal 2005 al 2010-2011, con strascichi fino al 2017.
L’epicentro dovrebbe essere la dichiarazione fiscale di Manafort del
2010-2011 e i rapporti tra Manafort e Gates con Yanukovych e gli
imprenditori russi che gestivano l’economia del Paese.
Nei
documenti che motivano l’incriminazione di Manafort e Gates si legge che
«Manafort ha usato una fortuna nascosta oltreoceano per mantenere uno
stile di vita di lusso negli Stati uniti, senza pagare tasse su quel
reddito. A questo scopo sia Manafort che Gates hanno mentito
ripetutamente al fisco».
I due, ieri, davanti alla corte federale
di Washington che ha formalizzato l’incriminazione, si sono dichiarati
non colpevoli. Da ieri sono agli arresti domiciliari, dopo cauzioni da
10 e 5 miliardi di dollari.
Manafort, tra tutti i collaboratori di
Trump coinvolti nel Russiagate, era considerato il più vulnerabile dal
punto di vista legale: era stato licenziato dopo la convention
repubblicana di Cleveland, quando erano emersi i primi indizi sui suoi
rapporti con i russi, inclusa una consulenza da 12 milioni di dollari
per Yanukovych. A fine luglio la sua abitazione in Virginia era stata
perquisita dall’Fbi, con un blitz all’alba.
Manafort non si è mai
sottratto e ha sempre collaborato con le autorità, ma nonostante ciò sia
lui che Gates hanno collaborato informalmente con Trump fino a poco
tempo fa.
Una delle ragioni per cui la sua posizione è molto
rilevante deriva dalle intercettazioni in mano ai servizi segreti che,
dopo una sospensione di qualche anno, avevano ripreso a controllare le
sue comunicazioni quando aveva cominciato a collaborare con Trump, il
quale non è mai stato messo sotto controllo direttamente, ma potrebbe
essere stato indirettamente intercettato.
Ma i problemi non più
teorici e di immagine, per Trump, non terminano con Manafort e Gates.
Robert Mueller ha reso noto che l’ex collaboratore volontario della
campagna di Trump, George Papadopolous, poche ore dopo la consegna
volontaria di Manafort, si è dichiarato colpevole di aver reso false
dichiarazioni all’Fbi nell’ambito delle indagini sul Russiagate.
Secondo
l’ufficio di Mueller, Papadopolous ha mentito riguardo «i tempi,
l’estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con
certi stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti
dirigenti del governo russo».
Dopo Donald Trump Jr, Papadopolous è
quindi la seconda persona vicina a Trump che, con certezza, durante la
campagna elettorale ha avuto incontri con rappresentanti del governo
russo per discutere di materiali potenzialmente dannosi per Hillary
Clinton.
Papadopolous era stato arrestato a fine luglio, ma si è
dichiarato colpevole solo lunedì: «Attraverso le sue false dichiarazioni
e omissioni – ha dichiarato lo staff di Mueller – l’imputato ha
ostacolato l’indagine dell’Fbi in corso riguardante l’esistenza di
qualsiasi legame o coordinamento tra individui associati alla campagna e
gli sforzi del governo russo per interferire con le elezioni
presidenziali del 2016».
Papadopoulos, nel primo colloquio con
l’Fbi, aveva affermato di aver avuto dei contatti con Mosca prima che
Trump lo prendesse come collaboratore della campagna elettorale, nel
marzo 2016. In realtà aveva iniziato a comunicare con i russi dopo aver
aderito alla campagna in qualità di esperto di fonti energetiche.
Il
terremoto annunciato non è il punto finale, ma quello di inizio: ora si
aprirà un processo dall’esito imprevedibile e che potrebbe durare mesi.