il manifesto 28.0.17
Quattro schiaffi a Gentiloni. I renziani disertano il Cdm
Bankitalia.
Il governo dà il via libera a Visco ma Boschi, Lotti, Martina e Delrio
non si presentano. Il premier spiazzato e irritato, preoccupazione tra i
dem per le mosse scomposte del segretario
di Andrea Colombo
Stavolta
pare che Paolo Gentiloni l’abbia presa davvero male. Non si aspettava
la diserzione in blocco dei ministri renziani dalla riunione del
consiglio dei ministri che ieri ha convalidato la nomina di Ignazio
Visco a governatore per altri sei anni di Bankitalia, subito firmata da
Sergio Mattarella. In quello sgarbo ha intravisto la rottura di un
vincolo di solidarietà che aveva resistito anche alla tempesta della
mozione del Pd contro il governatore.
Gentiloni non è stato il
solo ad accogliere come un pessimo presagio quelle sedie vuote. Assente
Maria Elena Boschi, l’artefice del blitz contro Visco: malata. Assente
Luca Lotti, l’alter ego di Renzi: impegni improrogabili. Assente il
vicesegretario dem Maurizio Martina: a Napoli per limare l’intervento
alla conferenza programmatica del partito. Assente il ministro Graziano
Delrio: malato (ma nel suo caso il virus potrebbe non essere o non
essere soltanto diplomatico). Non era mai successo finora e persino le
voci che dall’interno del Pd provano a difendere la tesi ardita della
coincidenza lo fanno senza pretendere di essere credute. E’ stato un
segnale politico e non c’è nessun dubbio su chi abbia ordinato di
lanciarlo. La mossa è di Matteo Renzi e questo spiega l’amarezza di
Paolo Gentiloni. Sbraitare non è nel carattere dell’uomo. Lascia solo
chiaramente intendere che il virus si è diffuso più di quanto non si
pensasse persino dopo il braccio di ferro su Visco.
La riunione
dura pochissimo, neppure mezz’ora, e nemmeno questa è una coincidenza.
Parla solo Dario Franceschini e in sintesi chiarisce che con quelle
assenze c’è ben poco da dire. Basta convalidare la decisione del
premier. A Napoli, nella conferenza programmatica, la lacerazione
sembrerà ricucita. Forzare la mano non è nel carattere di Gentiloni e
mettere in piazza un dissapore ormai profondo non conviene a nessuno. O
forse potrebbe convenire solo al Renzi impegnato a imporre l’immagine
del suo partito come slegato dal governo se non decisamente
antigovernativo. Ma la tregua, sempre che nessuno la rompa, sarà solo
momentanea. La temperatura è già molto più alta di quella che ha tenuto a
casa Boschi, sia perché la pioggia di ieri è precipitata sul bagnato,
sia perché la diserzione dei ministri renziani prelude probabilmente a
nuovi affondi, in particolare proprio nella commissione parlamentare
sulle banche.
Alla fine della riunione lampo quattro ministri del
Pd si trattengono per una specie di vertice estemporaneo: Anna
Finocchiaro, Dario Franceschini, Marco Minniti e Andrea Orlando. Quel
che si dicono è top secret ma non ci vuole molto a immaginarlo, tanto
più che i quattro partono da un’analisi comune: la certezza che Renzi
abbia già imboccato la via di una propaganda che è e sempre più
diventerà antigovernativa. Opinione che i quattro ritengono sia
confermata anche dall’attacco di ieri sull’obbligo per i genitori di
andare a prendere i figli a scuola, più che una critica quello del
segretario è stato un uppercut.
Ma non c’è solo questo. In testa
all’elenco delle preoccupazioni c’è l’isolamento in cui la linea di
Renzi sta portando il partito. Prodi ha «spostato la tenda». Il
governatore di Bankitalia è un nemico. Il capo dello Stato è offeso e
inviperito. Il presidente della Bce Draghi diffidente. Il presidente
emerito Giorgio Napolitano ha sparato a zero e ora il secondo cittadino
dello Stato, già icona dell’antimafia, molla il partito e senza
risparmiare nulla quanto a critiche radicali. E’ la strategia dell’«uno
contro tutti» su cui punta Renzi nella speranza di tornare a essere per
gli elettori il Rottamatore. I quattro ministri temono probabilmente che
questa linea diventi anche quella dell’«uno contro gli elettori», con
rischio che a finire rottamato sia il partito. Il tutto dopo che Renzi
ha rispolverato il piglio dittatoriale, quello del leader che decide da
solo, senza consultare nessuno, e che si prepara a stilare liste
elettorali nelle quali ben pochi troveranno posto.
Il Pd è una
casa satura di gas e in nessuna stanza se ne è accumulato tanto quanto
nella delegazione al governo. Prima o poi la scintilla destinata a
provocare l’esplosione scoccherà. Potrebbero essere le elezioni in
Sicilia. Qualcuno, senza dubbio, ci conta e affila le armi.